Fenomeno di grande rilevanza sia a livello mondiale che italiano, l’ecosistema delle startup innovative è ben lungi oramai dal rappresentare una realtà di nicchia. E sarebbe ora di dare una concreta realizzazione al provvedimento istitutivo, la legge numero 221 del 2012, promulgata ormai oltre 8 anni fa.
Come sempre, interroghiamo la piattaforma startup.registroimprese.it, che nel frattempo, dal 2019, ha acquisito valore legale diventando così un’utile vetrina sia per le imprese, che possono utilizzarla per presentarsi al mercato, sia per i potenziali investitori, che possono conoscere le imprese e prendere contatto con esse. Osservando i dati che da essa è possibile scaricare, la prima cosa che salta agli occhi è la crescita sostenuta degli ultimi anni.
Crescita delle startup: i numeri
Il numero di startup ha superato la soglia di 12.000 realtà a fine 2020 (Fig.1), una crescita enorme se si pensa che Infocamere ne registrava circa un terzo appena 3 anni prima.
Fig.1: Andamento nel tempo del numero di startup
Questa crescita è anche il frutto di un’attenzione che non è solo mediatica ma anche politica. Sono tanti i provvedimenti presi dopo la legge 221, e numerosi sono anche gli strumenti messi a disposizione e volti a favorire la nascita e la crescita dimensionale di nuove imprese innovative.
In effetti, sono molte le misure varate nel corso degli anni a sostegno sia della fase di avviamento dell’attività che di accesso a finanziamenti agevolati, nonché della fase di consolidamento (anche nel caso di insuccesso dell’attività). I feedback positivi non mancano: dall’ultima relazione del ministero dello Sviluppo economico del 2020, risultano effettuati, nell’anno 2018, 6.642 investimenti agevolati – per un totale di circa 160 milioni di euro – rivolti a circa 1.500 startup e provenienti prevalentemente da persone fisiche (sono solo 634 quelli provenienti da imprese).
Dal 16 febbraio 2015 al 16 dicembre 2019, sono 2.217 le domande di agevolazione presentate nell’ambito del programma Smart&Start Italia – che prevede un finanziamento a tasso zero alle startup innovative a copertura di progetti di investimento di ammontare compreso tra 100mila e 1,5 milioni di euro, che copre fino all’80% della spesa sostenuta dalla startup (90% in caso di imprese a maggioranza femminile o giovanile) – per un ammontare complessivo richiesto pari a quasi 2 miliardi di euro.
Dal punto di vista geografico, oltre la metà delle start-up è concentrata nelle prime 4 regioni: una buona fetta si trova in Lombardia (3.167, pari al 26% del totale) alla quale seguono Lazio (1.397), Campania (1.061) e Veneto (979). Fanalini di coda sono Basilicata (110), Molise (75) e Valle d’Aosta (22), che sono però anche le regioni più piccole del nostro Paese. Se si normalizza, infatti, tenendo conto della dimensione regionale, il Molise, ad esempio, con 25 startup ogni 100.000 abitanti, diventa la terza regione, dopo Lombardia (31,6) e Trentino A.A. (27).
Dal punto di vista settoriale, il 78% delle start-up innovative fornisce servizi alle imprese (Fig. 2): le prime due categorie per numerosità sono i servizi di informazione e comunicazione, con 5.792 startup (dove prevalgono la produzione di software e consulenza e attività dei servizi di informazione, che da sole spiegano il 46% del totale), e le attività professionali, scientifiche e tecniche, con 2.800 startup in tutto (buona parte delle quali si occupa di Ricerca e Sviluppo, che da sola fa un ulteriore 14% del totale). Il 17% opera nei settori dell’industria in senso stretto, dalla creazione di computer e prodotti elettronici e ottici alla realizzazione di macchinari ed apparecchiature elettriche, mentre il 3,3% è attivo nel commercio.
Fig.2: Numero di start-up, per settore merceologico (dati aggiornati all’11 gennaio 2021)
Fonte: Infocamere
L’impatto del Covid sulle start-up innovative
L’emergenza epidemiologica non ha risparmiato le startup innovative. Sebbene queste sembrino aver mostrato una maggior resilienza rispetto al tessuto imprenditoriale tradizionale, alcune di esse hanno comunque subìto una riduzione della domanda e sofferto di problemi di liquidità, dovendo ricorrere in certi casi a misure estreme come la riduzione del salario del proprio personale o la cassa integrazione. Non solo, si è registrato anche uno shock di capitale, nel senso che in molti casi il processo di fundraising è stato drammaticamente interrotto oppure diminuito.
L’appello del mondo delle startup e dei fondi di venture capital è rivolto al governo, al quale si chiede di intervenire attraverso sussidi diretti e indiretti, un alleggerimento della burocrazia, un regime fiscale dedicato (tax free per almeno i primi tre anni di vita) nonché un regime lavorativo che preveda decontribuzione, agevolazioni al lavoro, cuneo fiscale azzerato e un focus particolare sullo smart working.
Le misure del Decreto Rilancio
Il Governo per il momento ha risposto prevedendo nel cosiddetto decreto Rilancio numero 34/2020 poi convertito in legge, all’art. 38, le seguenti misure:
- contributi a fondo perduto per acquistare servizi per lo sviluppo: alle start-up innovative sono stati destinati 10 milioni di euro per agevolazione sotto forma di fondo perduto per acquisire servizi prestati da incubatori, acceleratori, innovation hub, business angels e altri operanti nello sviluppo delle imprese innovative;
- sostegno al venture capital: sono state assegnate risorse aggiuntive per un importo di 200 milioni di euro al Fondo specifico e finalizzate a sostenere investimenti in capitale, anche con sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi o l’erogazione di finanziamenti agevolati, la sottoscrizione di obblighi convertibili o altri strumenti finanziari di debito a beneficio delle start-up innovative o PMI innovative. Dal 7 gennaio è attivo il portale dedicato;
- le start-up innovative sono tra i soggetti ammissibili a stipulare contratti di ricerca extra muros ai fini della erogazione del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo nei confronti dei soggetti che commissionano tali attività alle stesse start-up;
- proroga di 12 mesi del termine di permanenza nella sezione speciale del registro delle imprese delle start-up innovative;
- è stato esteso il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI riservando una quota di 200 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo e dedicati all’erogazione di garanzie in favore di start-up e PMI innovative;
- ulteriori incentivi in “de minimis” all’investimento in start-up innovative e PMI innovative tramite cui le persone fisiche, per investimenti fino ad un massimo di 100 mila euro per ciascun periodo di imposta nel capitale sociale di una o più startup innovative o PMI innovative, possono beneficiare di una detrazione IRPEF al 50% sull’ammontare dell’investimento, mantenendo tale investimento per un minimo di 3 anni;
- rivisitazione delle soglie minime per investimenti da parte di investitori esteri in imprese e start-up innovative riferite al programma Investor Visa for Italy, modificate come segue:
- per investimenti in strumenti rappresentativi di società di capitali operanti in Italia e mantenute per almeno due anni, la soglia minima di investimento è passata da 1 milione di euro a 500 mila euro;
- per investimenti in start-up innovative iscritte alla sezione speciale del registro imprese di cui all’art. 25, comma 8, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, la soglia minima di investimento è passata da 500 mila a 250 mila euro;
- estensione delle agevolazioni Smart & Start Italia, riferite a start-up innovative localizzate nel territorio del cratere sismico aquilano, alle start-up innovative localizzate nel territorio dei comuni colpiti dagli eventi sismici del 2016 e 2017.
Capacità di crescere, i nodi vengono al pettine
Insomma, il numero è consistente e la crescita buona. Ma si tratta per lo più di realtà di piccole dimensioni. Il 60,4% ha un valore della produzione inferiore ai 100.000 euro, ed il 90% non va comunque oltre i 500.000 euro. Secondo le nostre stime, le quasi 8.000 startup innovative ad oggi esistenti nel panorama nazionale generano un valore compreso tra 1,4 e 4,8 miliardi di euro. Non si tratta di numeri altissimi in termini relativi, ma sono comunque cifre di tutto rispetto. Inoltre, secondo i dati contenuti nella relazione 2020 del Mise, a fine 2019 erano quasi 17.000 gli addetti impiegati nelle startup innovative, con un incremento rispetto all’anno precedente del 25,6%, che conferma un solido rafforzamento in termini di capacità occupazionale di queste imprese. Considerati anche i soci, nel 2019 sarebbero stati circa 61.500 i posti di lavoro in gioco. Secondo le nostre stime, ad oggi, l’occupazione generata dall’ecosistema delle start-up innovative potrebbe arrivare fino a 78.000 posizioni lavorative.
Purtroppo, però, i nodi vengono al pettine quando si guarda alla capacità di crescere. Che peraltro è una condizione propedeutica a un impiego più efficiente dei fattori produttivi. Esistono sicuramente spesso evidenti limiti organizzativi, quali la mancanza di figure professionali in grado di interloquire e rassicurare eventuali investitori, o l’indisponibilità a perdere il controllo dell’azienda. Tuttavia, si ritiene che la difficoltà principale sia nel trovare capitali ed è un peccato scoprire che, dopo i primi successi, le start-up tendono ad andare all’estero a raccogliere i capitali necessari.
Il problema dei capitali
Ben l’86% delle start-up ha un capitale investito che non supera i 50.000 euro. È evidente quanto sia fondamentale il ricorso a capitali esterni. Purtroppo il ritardo più evidente che l’Italia sconta in questo momento riguarda proprio il venture capital.
Gli investitori istituzionali italiani investono poco in venture capital – e quando lo fanno puntano spesso a minimizzare il rischio di fallimento – mentre per quelli internazionali l’Italia è spesso invisibile.
Il problema più insidioso è la cultura imprenditoriale: non ci sono, cioè, imprenditori veri che investano su queste nuove realtà innovative, che vadano a cercarle e le utilizzino per fare impresa. Nelle grandi aziende di regola, quando si parla di innovazione, si tende ancora ad avere una mentalità poco elastica: fare innovazione all’interno di una grande azienda strutturata è molto difficile, perché i processi sono troppo lunghi e in alcuni casi manca addirittura la necessaria competenza. Le startup da parte loro sanno fare innovazione, ma hanno bisogno di capitali. Alla politica, allora, andrebbe richiesto di fare da collante: accanto ai fondi e agli incentivi, è necessario lo sviluppo di una cultura dell’innovazione che coinvolga tutti i protagonisti di questo percorso. Una cultura che prima di tutto chiede di essere aperti e veloci – un processo che passa per prima cosa dalla lotta alla burocrazia – e che promuova un cambio di mentalità, eliminando l’atteggiamento culturale refrattario all’innovazione e la mancanza di advocacy nel dibattito pubblico tipici del nostro Paese. Questo appare al momento il principale nodo da sciogliere.
Un segnale incoraggiante arriva dall’equity crowdfunding, ossia la raccolta di capitale di rischio attraverso Internet. La raccolta tramite crowdfunding, partita un po’ in sordina, è fortemente cresciuta nel corso del tempo, toccando il valore record di 65,2 milioni euro nel 2019, più di quanto raccolto in tutti gli anni precedenti. Solo nel I semestre 2020 sono stati poi raccolti oltre 38 milioni di euro: c’è da aspettarsi dunque un’ulteriore significativa crescita a fine 2020. Il totale del capitale raccolto dall’avvio dell’operatività dei portali ammonta, al 30 giugno 2020, a 158,86 milioni di euro[1].
La domanda di innovazione
Ma esistono altri ostacoli: uno su tutti è la domanda di innovazione, che nel nostro Paese continua ad arrancare. Una prima causa risiede nella tipicità del nostro tessuto produttivo, caratterizzato per la stragrande maggioranza da imprese molto piccole, che fanno fatica ad acquisire beni e servizi innovativi in quanto mancano delle risorse finanziare necessarie per sostenere il rischio associato all’innovazione. Le grandi imprese, dal canto loro, anziché compensare a tale effetto negativo, sembrano ancor meno propense ad acquistare beni e servizi da start-up innovative. Un terzo canale che potrebbe dare un forte impulso alla domanda di innovazione – così come accade in altri Paesi – è la pubblica amministrazione che, tuttavia, focalizzata quasi esclusivamente sul contenimento della spesa e imbrigliata da procedure farraginose, non riesce invece ad assumere il ruolo di driver di innovazione, che potrebbe aumentare l’efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici e, al contempo, favorire il processo di sviluppo delle startup.
Conclusioni
In conclusione, un’efficace politica per le startup è fondamentale ma rischia di non essere sufficiente a stimolare l’imprenditorialità innovativa, mentre appaiono necessarie anche riforme orizzontali che creino un ambiente più favorevole alle imprese, in particolare a quelle più giovani e piccole.
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- Si precisa che la possibilità di ricorrere all’equity crowdfunding, introdotta in un primo momento per favorire la nascita e lo sviluppo delle startup innovative, è stata poi estesa alle PMI innovative e, dal 2017, a tutte le PMI. ↑