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Come si assegna un valore ai dati? Ecco come definire una buona Data Strategy aziendale

L’obiettivo di una strategia dati può essere riassunto in modo semplice come segue: gestire il portafoglio dei dati aziendali nel miglior modo possibile al fine di massimizzarne il valore. Ma come massimizzare il valore dei dati? Trattandoli come “prodotti” dell’azienda, non come un effetto collaterale. Ecco come

Pubblicato il 13 Feb 2023

Diego Ragazzi

Data Strategy Lead Cefriel

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Da oltre un decennio si parla dei dati come di una cruciale opportunità di business, eppure ancora oggi molte organizzazioni si interrogano su quale sia il loro valore effettivo e soprattutto come estrarlo. E questo accade perché troppo spesso i dati sono considerati come un “effetto collaterale” che, nello sviluppo di applicazioni e servizi, non genera direttamente alcun valore, ma anzi richiede una crescente complessità di gestione.

Anche quando l’organizzazione riconosce il valore dei dati che possiede, si rende conto di non poterli utilizzare con la necessaria facilità e affidabilità, in quanto non sono stati progettati secondo una chiara strategia rispondente alle esigenze di business.

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In un caso paradigmatico che in Cefriel abbiamo affrontato di recente, una grande azienda ha realizzato un’applicazione di monitoraggio di dispositivi intelligenti che si appoggia su una gigantesca base di dati che raccoglie le misure di centinaia di migliaia di sensori distribuiti sul campo. La tecnologia utilizzata per l’intera data pipeline è stato dell’arte e l’enorme quantità di dati raccolti ha indotto l’azienda a chiedersi, correttamente, come poter mettere a frutto questa miniera di informazioni. Scenari avanzatissimi di machine learning e intelligenza artificiale sono stati prospettati solo per rendersi conto a posteriori che l’architettura in essere non consentiva nemmeno le più semplici analisi con risorse computazionali e tempi ragionevoli. Questo perché nessuno aveva definito prima di dare vita al progetto scenari d’uso per i dati raccolti che non fossero quelli dell’applicazione che li utilizza. Il dato come “effetto collaterale” dello sviluppo applicativo, come si diceva.

L’atteggiamento corretto per valorizzare il patrimonio informativo

L’obiettivo di una strategia dati può essere riassunto in modo semplice come segue: gestire il portafoglio dei dati aziendali nel miglior modo possibile al fine di massimizzarne il valore. Ma come si assegna un valore ai dati? In un contesto aziendale, in ultima analisi, il valore si misura in termini economici e, tuttavia, nella pratica è molto difficile valutare il ritorno monetario del dato.

In Cefriel proponiamo una misura indiretta, più gestibile operativamente, secondo la quale il valore si misura in base al numero di relazioni digitali che abilita. In pratica questo significa che il valore del dato è proporzionale al numero di applicazioni e servizi che lo utilizzano. Infatti, uno dei principi cardine della nostra strategia consiste nel massimizzare il potenziale di stabilire relazioni digitali dei dati, rendendoli meno dipendenti dall’applicazione specifica per cui sono stati progettati e trasformandoli in “asset” che possono essere riutilizzati a supporto di molteplici servizi a valore aggiunto.

Trattare i dati come “prodotti”

Recentemente, la tesi secondo la quale si possa massimizzare il valore dei dati gestendoli come veri e propri prodotti riscuote un consenso crescente fra gli esperti del settore. In Cefriel lo sosteniamo da anni e applichiamo questa tesi da oltre un decennio.

Per gestire i dati come prodotti occorre dotarsi di tutti i processi e gli strumenti tipici dello sviluppo prodotto, a partire dalla fase di ricerca e sviluppo fino alla garanzia di qualità. E, come ogni prodotto, il dato alla fine deve essere portato sul mercato, pubblicizzato e “venduto”. In questo caso, il mercato è naturalmente un marketplace virtuale, di cui Cefriel ha definito le linee guida, il disegno e i processi di gestione, e che ha sviluppato per molti clienti.

Come ogni decisione strategica di sviluppo prodotto, i costi e i benefici devono essere attentamente valutati, e le priorità chiaramente definite. Per supportare queste decisioni propriamente strategiche, abbiamo sviluppato una metodologia e un cruscotto direzionale che consente di mappare il portafoglio dati aziendale secondo le due dimensioni principali di maturità tecnologica (una componente legata anche al costo) e valore aziendale.

Come definire una Data Strategy aziendale

Detto che la strategia dati dipende dalle priorità di business, definire una buona Data Strategy a livello aziendale è un passo iniziale di fondamentale importanza per guidare le molteplici attività di gestione del dato che ne derivano (data management), ma è per sua natura un’attività con un alto livello di astrazione.

L’esperienza di Cefriel mostra che è più efficace sostanziare la definizione della strategia con una serie di analisi verticali che consentano di valutare lo stato attuale del portafoglio dati dell’azienda e il suo potenziale inespresso, al fine di ricavarne fin da subito indicazioni molto concrete e, se possibile, ritorni positivi anche nel breve periodo.

Un caso che osserviamo spesso è la presenza di una quantità di sorgenti dati distribuite fra le diverse strutture organizzative che avrebbero tutte le caratteristiche necessarie per essere ampiamente condivise e riutilizzate, facendone crescere immediatamente il valore per l’azienda, ma che sono rinchiuse a doppia mandata nei propri silos. L’analisi che svolgiamo inizialmente si traduce in una vista di alto livello dello stato del portafoglio dati sul nostro cruscotto direzionale che consente di individuare a colpo d’occhio queste opportunità.

Un altro problema comune evidenziato in questa fase di analisi, specialmente alle aziende con forte vocazione tecnica, è la presenza di “disconnessioni” nel modello concettuale dei dati. Abbiamo rilevato due esempi di questo fenomeno recentemente in un’azienda che gestisce impianti di climatizzazione e in un’azienda del settore automotive. In entrambe sono presenti strutture tecniche interne dotate di grande rilevanza e autonomia, che adottano strumenti software molto sofisticati e specializzati e che producono e consumano grandi quantità di dati. Ma quasi sempre, il collegamento architetturale con i dati di altre strutture aziendali è debole se non del tutto assente. Questo comporta la difficoltà di mettere in relazione le dimensioni tecnico-specialistiche con concetti altrettanto basilari come, per esempio, cliente e commessa. Oltre a generare inefficienza nell’operatività quotidiana, la scarsa connessione del modello dei dati è una barriera formidabile allo sviluppo di servizi e applicazioni innovative.

Conclusioni

Una buona strategia dati deve combinare al giusto livello una solida impostazione teorica e metodologica con un’analisi verticale dello stato attuale del portafoglio dati per ricavarne principi e linee guida generali, ma anche indicazioni concrete che aiutino a innestare la strategia nel tessuto vivente dell’azienda. Altrettanto importante è poter dimostrare fattualmente, attraverso implementazioni prototipali veloci, come governare il portafoglio dati e come massimizzarne il valore attraverso un opportuno marketplace virtuale. Questo consente di “toccare con mano” come la strategia proposta può essere messa a terra, integrata nei processi aziendali e supportata da strumenti appropriati.

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