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Startup, dalla crisi opportunità unica per l’innovazione: il momento è ora

È il momento di risorse importanti e dell’adozione di schemi di creazione d’impresa e di adozione del capitale di rischio attraverso le filiere dell’innovazione che negli ultimi vent’anni si sono installate nelle grandi città del mondo. L’Italia non può farsi sfuggire questa occasione generata dalla crisi del covid-19

Pubblicato il 08 Apr 2020

Gianmarco Carnovale

Serial tech-entrepreneur

Se questa pandemia sta generando la crisi più grande dall’ultima guerra mondiale, significa che è una opportunità unica e irripetibile per costruire la nostra nuova industria del “dopoguerra”, le cui basi poggiano sugli “startuppari” presenti in Italia, su quelli che potrebbero tornare per la ricostruzione, e su quanti stranieri di talento potrebbero voler vivere in Italia quando ci saremo lasciati tutto questo alle spalle.

Bisogna però cambiare approccio, e anche con una certa urgenza, per non vanificare questa possibilità per recuperare il gap sempre più evidente con le altre economie avanzate.

I ritardi generati da un approccio inadeguato

Una delle maggiori evidenze che si sono rese manifeste come conseguenza dell’emergenza della pandemia, è infatti il nettissimo ritardo strutturale che ci porta a non essere mai in linea con i tempi degli altri paesi nell’adozione tecnologica, e tutto ciò che questo implica sotto il profilo culturale, sociale ed economico.

La tecnologia e l’innovazione sono una alta priorità strategica solo per un segmento ristretto di popolazione, che lotta contro le resistenze di tutti gli altri che vivono nel loro comfort zone del “si è sempre fatto così” e rifiutano qualsiasi cambiamento salvo poi rincorrere e pasticciare quando si scatena l’emergenza.

Questo ritardo strutturale è talmente trasversale nei diversi settori, che ormai non si può più evitare di vedere il “conservativismo” come un carattere peculiare degli italiani, unici a vivere l’incoscienza della necessità di innovare tra i popoli delle grandi democrazie occidentali. Viviamo gli effetti di questo nella penetrazione della banda ultralarga, nell’adozione dei pagamenti digitali, nella tecnologia a supporto della didattica scolastica, nell’impiego appropriato ed aggiornato nei processi digitali di aziende e pubbliche amministrazioni, e infine negli investimenti privati e pubblici e nell’attenzione del legislatore a questi temi.

E il tutto si traduce nella scarsa competitività del paese, notoriamente sempre in basso nelle diverse graduatorie internazionali basate su diverse tipologie di indicatori.

I mali del “benaltrismo”

Uno degli aspetti più gravi di questo approccio con i paraocchi a presente e futuro si manifesta sulla considerazione di cui godono le startup e il loro ecosistema-filiera di sostegno all’interno della classe dirigente del paese: industria, finanza, alti pubblici, chief di qualcosa nelle grandi aziende, leader partitici, mai come nella situazione dell’emergenza odierna hanno perso un’occasione per non rendersi inadeguati sfoderando l’insulsaggine del loro “abbiamo ben altri problemi rispetto alle istanze degli startuppari”, lasciando intendere l’idea di fondo che l’economia e l’industria vere siano una cosa, e il loro immaginario di ragazzini smanettoni che fanno app siano tutt’altra.

Sono le stesse persone che salgono sui palchi quando c’è da celebrare la premiazione alla startup che ha vinto il contest dell’associazione di imprenditori che vuole verniciarsi una facciata di innovatività perché va di moda come leva marketing, sono le stesse persone che ti vogliono pronto ai salamelecchi quando sei seduto di fianco a loro in un convegno, sono le stesse persone che fanno finta di supportare le startup quando lavorano su norme che mandano soldi e benefici fiscali ai soliti mentre le imbellettano di un’aria di innovazione. Sono le stesse persone che generano l’imbarazzo che provo quando mi confronto – e lo faccio da anni, di frequente – con i miei omologhi di associazioni attive in altri paesi, con cui abitualmente ci si incontra e confronta per evolvere e mutuare le pratiche internazionali, le esperienze, le policies e tutte le azioni che sono ben vissute ovunque nel conseguimento di un miglioramento continuo attraverso l’innovazione. Innovazione che ormai anche i più arretrati paesi sottosviluppati hanno compreso chiaramente che si genera attraverso le startup.

La sveglia del Covid-19

La distanza con quanto veniva fatto negli altri paesi per stimolare la nascita e crescita di startup italiane era avvilente, ma quanto annunciato tra quelli che sono entrati dopo di noi nella battaglia contro il Covid-19, forse, sta dando una svegliata almeno a quelli più responsabili e avveduti, in Italia, che si sono trovati a confrontarsi con la realtà di call eccezionali della Commissione Europea rivolte proprio alle startup per combattere l’emergenza socio-economica e sanitaria, e con stanziamenti straordinari da parte di singoli paesi a cui guardiamo normalmente per tutto il resto e che si collocano nell’ordine di grandezza di una nostra finanziaria, ma interamente rivolta agli “startuppari”.

Questa doccia gelata delle priorità degli altri anche nel momento di questa emergenza, anzi direi soprattutto nel momento di questa emergenza, sta facendo capire a molti nel paese che un’economia nazionale non può vivere nel conservatorismo del mantenimento dei privilegi, degli interessi consolidati e delle comfort zone di chi frena l’innovazione anche solo per pigrizia mentale, quando non per clientelismo.

Il gap nel vivere il lockdown e l’autoisolamento tra le popolazioni dei paesi in cui eCommerce e servizi nativamente digitali, big data, intelligenza artificiale e servizi cloud sono adottati in massa, e questa Italia in cui gli esercenti al dettaglio si mettono a vendere tramite WhatsApp, in cui gli insegnanti si rifiutano di fare lezioni agli studenti in videoconferenza, in cui non è ancora dato per scontato che ogni studente debba avere un computer ad uso personale attraverso cui gestire la propria formazione oppure sarà predestinato nella vita a fare solo lavori manuali a basso valore, stanno rendendo palese il ritardo generato dall’inadeguatezza del nostro approccio.

L’Italia è il paese delle grandi rincorse, e tutte le volte che si sveglia riprende i gruppi di testa e delle volte arriva perfino a primeggiare. Il Governo ha reagito molto velocemente dando attenzione nella prima fase all’innovazione come chiave per affrontare la prima fase emergenziale del fermo sociale imposto al paese, con la call “Innova per l’Italia” voluta dalla Ministra Paola Pisano per tutte le tecnologie attivabili per la gestione dell’emergenza, call che era già una escalation rispetto alla primissima iniziativa di solidarietà digitale.

Cogliere le opportunità della crisi

Ma se l’approccio della Ministra per l’Innovazione (purtroppo solo della Pubblica Amministrazione) era logico aspettarselo all’altezza della situazione vista la formazione e competenza della persona, ora che si deve passare ad un sostegno economico-finanziario alle imprese strategiche del paese in ottica di sostegno al superamento di questa onda deve necessariamente contagiare altri: il Ministro per lo Sviluppo Economico Patuanelli, il Ministro per l’Economia e Finanze Gualtieri, il Presidente del Consiglio Conte e soprattutto tutte le strutture e le reti partitiche che dietro le quinte si affrontano all’arma bianca per spostare risorse e coperture ogni volta che ce ne sono, devono per la prima volta comprendere che è il momento di cogliere il senso dell’opportunità che si cela in ogni crisi, e cambiare ordine di grandezza della partita.

L’Italia sarà nel G-qualcosa, nei prossimi anni, se metteremo a disposizione dell’innovazione risorse nella scala dei miliardi per alimentare la nascita e crescita dei nostri pesi massimi nell’innovazione, che saranno seguiti da un ampio numero di pesi medi e infine di pesi leggeri che finiranno probabilmente acquisiti, nello schema circolare che rende funzionante il venture business, cioè il motore finanziario che sostiene nuovi imprenditori di talento.

E’ il momento di risorse importanti e soprattutto dell’adozione degli schemi di creazione d’impresa e di adozione del capitale di rischio attraverso le filiere dell’innovazione che negli ultimi vent’anni si sono installate nelle grandi città del mondo dopo che gli israeliani hanno dimostrato che la Silicon Valley è solo uno schema di filiera intorno a modelli culturali, di mentalità e a metodologie. Tutto questo lo dobbiamo finalmente impiantare massicciamente nel paese, come base da lasciar arricchire naturalmente delle peculiarità di questo disgraziato e meraviglioso paese.

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