La digitalizzazione dei comuni italiani si trova oggi a un punto di svolta: dopo la spinta straordinaria garantita dal PNRR, la sfida è trasformare i risultati ottenuti in un modello stabile e sostenibile. Governance, risorse e competenze diventano i nodi cruciali per non disperdere l’investimento e garantire servizi pubblici realmente inclusivi ed efficienti.
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La fotografia della gestione ICT nei comuni italiani
In questo contesto, il recente rapporto “Mappa dei comuni digitali” [1] rappresenta una fotografia utile per comprendere da dove parte il percorso. I dati raccolti mostrano punti di forza e criticità, offrendo la base su cui immaginare la fase successiva della trasformazione.
Il portale, sviluppato dal Dipartimento per la trasformazione digitale (DTD) in collaborazione con ANCI, ha introdotto un modello innovativo di finanziamento che prevede l’erogazione dei fondi sulla base di obiettivi raggiunti e non di spese sostenute, riprendendo l’approccio già sperimentato con il Fondo Innovazione.
Secondo il rapporto, che ha sottoposto un articolato questionario a tutti i soggetti coinvolti:
- il 75% dei Comuni si affida a fornitori esterni per la gestione operativa dei servizi ICT;
- il 25% gestisce tali servizi in maniera interna.
Non solo: nei comuni sotto i 5.000 abitanti la figura del Responsabile dei sistemi informativi è ricoperta nel 66% dei casi da personale con un profilo amministrativo e non tecnologico.
Si legge inoltre nel rapporto che indipendentemente dalla dimensione demografica dei comuni, la carenza di risorse economiche e risorse umane competenti rappresentano le principali barriere al processo di trasformazione digitale. Non sorprende, quindi, che per l’85% dei comuni le risorse ottenute tramite il PNRR abbiano rappresentato una variabile decisiva in questi anni: un dato che accomuna gli enti piccoli, medi e grandi.
Ma in che direzione sono andate le risorse?
La strategia di centralizzazione delle infrastrutture digitali
I finanziamenti del PNRR si sono mossi verso la creazione di una governance digitale in Italia maggiormente centralizzata, con il ricorso a infrastrutture nazionali (quali il cloud qualificato, il Polo Strategico Nazionale, la PDND (Piattaforma Digitale Nazionale Dati) l’adozione di standard unici).
Il percorso normativo e strategico tracciato dal dipartimento per la trasformazione digitale è chiaro:
- Piano Triennale per l’Informatica 2024-2026: migrazione al cloud, interoperabilità, riuso.
- Strategia Cloud Italia e PSN: classificazione dati/servizi, qualificazione cloud, gestione centralizzata per i dati “critici e strategici”.
- PDND e SPC (Sistema Pubblico di Connettività): abilitazione allo scambio dati in modalità uniforme.
- Architettura nazionale di cybersicurezza: rafforzamento della resilienza attraverso un approccio accentrato.
Le piattaforme create consentono, fra le altre cose, l’erogazione di servizi in forma digitale, quali quelli demografici, di edilizia, urbanistica e scolastici.
Il quadro costituzionale tra centralizzazione e autonomia
Questa tendenza potrebbe generare un’apparente tensione con l’articolo 118 della Costituzione, che, dopo la riforma del Titolo V nel 2011, assegna le funzioni amministrative al livello più vicino al cittadino, salvo necessità di esercizio unitario.
Per sciogliere il nodo costituzionale è necessaria una lettura congiunta dell’art. 118 e dell’art. 117, comma 2, lett. r), che attribuisce la competenza legislativa allo Stato in materia di “coordinamento informativo, statistico e informatico”. Questa disposizione è la base costituzionale per aprire alla standardizzazione e alla interoperabilità dei sistemi informatici.
L’art. 118 riconosce invece i comuni come titolari naturali delle funzioni amministrative, salvo eccezioni. È in questo binomio fra attività amministrativa e competenza legislativa che si gioca il bilanciamento tra centralizzazione tecnologica e autonomia organizzativa nell’esercizio delle funzioni degli enti locali.
La legittimità costituzionale del coordinamento informatico statale
La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che il coordinamento informatico rientra nelle competenze esclusive statali (si veda, ad esempio, Corte Cost. n. 179/2022): lo Stato può quindi introdurre standard e piattaforme comuni, purché nel rispetto della leale collaborazione e senza svuotare le competenze territoriali.
L’alternativa nel processo di digitalizzazione non è “centralizzazione contro autonomie”, bensì una sintesi a mio avviso così articolata:
- centralizzazione delle infrastrutture abilitanti (cloud, sicurezza, interoperabilità);
- rafforzamento delle intese tra Stato, Regioni e enti locali, che vadano nella direzione di creare processi condivisi in termini di design, riuso software e procurement. In particolare, in materia di design di servizi, è centrale la partecipazione degli enti locali e della cittadinanza destinataria, affinché il servizio sia costruito in maniera intuitiva e accessibile.
Economie di scala e massa critica delle piattaforme nazionali
In primo luogo esperienze come quelle di pagoPA e SPID dimostrano che una piattaforma funziona solo se raggiunge una massa critica e garantisce accesso a tutte le pubbliche amministrazioni. Vi è, poi, un aspetto prettamente economico: la creazione di piattaforme regionali o addirittura locali moltiplicherebbe (e ha già moltiplicato in passato) i costi e impedirebbe la realizzazione di economie di scala.
Se poi si rileggono i dati presentati in apertura di questo breve intervento si può fare una considerazione ulteriore: il 75% dei comuni si affida a un soggetto esterno per quanto riguarda la gestione dei servizi informatici, e, nei comuni di piccole dimensioni (circa il 70% dei comuni italiani), il responsabile dei servizi informativi non ha un profilo tecnico adeguato.
I rischi di lock-in e la governance collaborativa come soluzione
Queste due circostanze, lette congiuntamente, aumentano la possibilità di fenomeni di lock in delle amministrazioni (ossia dipendenza strutturale da un fornitore o da una specifica tecnologia, che rende difficile, oneroso o rischioso cambiare soluzione in futuro) e amplia la possibilità che vi siano importanti asimmetrie informative quando la singola amministrazione agisce come committente.
Solo un modello di governance collaborativa tra Stato ed enti locali può ridurre il rischio di lock-in e garantire efficienza, interoperabilità, inclusione e una maggior simmetria informativa con gli attori di mercato.
Note
[1] https://innovazione.gov.it/notizie/articoli/mappa-dei-comuni-digitali-pubblicato-il-rapporto-2025/













