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Quanta innovazione c’è nei programmi elettorali? Il quadro

Per startup e innovazione potrebbe andare meglio, con la sola eccezione di quello del M5S, se vediamo il programma integrale pubblicato qualche ora fa. Ecco un bilancio. Ma è utile anche giudicare cosa hanno fatto i partiti negli ultimi anni al Governo

Pubblicato il 16 Set 2022

Gianmarco Carnovale

Serial tech-entrepreneur

Photo by Annie Spratt on Unsplash

Quanta innovazione c’è nei programmi dei partiti elettorali? Potrebbe andare meglio, con la sola eccezione di quello del M5S, se vediamo il programma integrale pubblicato qualche ora fa.

Qui ci riferiamo al tema ecosistema dell’innovazione; non a Transizione 4.0 (incentivi alla tecnologia in aziende, semplificazioni a loro favore), presente nei programmi dei principali partiti.

Va anche detto subito che il quadro è migliorato negli ultimi anni, progressivamente. Sia per qualità delle proposte elettorale sia per azioni fattive che i Governi hanno via via sviluppato; con l’eccezione del grande incidente dell’obbligo a passare da un notaio, che ha decuplicato i costi per le startup.

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Innovazione e startup nel programma M5S

Vediamo le proposte del M5S.

La filiera dell’economia dell’innovazione: se il Movimento come altri partiti parla di molte semplificazioni per le imprese in genere, l’attenzione allargata sull’ecosistema dell’innovazione, sulle startup, sugli operatori che le supportano, sulle varie categorie di investitori è un unicum: si parla esplicitamente di “[…] adeguare le policy […] agli operatori della filiera dell’economia dell’innovazione, semplificando le norme e incentivando non solo gli incubatori certificati ma introducendo certezza di status per i sindacati di investimento, gli acceleratori di impresa, i venture studio, e semplificando le norme intorno alle Società di Gestione del Risparmio, alle SIS e alle holding, allineandole a quelle delle migliori pratiche in ambito dell’Unione Europea”, dimostrando così una chiara cognizione delle problematiche che affrontano questi soggetti e l’intento di volersene occupare. Anzi, partendo dal dimostrare di essere coscienti della esistenza di una articolata filiera di operatori, nominando perfino sindacati di investimento e venture studio, che è un fatto tutt’altro che scontato.

L’agenzia nazionale: Altro elemento che spicca e che non si riscontra in altri programmi, è la creazione di quello che appare essere il lungamente auspicato centro di competenza per l’ecosistema, come si legge al passaggio in cui “Occorre infine l’istituzione di un soggetto ad alto contenuto di competenza, sulla falsariga dell’iniziativa La French Tech, per il coordinamento dei molteplici attori pubblici nella filiera dell’innovazione, nell’ecosistema startup e del venture business, per la promozione e l’attrazione internazionale di talenti, imprese e capitali, per la mappatura degli stakeholder, il monitoraggio costante dell’evoluzione globale dei settori strategici di innovazione perché entrino prontamente nell’agenda pubblica, per l’armonizzazione dell’attività del legislatore su tutto quanto impatti l’economia dell’innovazione”.

Un nuovo fondo di fondi, cioè un soggetto che sottoscriva quote di fondi di venture capital: è importante fare caso alle parole usate, per cuigli investimenti in capitale di rischio in nuove imprese innovative che creino posti di lavoro in Italia andranno poi ulteriormente incentivati attraverso la costituzione di un Fondo di Fondi, che sottoscriva quote di fondi di Venture Capital operando come dotazione di natura privata in affiancamento alle dotazioni pubbliche esistenti, che dia preferenza ai gestori di fondi di nuova costituzione in Italia, costituito in compartecipazione congiunta dalle Casse Previdenziali e da queste alimentato con una sottoscrizione annuale, e così costruendo un nuovo modello di patto generazionale in cui una quota di accantonamento pensionistico vada a creare nuovi posti di lavoro, investendo nella creazione di nuove imprese e partecipando nei ritorni di queste”. Da questo paragrafo si intuisce la volontà di risolvere un problema centrale nel mercato italiano dei capitali, ovvero la scarsità di sottoscrittori privati per i fondi di Venture Capital, facendo nascere una organizzazione con cui co-investire una dotazione comune proveniente dalle Casse Previdenziali, che sono soldi di natura privata. Questa proposta programmatica è un silver bullet per il settore, dato che sono numerosissimi in Italia i fondi di Venture Capital che non riescono a completare la raccolta dei loro fondi e diventare operativi, pur se con dotazioni rilevanti sottoscritte da CDP Venture Capital, European Investment Fund o dalle finanziarie regionali, perché i potenziali Limited Partner privati che dovrebbero completarne la dotazione sono disinteressati all’asset class o ritengono i tagli di investimento troppo piccoli o di difficile valutazione.

Vengono poi citate numerose ulteriori misure per il settore, alcune chieste a gran voce dall’ecosistema come la cancellazione del minimale INPS per i soci-amministratori, o il credito di imposta del 30% sulle spese di ricerca e sviluppo a liquidazione trimestrale, o il ritorno della costituzione societaria online. Ma insieme a queste si leggono ulteriori proposte del tutto nuove, che potrebbero avere un impatto notevole, quali il diritto al lavoro remoto, la detrazione fiscali del 20% sulle minusvalenze degli investitori che si somma alle attuali detrazioni del 30% e del 50% sugli investimenti, regimi progressivi di regole e adempimenti societari partendo dall’estratto conto bancario a valere come bilancio semplificato fino al superamento di una soglia di fatturato annuo, la smaterializzazione delle quote societarie per semplificarne la circolazione, e infine “altre revisioni del diritto societario o deroghe andranno introdotte per rimuovere le barriere all’investimento nelle startup italiane rispetto a veicoli societari esteri, quali il diritto di recesso dei soci in occasione degli aumenti di capitale o l’applicazione del codice della crisi di impresa che mette a rischio i percorsi di crescita strutturalmente in perdita tipici delle imprese innovative patrimonializzata dagli investitori professionali”.

Tutte queste proposte manifestano una profonda attenzione di M5S alle startup e all’innovazione, ed una conoscenza dell’ecosistema e dei colli di bottiglia da rimuovere, collocando quindi la qualità delle proposte al di sopra di quelle già meritorie del raggruppamento Italia Viva-Azione che fino a qui si erano distinti per la maggiore attenzione data al settore rispetto a Lega e PD, che sono le sole altre forze ad aver affrontato l’argomento nei rispettivi programmi.

Le proposte degli altri partiti

Ecco gli altri in sintesi (qui nel dettaglio).

IV-Azione

IV-Azione dedica un buono spazio oltre a Transizione 4.0 (che propone di potenziare, anche in logica di transizione ecologica) anche a mondo startup. Si propone incentivo a imprenditoria giovanile e femminile, con 200 milioni di euro del PNRR sui Centri per l’Impiego. Anche una sandbox normativa per semplificare le attività delle startup. “Proponiamo di eliminare del tutto la tassazione del capital gain sugli investimenti in startup e venture capital e di aumentare l’incentivo fiscale per coloro che investono, per attrarre una quota maggiore di investimento di fondi pensione ed enti assicurativi nell’economia reale. Riteniamo inoltre necessario innalzare l’aliquota del credito d’imposta per le imprese che effettuano investimenti in innovazione al 50%, ripristinando la versione del Governo Renzi, prevedendo una maggiorazione se sono coinvolti centri di ricerca universitari, altre startup o PMI innovative”, si legge.

Centro-Destra

Di startup nello specifico parla solo la Lega proponendo una deduzione (almeno 75%) per privati ed imprese che investono e/o acquisiscono startup, di obbligare fondi pensione, assicurativi e altri a dedicare lo 0,50% dei fondi che raccolgono ad investimenti in startup. Creazione di un ente pubblico per la gestione dei fondi raccolti (vedi sopra) in progetti di imprenditori.

PD

Il PD propone “estensione della detrazione IRPEF del 50% a tutte le tipologie di start-up per le persone fisiche under 35″, per il resto si riferisce a stimoli e incentivi a innovazione (oltre che alla solita Transizione 4.0).

Startup, che è successo nelle ultime due legislature

 Ma se M5S, IV-Azione, Lega e PD sono i quattro partiti che – in ordine decrescente di qualità e completezza delle proposte – hanno affrontato l’argomento, come si mette la situazione se si va a vedere quanto di concreto abbiano già fatto, queste stesse organizzazioni e le persone che candidano, perché le promesse siano credibili?

Analizzando le ultime due legislature, possiamo vedere che questi stessi partiti o i loro leader si sono effettivamente trovati ad avere a che fare con le startup: M5S ha espresso i Ministri dello Sviluppo Economico sotto i due governi Conte, Italia Viva con Renzi, anche se all’epoca come PD, ha guidato un governo con grande attenzione al tema, e sia Azione che la Lega hanno visto Calenda e Giorgetti Ministri dello Sviluppo Economico.

Vediamo cosa hanno fatto, partendo dall’esperienza più lontana fino alla più recente.

Governo Renzi

Nel governo guidato da Renzi, pur se il Ministro competente era Federica Guidi, dobbiamo direttamente al premier la volontà di costituire Invitalia Ventures, che è stata la prima vera azione istituzionale nel venture capital con una dotazione finanziaria interessante. Altre azioni legislative a favore delle startup erano all’epoca in fase di analisi ma non furono attuate, ma il lancio del primo fondo VC di stato rappresenta sicuramente una prova concreta dell’attenzione di quello che oggi è il leader di Italia Viva verso il settore. Ma anche guardando al PD, per quanto nessuno dei suoi attuali leader abbia mai governato il tema a livello nazionale, tra i candidati di questa tornata spiccano alcuni noti “amici” dell’ecosistema startup come Nicola Zingaretti, che da governatore della Regione Lazio ha sostenuto il settore con la maggiore convinzione e determinazione tra tutte le regioni italiane, o come Antonio Nicita e Tommaso Nannicini che conoscono il settore e dietro le quinte lo hanno sempre sostenuto.

Governo Gentiloni

Nel governo Gentiloni, il Ministro competente era Carlo Calenda oggi leader di Azione. Purtroppo è cosa nota che, all’epoca della carica, fosse del tutto disinteressato all’argomento: non si annovera alcuna iniziativa a supporto dell’ecosistema, degli investimenti, nulla di nulla, ed anzi circolò la risposta della sua segreteria quando comunicò il rifiuto di partecipare al maggiore evento del Paese con un eloquente “il Ministro fa sapere che le startup non sono sulla sua agenda”. Poteva fare bene, poteva fare male, ha scelto di non fare nulla. Sorprendente quanto, da allora, il suo partito si sia invece posizionato con attenzione sul tema, molto probabilmente grazie alla vice presidente Giula Pastorella che ha la delega sull’argomento.

Conte I e II

Nei governi Conte I e II, prima con Di Maio e poi con Patuanelli al Ministero dello Sviluppo Economico, la musica cambia profondamente e si vede una serie di misure per il settore molto lunga: Invitalia Ventures viene fusa con Fondo Italiano di Investimento e portata sotto il controllo di Cassa Depositi e Prestiti, creando CDP Venture Capital con la missione di accelerare la crescita degli investimenti in startup italiane, e portandone la dotazione inizale ad oltre un miliardo di euro. Viene anche creata la figura giuridica della SIS, per favorire la nascita di fondi di investimento di piccola taglia con oneri ridotti rispetto alle SGR; viene data vita ad Enea Tech con 500 milioni di dotazione per investire in startup che provengano dalla ricerca; si introduce la detrazione fiscale del 50% sugli investimenti in startup in de minimis effettuati da persone fisiche; viene creata una riserva specifica del fondo centrale di garanzia per le startup innovative; viene rifinanziata Invitalia per il programma Smart & Start, semplificandone il regolamento; sotto pandemia vengono istituiti prontamente Fondo Rilancio (che sdogana finalmente in Italia l’uso del SAFE con il modello dell’investimento in convertendo), il bando pre-seed con dotazione a fondo perduto, i voucher per l’acquisto di servizi di sostegno, e l’allungamento di un anno della permanenza nel registro delle startup innovative. Dietro a questa massa poderosa di attività c’è il costante presidio di Luca Carabetta: ingegnere informatico e founder, parlamentare, che nel m5s è responsabile per le tematiche di innovazione.

Governo Draghi

Anche nel governo Draghi la musica cambia, ma non per merito del Ministro dello Sviluppo Economico: dobbiamo al premier in persona ed al Ministro dell’Economia e Finanze Daniele Franco, lo stanziamento “a sorpresa” di 2 miliardi di euro che accresce la dotazione di CDP Venture Capital, inserito con un emendamento governativo al Decreto Infrastrutture dello scorso dicembre e ri-annunciato dal MiSE pochi giorni fa con un decreto attuativo che li somma ad alcuni fondi Pnrr, anche questi allocati da norme precedenti.

Al Ministro Giancarlo Giorgetti della Lega, invece, dopo dieci anni di continue misure migliorative per l’ecosistema o, al massimo, di disinteresse da parte dei Ministri e quindi senza danni di sorta, spiace dire che dobbiamo i primi arretramenti che si siano visti: partendo dal congelamento di Enea Tech, attuato lasciando appese per mesi decine di startup che stavano concludendo gli accordi di investimento, e conclusosi con una rifocalizzazione completa della fondazione sul settore dei vaccini facendo trapelare anche un certo fastidio per le proteste, è riuscito a fare perfino peggio di questo cancellando la costituzione online delle startup, che per anni era stata gestita da InfoCamere, scrivendo una legge su misura del notariato che riportava la costituzione in esclusiva in capo ai notai dandogli perfino il monopolio per fare la relativa piattaforma digitale.

Il risultato è che il costo di costituzione di una startup in Italia è decuplicato, con molti notai che hanno approfittato del neocostituito monopolio per aumentare le tariffe. Ma evidentemente questo non bastava, perché semplicemente con l’inerzia del non fare il Ministro ha lasciato in un cassetto la notifica a Bruxelles della norma voluta dal MEF sull’azzeramento della tassazione del capital gain per i profitti dei reinvestiti in startup innovative, che per diventare esecutiva necessita dell’autorizzazione della UE (da dove fanno sapere, per l’appunto, di non aver mai ricevuto la notifica dal MiSE), ed infine da diversi mesi non fa uscire gli statuti standard per la costituzione delle startup innovative che, solo quando verranno rilasciati, obbligheranno i notai ad applicare una tariffa un po’ ritoccata al ribasso.

Fa sorridere amaro che Giancarlo Giorgetti facesse tutte queste cose in danno al settore proprio mentre il resto delle nazioni europee implementavano gli accordi degli Startup Nation Standards, che spingono gli stati membri al coordinamento e ad accelerare nel sostegno alle startup, mettendo l’ecosistema nazionale più in imbarazzo di quanto non fosse già per i suoi ritardi storici. Se esistesse un “premio Attila” assegnato dall’ecosistema startup italiano, questo sarebbe vinto a mani basse dalla stagione leghista del Ministero dello Sviluppo Economico, e dà da pensare nonostante a livello parlamentare questa tematica, nella Lega, sia portata avanti da un deputato competente come Giulio Centemero.

E’ difficile, come anticipato sopra, estendere l’analisi a Fratelli d’Italia e a Forza Italia, dato che i loro programmi non sviluppano la tematica né alcun rappresentante di questi partiti è mai stato in posizione di esercitare una delega di Governo. Nella sola Forza Italia, ma a livello parlamentare pur se per più legislature, l’argomento è stato presidiato da anni con competenza dall’ottimo Antonio Palmieri, ma data la posizione in cui è stato candidato lui stesso non fa mistero che non conta sulla rielezione.

In sintesi

In conclusione si può dire che il quadro è migliorabile, ma è anche sicuramente migliorato di molto rispetto al passato: ben quattro partiti affrontano esplicitamente il tema delle imprese innovative e tecnologiche, condividendo la necessità di supportarle con diverse gradazioni di visione e comprensione del settore.

Al di là delle promesse, poi, i fatti mostrano che la distinzione canonica di centrosinistra e centrodestra in progressisti e conservatori sembra avere effettivamente una ragion d’essere: tutti i grandi partiti di area centrosinistra promettono di fare molte cose per il settore, e tutti e tre ne hanno già fatte quando ne hanno avuto la possibilità. Dei partiti di centrodestra al momento solo uno fa promesse, ma è lo stesso che quando ha avuto la possibilità di agire concretamente – cioè proprio ieri – ha agito platealmente contro.

Sarà curioso capire come si comporterà il convitato di pietra Fratelli d’Italia, dai sondaggi oggi maggior partito italiano, il giorno in cui dovesse occuparsi di nuove imprese tecnologiche.

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