open data

Beni confiscati alla Mafia, perché l’Italia non pubblica i dati da sei mesi

Pubblicato il 14 Ott 2015

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Da sei mesi l’Agenzia preposta non ci fa sapere i dati sui beni sequestrati alle mafie (vedi immagine sotto).

Quello dell’aggiornamento è uno dei profili critici dell’open data. Alcune ammiistrazioni non si preoccupano degli aggiornamenti; altre hanno difficoltà a farli. Dico sempre, ai convegni: il lavoro non finisce ma comincia dopo la prima pubblicazione. Poi tocca aggiornarli. Non credo ci sia mancanza di volontà di pubblicare i dati, da parte di un’Agenzia che ha nel proprio dna la legaltità.

La spiegazione è un’altra. Una arretratezza dei processi amministrativi e l’assenza nelle PA di un centro di competenza (e una figura) per la raccolta dei dati.

Una amministrazione che ragiona con processi digitali, non di carta, fa in modo che i dati siano acquisiti in modalità informatica, cosicché sia facile esporli. Alcuni ritardi nell’aggiornamenti dipendono infatti dal difficile processo di raccolta e validazione del dato.

Le lacune degli open data sono insomma cartina tornasole dell’analogico che regna ancora.

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