Ritardi

Il bando sulle Smart City verso la conclusione: ma è già troppo tardi?

Le lungaggini nella chiusura del bando uscito nel 2012 ripropongono tutti gli interrogativi sullo sviluppo di progetti di città intelligenti a partire da un’ottica centralistica

Pubblicato il 06 Feb 2014

Federico Guerrini

giornalista

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Dopo più di un anno e mezzo dall’uscita – è del luglio 2012 – il bando Smart Cities and Communities del Ministero dell’Istruzione pare destinato ad avviarsi finalmente alla conclusione. Fonti del Miur prospettano una chiusura entro febbraio e giustificano i ritardi con la difficile congiuntura economica. “Il bando – spiegano dall’ufficio del direttore generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca – prevedeva una doppia fase di valutazione; il 28 febbraio 2013 si è chiusa la prima, che ha permesso la selezione dellei idee progettuali; e la valutazione scientifica dei progetti esecutivi. Dopo di che, si è passati alla fase di valutazione della solidità economico-finanziaria dei soggetti proponenti che ha portato via molto tempo a causa della situazione difficile di molte aziende nel periodo di crisi che stiamo attraversando”. Il 31 ottobre scorso sono stati finalmente individuati i 32 progetti vincitori e pubblicate le graduatorie. L’ultimo tassello – conclusosi a fine gennaio – era quello delle visite in loco. Ora, salvo l’ennesimo colpo di scena, non dovrebbe restare che l’approvazione definitiva e l’emanazione dei decreti di concessione delle agevolazioni.

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Non proprio. Perché, se è vero che la vicenda sembra avviarsi verso una felice conclusione, l’andamento del processo di selezione del bando, le cui scadenze sono state prorogate più volte, ripropone tutti gli interrogativi sulla gestione di questo tipo di pratiche in Italia, e non solo. Non intendendo con ciò in questo caso, inefficienze o malversazioni. Semplicemente, come afferma il direttore del Vega di Venezia ed esperto di Smart City Michele Vianello, “i tempi dell’innovazione non sono quelli della burocrazia”. “Stiamo andando nella direzione sbagliata – aggiunge Vianello – se devi stare a tempi del pubblico per fare attività smart, non ce la fai; i progetti presentati nel 2012 oggi sono già vecchi”. Cosa fare dunque? Se sveltire la burocrazia o snellire il Codice dell’Amministrazione Digitale appare al momento un’utopia, forse la soluzione potrebbe essere ripensare l’intera concezione di Smart City. Passare cioè da un’idea di città intelligente gestita dall’alto (o, come dicono gli anglosassoni, top-down), a una invece che prende le mosse maggiormente dal basso, dai cittadini (bottom-up).

Bisogna abbandonare l’idea che servano per forza dei bandi, per incoraggiare lo sviluppo – rincara ancora l’ex vice-sindaco di Venezia – dobbiamo pensare piuttosto a forme di condivisione di buone pratiche, di assessment dei territori; anche il Comune di campagna può fare azioni “smart”, basta saper coinvolgere le persone, con il pubblico che si limita a incentivare e collegare”. Questo non significa sminuire il ruolo della pubblica amministrazione: la PA deve comunque essere capace di elaborare strategie, capire a quali problemi si vuole prioritariamente dare risposta, indicare gli obiettivi del processo di trasformazione, sviluppare quella che da taluni viene definita un’attività di “smart-planning”.

Con quest’ultima definizione, spiega ad Agenda Digitale il Prorettore Vicario del Politecnico di Milano, Alessandro Balducci – ” si intende una pianificazione capace di usare l’intelligenza della società. Di usare la rete nelle due direzioni: per definire indirizzi ed inviare messaggi, ma anche di ricevere, valorizzare ed accompagnare i processi di innovazione sociale dal basso. Una pianificazione che impara dai progetti, che li mette in rete, li rafforza, costruisce condizioni di sviluppo delle innovazioni che affrontano i problemi target”. Una pianificazione che non parte dalla soluzione, la tecnologia (ovvero prodotti più o meno avveniristici pensati a livello industriale, dalla panchina “intelligente” al lampione ecosostenibile), ma dai bisogni emergenti, a cui la disponibilità di nuove tecnologie e nuovi media può dare risposta. “Dietro l’attuale approccio top-down – continua Balducci – persiste l’idea di un soggetto pubblico che vede e provvede, che interviene con quella che è stata definita dal sociologo Antonio Tosi una “teoria amministrativa dei bisogni” secondo la quale ad ogni gruppo di popolazione corrisponde un bisogno, che spesso viene fatto corrispondere ad un edificio o a una infrastruttura”. Ovverosia: asili e scuole per i bambini, centri di aggregazione per i giovani, case di riposo per gli anziani e via dicendo. Quest’approccio non è più sostenibile, sia per la scarsità di risorse economiche dovuta alla crisi, sia perché la comunità di cittadini non è più disposta ad essere trattato come semplice soggetto passivo.

Occorre quindi, aggiunge il Prorettore del Politecnico, “passare dalla centralità dell’hardware a quella del software, evitando ad esempio la realizzazione di nuove strade o linee di trasporto, e usando meglio i mezzi esistenti. Come sta accadendo a Milano dove l’esperimento di car sharing via smartphone di Car2Go ed Enjoy sta modificando il modo di utilizzo del veicolo individuale, ridefinendolo. E passare dalla centralità delle infrastrutture a quella dei cittadini: penso ad esempio alle esperienze che attraverso i social network riescono a produrre piani dal basso, di quartiere, di strada; come sta avvenendo in Inghilterra con la rivalutazione dei parish council che costruiscono piani localipartecipati”. Cercando di evitare quello che è il principale rischio distopico delle Smart City: quello di diventare apparati di controllo e manipolazione dei cittadini invece che strumenti al servizio di questi ultimi. L’idea infatti che le città diventino migliori e sostenibili solo basandosi sullo sviluppo di reti informatiche e di servizi forniti dagli operatori delle ICT, attraverso la gestione dei Big Data generati da una infrastruttura capillare di sensori ha un che di inquietante. “È indispensabile perciò – dice ancora Balducci – presidiare e vigiliare sullo sviluppo futuro delle città intelligenti, affinché sia davvero aperto al contributo dei cittadini e non chiuso e centralistico”.

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