trasparenza PA

Bilanci sociali, perché è difficile replicare l’esempio di Milano

I bilanci partecipativi stentano ancora a decollare. Fanno eccezione le città più grandi, come Milano, che mostrano risultati incoraggianti. Per sciogliere tutti i nodi, bisognerebbe introdurre la cultura della rendicontazione al cittadino e combattere una certa politica meramente propagandistica che non produce risultati

Pubblicato il 09 Nov 2017

Ruben Razzante

docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma

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I modelli di rendicontazione nel nostro Paese scontano un forte ritardo imputabile a fattori culturali, oltre che politici. Il concetto di accountability, inteso come responsabilità di dover rendere conto a qualcuno del proprio operato, stenta a decollare e a diventare approccio sistematico nella trama dei rapporti tra cittadino e pubbliche amministrazioni.

Di passi ne sono stati fatti negli ultimi quindici anni, a cominciare dalle iniziative in materia di customer satisfaction, fino ad arrivare al febbraio 2006, quando il governo dell’epoca emanò una direttiva sulla rendicontazione sociale, nella quale si introduceva la facoltà (non l’obbligo) per le amministrazioni pubbliche di redigere un bilancio sociale.

In esso si sarebbero dovuti documentare i riflessi (outcome) sulla qualità della vita delle persone prodotti dalle azioni messe in campo dalle pubbliche amministrazioni. Una maniera per responsabilizzare queste ultime e per assicurare ai cittadini un adeguato livello di partecipazione e di interazione costruttiva con i decisori.

Tra alti e bassi, almeno nelle città più grandi, questo strumento del bilancio sociale ha prodotto risultati incoraggianti. Prova ne è l’esperienza milanese, nella quale si è arrivati ormai da anni a coinvolgere i cittadini nella preparazione di un bilancio partecipativo.

A settembre è partito il bilancio partecipativo 2017-18 del Comune di Milano che si concluderà con la realizzazione dei progetti vincitori. Sono previste quattro fasi: proposta e supporto (in corso dal 30 settembre), progettazione, voto e monitoraggio.

Ciascuna fase è regolata, nei ruoli e nelle responsabilità, dal Patto di Partecipazione.

La seconda fase di sviluppo del progetto si svolgerà da novembre 2017 a febbraio 2018. I tecnici dell’Amministrazione saranno a disposizione per supportare il cittadino, che contribuirà alle scelte progettuali ed economiche e condividerà i documenti e le informazioni con la comunità. A marzo 2018 ci sarà la fase di votazione a cui farà seguito, a partire dal maggio, la realizzazione dei progetti più votati. Sarà possibile seguire i lavori, consultare i documenti e scoprire i progetti realizzati nei diversi municipi. Al 26 ottobre 2017 sono state avanzate 39 proposte.

La prima edizione del bilancio partecipativo del 2015-2016 si è conclusa con 16 progetti votati da 24 mila cittadini e 12 opere ancora in attesa di realizzazione. Troppe proposte non realizzate che hanno prodotto un discreto ritardo attuativo, frenando lo slancio entusiastico derivante dall’utilizzo di tale strumento. Questi dati hanno indotto l’amministrazione di Palazzo Marino a valutare l’ipotesi di una riduzione del budget: i fondi messi a disposizione dall’amministrazione comunale per il precedente bilancio partecipativo erano di 9 milioni di euro (un milione per Municipio); nel nuovo bilancio sono scesi a 4,5 milioni di euro (500 mila euro a Municipio).

L’ente pubblico, affinché il modello di rendicontazione sociale possa realizzarsi in forme compiute, dovrebbe impegnarsi a rendere conto ai cittadini, in una logica di accountability, delle decisioni prese, delle risorse impiegate, delle attività svolte, dei risultati ottenuti. Ciò attiverebbe un virtuoso circuito di fiducia tra ente e collettività, generando vantaggi reputazionali per il primo, oltre che una ricaduta diretta sulla qualità erogata dei servizi ai cittadini. Nel modello del bilancio partecipativo l’ulteriore passo avanti è costituito dal coinvolgimento fin dall’inizio dei cittadini, al fine di chiamarli a pronunciarsi sulle possibili destinazioni d’uso di parte di somme del bilancio a disposizione dell’ente.

Ma in questa catena di trasparenza, responsabilità e rendicontazione l’anello debole è rappresentato dall’inefficacia degli strumenti di rendicontazione sin qui utilizzati e che, ciclicamente, finiscono per convertirsi in occasioni di pura propaganda e consolidamento del consenso, senza essere pensati come moltiplicatori di energie partecipative e di potenzialità generative.

E perché tali strumenti sono inefficaci? Anche per altre due ragioni, oltre quella, appena menzionata, di una loro improvvida politicizzazione e strumentalizzazione. La prima ragione è che il coinvolgimento delle nuove generazioni nei processi di rendicontazione continua a risultare scarso. La filiera di acquisizione/raccolta ed elaborazione delle indicazioni fornite dai cittadini nel bilancio partecipativo andrebbe innovata sul piano tecnologico, al fine di stimolare anche i più giovani a fornire contributi di idee e progetti realizzabili nell’interesse delle città e dei singoli quartieri.

La seconda ragione è legata alla scarsa conoscenza dello strumento del bilancio partecipativo, divulgato attraverso i canali istituzionali dei Comuni ma non sufficientemente illustrato, spiegato, pubblicizzato nel mondo scolastico. Nell’ambito dell’auspicata introduzione di moduli di educazione digitale nelle scuole dell’obbligo e nelle scuole superiori, non guasterebbero affatto riferimenti agli strumenti di rendicontazione, affinché la categoria della responsabilità inizi a permeare fin dalla formazione primaria il “sentiment” dei giovani, ma anche delle altre componenti del mondo scolastico. Bisognerebbe, dunque, spiegare il bilancio sociale e il bilancio partecipativo nelle scuole e nelle università, affinché la popolazione studentesca veda in essi opportunità di partecipazione alla vita democratica equipollenti all’esercizio del diritto di voto. Andare a votare per eleggere i propri rappresentanti e confrontarsi con loro in seno alle istituzioni per co-decidere la destinazione d’uso di porzioni di risorse comunali devono essere considerate azioni e situazioni in parte sovrapponibili perché riconducibili entrambe all’ideale della sovranità popolare.

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