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ONU: i cambiamenti climatici fanno sempre più vittime

Il nuovo report di Ipcc dell’Onu denuncia che i cambiamenti climatici incombono e il futuro di un Pianeta vivibile e sostenibile per tutti è a rischio. E le vittime già si contano in numeri crescenti. Una salvezza è però ancora possibile. Ecco le strategie in Europa e nel mondo e le azioni da intraprendere

Pubblicato il 07 Mar 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

I cambiamenti climatici accelerano: per Ipcc adattarsi è urgente

Il nuovo report a firma dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), dell’Onu (Organizzazione nazioni unite) dà la sveglia all’umanità, distratta dalla guerra in Ucraina. Senza azioni immediate e rapide per frenare i cambiamenti climatici, il futuro di un Pianeta vivibile e sostenibile per tutti è a rischio. Lo si vede già, senza dubbi: il riscaldamento globale sta aumentando inondazioni e fenomeni di siccità stanno facendo già vittime, in costante aumento, a quanto si legge nello studio.

Lo studio di Ipcc – la principale organizzazione mondiale intergovernativa sui cambiamenti climatici- si basa su 34 mila studi e documenti e teme un impatto dei cambiamenti climatici, ad ampio raggio e pervasivo, su uomini e mondo naturale.

Inoltre analizza come l’umanità possa reagire e correre ai ripari. Ma bisogna agire presto, secondo le 3700 pagine del report che riguardano gli impatti, le vulnerabilità e la capacità di adattarsi.

The Climate Clock: IPCC Report

The Climate Clock: IPCC Report

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I cambiamenti climatici incombono sul Pianeta

La buona notizia è che un futuro vivibile è ancora possibile. Tuttavia la finestre di opportunità per agire è “piccola e si sta rapidamente chiudendo”.

L’ultimo report sui cambiamenti climatici vede più ombre che luci, ma non consiglia solo a politici e decisori di fare presto, ma anche una strategia. Imparare ad adattarsi ai cambiamenti climatici è utile tanto quanto fare prevenzione.

Inoltre, piantare alberi per eliminare dall’atmosfera l’anidride carbonica, il principale gas climalterante, serve, ma una riforestazione potrebbe sottrarre alberi alla produzione di cibo, alterando gli ecosistemi, e mettere un’ipoteca sulla biodiversità.

I rischi dei cambiamenti climatici affliggono 3 miliardi di persone

Tre miliardi di persone nel globo sono fortemente vulnerabili ai cambiamenti climatici, agli eventi meteorologici estremi i cui effetti costringono gli umani ad adattarsi.

Ma l’abbandono dei combustibili fossili è più lento del previsto e bisogna rapidamente eliminare le emissioni. Quindi è necessario adattarsi ai cambiamenti climatici.

La riduzione del riscaldamento climatico a un amento contenuto entro 1.5 ˚C significherebbe rimuovere 8 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera ogni anno entro metà secolo, sfruttando la bio-energia come la cattura del carbonio da immagazzinare ovvero Beccs.

Questo processo attinge, dunque, alla capacità naturale delle colture ed altre piante di consumare gas serra appena aumentano. Invece, strutture riadattate possono usare le piante per produrre elettricità o energia, mentre catturano e immagazzinano le emissioni di carbonio risultanti.

Ipcc fotografa gli impatti dei cambiamenti climatici: aumentano le vittime

Mezzo miliardo di persone, che vivono a medie e alte latitudini, vivono in luoghi dove la siccità è maggiore agli anni meno piovosi del XX secolo. A basse latitudini, invece, 160 milioni di persone vivono in una situazione opposta.

Inoltre, viviamo in un clima non più familiare, mentre eventi estremi possono produrre danni enormi, soprattutto per chi vive in povertà, in scenari di esclusione politica o sociale, in ambienti degradati.

Il report dell’Ipcc non svolge la diagnosi del problema, ma diventa l’atlante delle umane sofferenze, come ha dichiarato Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU.

Nel 2010 la mortalità causata da tempeste era 15 volte superiore nelle aree a più elevata vulnerabilità rispetto a quelle meno.

Infatti i cambiamenti climatici stanno contribuendo a produrre crisi umanitarie: in Africa e America Latina hanno aumentato i problemi di sicurezza alimentare e malnutrizione.

Invece nel report non ci sono segnali di conflitti violenti che abbiano alla radice i climate change. Tuttavia, anni fa, l’esperto di geopolitica Ian Bremmer osservò che la ultra decennale guerra civile siriana avvenne in coincidenza con una gravissima e inedita siccità.

Adattarsi al climate change è una priorità

Nell’India occidentale la città di Gujarat è pioniera, in tutto il Sud-Est asiatico, di un sistema di avvertimento per affrontare le temperature estreme e le ondate di calore.

Bisogna cambiare, infatti, i regolamenti edilizi per fermare l’intrappolamento del calore, fra le altre misure.

Invece in Kenya si sta diffondendo l’utilizzo delle dighe di sabbia. Lo stoccaggio delle acque sotterranee nelle sponde dei fiumi aumenta del 40% la possibilità di affrontare la siccità.

Tuttavia l’adaptation gap (il divario dell’adattamento) misura la distanza fra l’adozione di misure per adattarsi e quelle necessarie: questa distanza si è ampliata man mano che il cambiamento climatico si è intensificato. E si allargherà ulteriormente.

Prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici

L’adattamento finisce in secondo piano rispetto alla prevenzione. Poiché i gas serra determinano i cambiamenti climatici a lungo termine, ridurre le emissioni è una priorità rispetto ad altre risposte alla crisi.

Dunque, Ipcc ritiene che nei prossimi decenni, la differenza fra le aree del mondo con migliore o peggiore capacità di adattarsi è superiore a quelle con più meno emissioni. Adattarsi ai cambiamenti climatici è dunque urgente.

Riforestazione: Trillion Trees Initiative e problemi

Dal report delle Nazioni Unite emerge un problema: piantare tanti alberi per rimuovere significativi liveli di CO2 richiede l’uso di terre di vaste dimensioni.

Dunque, la riforestazione al fine di affrontare i cambiamenti climatici potrebbe entrare in conflitto con gli sforzi per produrre cibo per una popolazione in crescita, mettendo un’ipoteca su flora e fauna.

Uno studio osserva che convertire la terra in foreste per evitare l’aumento di 2 ˚C potrebbe produrre migrazioni di specie di uccelli europee superiori all’aumento di 4 ˚C a causa dei cambiamenti climatici.

La Trillion Trees Initiative permette di combattere i climate change, anche comprando e vendendo i carbon credit. La compra-vendita di carbon credit può perfino favorire un maggior inquinamento.

Tuttavia il report afferma che la riforestazione in aree dove sono presenti foreste genera vantaggi molteplici. Invece piantare alberi dove non crescono naturalmente può produrre impatti ambientali avversi.

Effetti collaterali della riforestazione

Far crescere alberi in praterie naturali può ridurre i flussi d’acqua nei ruscelli ed aumentare l’intensità degli incendi. Inoltre, può perfino contribuire ad incrementare il global warming, perché l’erba riflette più calore rispetto a una foresta. Analogamente, torbiere drenanti con lo scopo di piantare alberi può rilasciare vaste quantità di gas serra da questi ricche miniere naturali di carbonio.

Servono approcci affidabili per rimuovere gas serra e minimizzare gli svantaggi, ma ciò costringerà a riconsiderare il contesto locale le condizioni. Le conclusioni sottolineano l’importanza di perseguire una varietà di approcci alla rimozione del carbonio, inclusi metodi e tecnologie emergenti come la cattura diretta dell’aria e l’utilizzo di varie tipologie di minerali.

Pianeta sotto stress

Negli ultimi cinquant’anni, la produttività agricola si è significativamente ridotta, proprio a causa dei cambiamenti climatici.

Il numero delle delle specie ad alto rischio estinzione potrebbe aggirarsi intorno al 14% con un aumento di un grado e mezzo della temperatura. Ma la combinazione fra umidità e calore potrebbe rendere la vita impossibile anche per gli umani: sopravvivere oltre i 35 gradi Celsius con il 100% di umidità è durissimo. Le ondate di calore nell’emisfero Nord dell’estate 2021 hanno compiuto danni in British Colombia e in Iraq, ma in Canada sono state insolite.

L’Indonesia possiede un quinto di tutte le mangrovie del mondo: sequestrano il carbonio e permettono di evitare l’erosione e contenere l’innalzamento dei mari, oltre a bilanciare la concentrazione di nutrienti per attrarre i pesci.

Nel Bangladesh la presenza di argini intorno al fiume Jamuna attrae più persone a vivere lì. Il sistema d’irrigazione potrebbe provocare un sovraconsumo.

Il ritorno al carbone

L’inerzia dei governi prima, ora la guerra in Europa sono due macigni sull’adozione di misure per frenare i cambiamenti climatici. L’invasione dell’Ucraina scompagina la geopolitica degli approvvigionamenti energetici, tanto da costringere Elon Musk, il fondatore di Tesla e profeta dell’auto elettrica, a inviare un tweet in cui dice che ora bisogna puntare su petrolio e gas, differenziando le fonti energetiche, perché tempi difficili richiedono misure eccezionali. Il ritorno del carbone nel mix energetico di Italia e Germania, per affrancarsi dal petrolio russo, non è certo una buona notizia.

Dunque, rimuovere grandissime quantità di CO2 sarà sempre più urgente, ma farlo in maniera affidabile e corretta è sempre più urgente.

Di quanta energia abbiamo bisogno e per farci cosa

“Anche la guerra, come il Covid, imprimerà un’accelerazione”, commenta Luigi Di Marco, segretario AsVis (Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile), “ma la speranza unisce più persone rispetto alla disperazione, meglio continuare a sperare e continuare a darsi da fare, perché la transizione ecologica e il passaggio alle rinnovabili (perché il nucleare è pericoloso, e lo abbiamo capito con la guerra in Ucraina) sono necessari al fine della sostenibilità e per cessare di foraggiare dittatori che poi muovono guerre contro Paesi inermi.

Ipcc ha lanciato un allarme. Ora la scienza ci indica un metodo: di quanta energia abbiamo bisogno e per farci cosa. Queste due considerazioni si integrano e, prima di parlare di gas o di ritorno al carbone, dovremmo capire a cosa ci serve, perché non dobbiamo dare per scontato che abbiamo bisogno dell’energia indicata finora. Dobbiamo vivere in pace, in salute, in tranquillità”, continua Di Marco.

Un’industria capace di rigenerare le risorse invece di consumarle

“Serve infine”, conclude Di Marco, “un piano industriale europeo: un comitato di ricercatori indipendenti hanno redatto un documento, intitolato Industria 5.0, per la Commissione europea (nel comitato c’è anche Enrico Giovannini). Questo agile documento afferma che il modo di produrre non deve più essere un problema, ma diventare parte della soluzione. Servono regole per rendere l’industria protagonista della transizione ecologica. L’industria deve assumere il ruolo di player capace di rigenerare le risorse. La risposta al tema dell’Ipcc è creare e promuovere un sistema produttivo capace di rigenerare le risorse invece di consumarle”.

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