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La PA alle prese col PNRR: abbiamo i dirigenti per fare bene? Le competenze che servono

Conoscenza del PNRR, competenze manageriali e competenze trasversali sono la base del profilo di competenze del management pubblico, se vogliamo essere in grado di costruire il futuro del nostro Paese. Ma cosa serve alla PA italiana non solo per implementare il PNRR ma per renderla alla pari del settore privato?

Pubblicato il 11 Mag 2022

Giusi Miccoli

Strategic Advisor Politiche per il personale e Formazione

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Il PNRR non è semplicemente un insieme di pilastri e di progetti. Il PNRR è il nostro futuro, è il cambiamento atteso della PA e del nostro Paese.

Ma a che punto siamo nell’implementazione del Piano e, soprattutto, quale è l’apporto della dirigenza pubblica e quali competenze questa deve avere per garantirne il successo?

Management pubblico: settore pubblico e privato a confronto

Provocatoriamente partirei da altre domande che mettono a confronto settore privato e ambito pubblico. Perché nel settore privato si ingaggiano i migliori e i più competenti, mentre nel pubblico si cercano i bravi dirigenti amministrativi? Perché nel privato si perseguono obiettivi di business, di cui i manager devono rispondere, mentre nel pubblico si perseguono obiettivi istituzionali in relazione a regole e leggi? Perché nel privato si cercano soprattutto competenze manageriali e trasversali, mentre nel pubblico tali competenze non sono ritenute indispensabili?

PNRR, le Comunicazioni del Presidente Draghi alla Camera dei Deputati

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Con questo articolo non si vuole sostenere che la legge non va rispettata ma che probabilmente non deve essere l’unico strumento nel guidare l’agire del management pubblico. Al dirigente pubblico è richiesto il rispetto della normativa – diritto amministrativo, anticorruzione e trasparenza, sicurezza, privacy, appalti, … –. È richiesta, inoltre, l’assunzione di responsabilità amministrativa, contabile e dirigenziale, responsabilità a cui attenersi nello svolgimento del lavoro quotidiano e delle varie attività strategiche e operative. Responsabilità che indicano il “come” raggiungere gli obiettivi istituzionali dell’ente di appartenenza, incidendo spesso in modo parziale sul “cosa” (obiettivi), sul “perché” (finalità), sul “chi” (destinatari e più in generale stakeholder) e sul “quando” (milestones e scadenze). Essere focalizzati sul “come” rallenta inevitabilmente il processo decisionale e l’avanzamento delle attività e incide spesso negativamente sul raggiungimento degli obiettivi. Vogliamo quindi un dirigente prevalentemente orientato al “come”? Riusciremo quindi a perseguire gli obiettivi del PNRR?

Davide contro Golia: la PA alle prese con il PNRR

Proviamo ora ad adottare una concezione innovativa della dirigenza pubblica che abbia un profilo articolato di competenze manageriali, organizzative, trasversali e professionali.

Innanzi tutto, al management pubblico è richiesta una profonda conoscenza del PNRR non solo relativamente alle priorità della PA. È necessaria una conoscenza profonda delle 6 missioni e delle 16 componenti in linea con i sei Pilastri del Regolamento Recovery and Resilience Facility (Dispositivo per la ripresa e la resilienza). Se vogliamo garantire la ripresa dell’economia europea, la PA e i suoi dirigenti dovranno sviluppare piani e progetti per le sei grandi aree di intervento.

Perché il dirigente pubblico deve essere anche project manager

In che modo? Se la priorità é l’implementazione del PNRR, allora il dirigente deve essere soprattutto un project manager. E tre sono i buoni motivi:

  • perché in epoca di PNRR bisogna gestire progetti complessi che coinvolgono risorse economiche, persone e tecnologie;
  • perché nella nuova organizzazione del lavoro – necessaria nel periodo post-pandemico – lo Smart working implica il cambiamento organizzativo e una diversa gestione delle persone;
  • perché è indispensabile lavorare per obiettivi trasformando i programmi in piani di lavoro e quindi in progetti.

Quali sono le competenze richieste ad un project manager che dovrà operare per il PNRR? Progettazione, pianificazione, gestione e valutazione di progetti e attività, il tutto per raggiungere obiettivi, impegnando risorse e gestendo persone.

Queste competenze non sono però nuove. Al dirigente è sempre stato richiesto di organizzare risorse economiche, persone, processi, tecnologie. Al dirigente compete l’organizzazione, che deriva dalla parola greca organon, il cui significato è, infatti, strumento, mezzo. L’organizzazione è, infatti, uno strumento per raggiungere gli obiettivi. Purtroppo, al dirigente negli anni é stato sempre più chiesto di occuparsi di procedimenti amministrativi e di rispetto della normativa, dall’anticorruzione alla sicurezza, dalla 241 alla privacy, dalla performance agli appalti. E questo ha un po’ snaturato il suo ruolo e lo ha portato nella palude delle norme.

Invece, il dirigente dovrebbe occuparsi anche di organizzazione. Deve allocare le risorse economiche, conoscere il personale e distribuire il carico di lavoro in base alle competenze, assegnare attività al gruppo di persone che lavora con lui, utilizzare le tecnologie ai fini del miglior funzionamento del suo ufficio e dell’efficienza lavorativa. Così come saper pianificare: programmare il lavoro in funzione dell’arco temporale di riferimento, delle attività/obiettivi da implementare, del personale assegnato. Sembra scontato che il dirigente pubblico si occupi di tutte queste attività ma purtroppo accade che la “gestione della norma” sottragga tempo all’organizzazione del lavoro.

Oltre a queste competenze, al dirigente pubblico sono, inoltre, necessarie le competenze trasversali, quali ad esempio:

  • capacità decisionali e di innovazione e quindi leadership;
  • capacità comportamentali quali la gestione dei collaboratori, la gestione del conflitto e la negoziazione, l’ascolto, la comunicazione assertiva, la gestione del tempo, …;
  • capacità concettuali quali la gestione per obiettivi, il problem solving, l’orientamento strategico, l’analisi e la sintesi, la creatività la prospettiva sistemica, l’apprendere ad apprendere, ….

Un insieme articolato di competenze che proprio in questo particolare periodo storico consentono di diventare Golia nel mare magno del PNRR.

Infine, tra le competenze professionali sono necessarie non solo quelle relative alla gestione dei procedimenti e più in generale quelle attinenti al diritto amministrativo. Un esempio? Se tra le priorità del PNRR ci sono la digital transformation e la green transition allora i dirigenti dovranno avere adeguate competenze. Sembra scontato ma così non è. Sono tante le amministrazioni che in importanti ruoli di responsabilità hanno collocato i dirigenti interni premiando l’esperienza amministrativa e non cercando la persona giusta per il posto giusto. Spesso dipende da chi si ha a disposizione, ma può anche accadere che gli stessi vertici amministrativi o politici non sappiano chi cercare e come individuarlo.

Conoscenza del PNRR, competenze manageriali e competenze trasversali sono quindi la base del profilo di competenze del management pubblico, se vogliamo essere in grado di costruire il futuro del nostro Paese.

Valorizzare il patrimonio interno e scegliere i migliori sul mercato

Cosa serve quindi alla PA italiana non solo per implementare il PNRR ma per renderla alla pari del settore economico privato?

La strada è costruire una nuova dirigenza pubblica potenziando le competenze di chi è già all’interno ma anche assumendo sul mercato dirigenti con competenze manageriali, trasversali e professionali altamente specializzate.

Da dove partire? Una delle vie indicate dallo stesso Ministro Brunetta è la valutazione delle competenze. Si deve andare oltre l’esercizio burocratico della valutazione delle performance e introdurre un assessment delle competenze professionali, trasversali e manageriali. Il doppio vantaggio è, da un lato, mappare l’esistente, valorizzando le esperienze, le professionalità interne, le competenze “nascoste”, e, dall’altro, rilevare il gap tra “as is e to be” utile per progettare le selezioni esterne, in termini di concorsi e incarichi.

Sul versante della selezione di nuovi dirigenti smettiamo quindi di fare i concorsi solo per assumere dirigenti amministrativi. Servono dirigenti con capacità manageriali e trasversali.

Introduciamo nuove procedure concorsuali per selezionare i migliori in base a specifici profili professionali, articolati in competenze manageriali, organizzative, trasversali. Diverse sono le esperienze di concorsi innovativi, in cui per selezionare i migliori sono stati utilizzati role playing e in basket e solo in parte test e verifiche su aspetti amministrativi.

Un ulteriore strumento potrebbe essere quello della mobilità esterna: con il passaggio da una pa all’altra si valorizzano le professionalità e le competenze e si ha la possibilità di conoscere nuovi contesti organizzativi, che aiutano il confronto, lo scambio e l’apprendimento. Tra l’altro la mobilità del personale tra diverse amministrazioni è arricchente per il singolo ma soprattutto per l’organizzazione. Lavorare per 40 anni sempre nel medesimo contesto non porta vantaggi per nessuno e anzi ostacola l’innovazione. E nel settore privato non accade mai di trovare lo stesso manager sempre nella stessa azienda, a meno che non ne sia il proprietario.

Una scommessa da non perdere

Il successo del PNRR si basa sulla capacità della nostra Pa di reperire figure manageriali di elevata professionalità come avviene nel privato e quindi sulla necessità di selezionare il bravo manager e non semplicemente il bravo dirigente amministrativo. Nel settore privato si selezionano i competenti, iniziamo a farlo anche nella Pa italiana.

Per far sì che questo futuro si realizzi anche grazie al PNRR, abbiamo bisogno di tanti “piccoli Davide”. Di tanti dirigenti altamente specializzati e in grado di organizzare persone, risorse e tecnologie. È un sogno? Lo vedremo. Ma se volete continuare a sognare, non fermatevi a guardare quello che sta avvenendo in questi giorni con la progressiva riduzione dello smart working: il ritorno al controllo ‘de visu’ dei collaboratori. Uno stile manageriale improntato al controllo e non alla motivazione, orientato alla gestione delle attività e non al management per obiettivi, direttivo e che non investe su autonomia e responsabilità dei dipendenti.

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