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Nuovo PNRR, più risorse per innovazione e digitale: ecco la via “Draghi”

L’obiettivo del nuovo Governo è portare a casa i 5 miliardi di fondi Ue. Tra le maggiori novità della nuova impostazione, l’attività di raccordo con i decreti già in attuazione. Focus su infrastrutture digitali, pochi cambiamenti su transizione 4.0. Facciamo il punto

Pubblicato il 16 Mar 2021

Giacomo Bandini

Competere

digitalizzazione agenda draghi

Pochi cambiamenti tecnici ancora, ma un imprinting più internazionale e un maggiore collegamento con le riforme. Così si potrebbe descrivere in poche parole la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) su cui sta lavorando il nuovo governo.

Più risorse per l’innovazione e il digitale e particolare attenzione al trasferimento digitale.

Si cerca di migliorare la strada già tracciata dall’esecutivo Conte 2 anche perché il tempo stringe e non è possibile materialmente stravolgere il precedente piano. Sembra sempre più chiaro che l’obiettivo primario di Mario Draghi e la sua squadra di fedelissimi – a prescindere dalla gestione sanitaria – è quello di portare a casa i fondi europei per i prossimi 5 anni, convincendo la Commissione UE che l’Italia ce la può fare.

Un primo segnale dell’impegno immediato del governo Draghi lo ha fornito il ministro dell’economia e delle finanze, Daniele Franco, che più di tutti avrà parola sul piano finale insieme probabilmente al Comitato interministeriale per la programmazione economica. Durante l’audizione presso le Commissioni Bilancio, Finance e Politiche dell’Unione Europea hanno garantito massima priorità e accelerazione sul #NextGenerationItalia per accedere il prima possibile a una parte delle risorse tramite i prefinanziamenti che sono quantificati nella cifra di 25 miliardi di euro. Una fetta consistente per iniziare a impostare i piani specifici per ogni missione delineata nella strategia di rilancio e anche mostrare a imprese e cittadini un certo dinamismo.

Le novità del “metodo Draghi”

Una delle principali differenze del “metodo Draghi” rispetto a chi lo ha proceduto è l’attività di raccordo con i decreti già in attuazione e le riforme chieste dall’Unione Europea per avere pieno accesso ai prestiti. I decreti fungono infatti da base preesistente per poi poter incardinare i progetti specifici che, si vocifera, potrebbero essere meno di quei cinquecento che si erano visti l’anno passato e sui quali erano sorti molteplici dubbi da parte delle parti sociali e dei commentatori (si ricordino le numerose proposte dedicate alle singole amministrazioni per decine di milioni ad hoc). Le risorse, invece, dovrebbero essere allocate in base alle singole riforme che l’UE ha esplicitamente chiesto di portare avanti e che hanno un respiro molto più ampio. Dal tema della lentezza processuale civile, al necessario ammodernamento delle pubbliche amministrazioni tout court, alla scuola e alla sanità pubbliche.

Transizione 4.0: tappe e obiettivi

Il nuovo corso difficilmente cambierà, ad esempio, quanto previsto sul piano della digitalizzazione e dell’innovazione. Per la Transizione 4.0 non si intravedono grandi novità sulle cifre o sugli strumenti. Il sistema dei crediti di imposta rimarrà invariato con un focus specifico sui tre pilastri dei beni materiali e immateriali, della formazione 4.0 e della R&S-innovazione-sostenibilità ambientale.

Le tappe previste sono:

  • impegno del 100 % delle risorse stanziate entro il 2024,
  • istituzione di un comitato tecnico-scientifico per la valutazione,
  • monitoraggio e attuazione delle misure (entro il secondo trimestre del 2021).

Mentre gli obiettivi finali al 2026 sono:

  • numero di imprese che acquistano beni strumentali ad alta tecnologia: 60mila all’anno, ripristinando un aumento del 20 % (scenario di base: 50mila all’anno),
  • numero di imprese che investono in R & S & I: 25mila volte l’anno.

Il nodo delle infrastrutture: le sette aree di intervento

Senza infrastrutture, però, sembrano obiettivi difficili da raggiungere. E anche il governo Draghi ha intenzione di puntare molto sul potenziamento della copertura della banda ultralarga fino a 1 Gbit/s per sostenere la realizzazione di reti in aree strategiche.

I progetti previsti saranno suddivisi in sette aree prioritarie di intervento:

  • Piano Italia 1 Gbit/s. Per una maggiore diffusione delle nuove reti in fibra sul territorio nazionale, grazie alle risorse del Recovery Fund, sarà raggiunto circa il 30 % delle unità residenziali di 8,6 milioni di unità ancora in dissesto digitale rispetto alla società dei gigabit. Il restante 70 % delle risorse necessarie sarà raccolto da altre fonti di finanziamento,
  • Completamento del Piano Scuole. L’obiettivo è fornire a tutte le strutture scolastiche italiane servizi di connettività a banda larga fino a 1 Gbit/s in download, al fine di soddisfare le esigenze di connettività per la realizzazione e la realizzazione del sistema di insegnamento per studenti e insegnanti, in particolare per quanto riguarda i requisiti che emergeranno all’inizio dell’anno accademico 2020-2021,
  • Piano delle strutture sanitarie. L’obiettivo del progetto è interconnettere oltre 12.000 strutture sanitarie, personale sanitario e pazienti, rafforzare la resilienza e la corposità del sistema sanitario,
  • Piano in fibra per i parchi naturali,
  • Piano in fibra ottica per musei e siti archeologici. L’obiettivo del progetto è fornire a tutti i musei e ai siti archeologici del territorio italiano una rete Wi-Fi gratuita, gratuita e ampiamente distribuita (cfr. Componente sul Turismo e la Cultura),
  • Diffusione della rete 5G negli impianti sportivi pubblici,
  • Fibra per il 5G lungo le vie di comunicazione extraurbane. Le dorsali in fibra ottica saranno realizzate integrando le dorsali esistenti e installando nuove infrastrutture sulle strade provinciali, per favorire la diffusione delle reti e dei servizi 5G a sostegno della sicurezza stradale, della mobilità, della logistica e del turismo nelle zone extraurbane.

Focus sui microprocessori

Interventi strategici sono previsti peraltro anche per il settore dei microprocessori ritenuto strategico per competere sul piano industriale, costituendo essi la base per l’implementazione di nuove tecnologie nei processi produttivi e nella fornitura di servizi ad alta innovazione e produttività.

La misura pensata dal governo intende incentivare investimenti in macchinari, impianti e attrezzature di produzione con un contributo pari al 40 % delle spese ammissibili per microprocessori. Le risorse assegnate ammontano a un totale di 750 milioni di euro (250 milioni di euro l’anno per un periodo di tre anni) che produrranno investimenti diretti complessivi nelle catene di approvvigionamento ad alta tecnologia di 1.875 milioni di euro, cui si aggiungeranno ulteriori investimenti derivanti da impatti positivi sulle attività satellitari. L’idea è quella di procedere per bandi di gara e finanziamenti pubblici aperti ai progetti dei privati che dopo valutazione potranno accedere agli investimenti (entro il secondo trimestre 2023).

L’impostazione di politica economica

Come anticipato, il governo Draghi sarà impegnato soprattutto nella rielaborazione e ristrutturazione di quanto già impostato precedentemente. Poco spazio ci sarà per mirabolanti (da alcuni auspicati) capovolgimenti.

Tuttavia, è evidente come le prime modifiche effettuate mirano a ricollegare strettamente le aree di intervento nello schema di riforme suggerito dalla Commissione Europea all’Italia in numerose occasioni. Ad esempio, sul tema della ricerca e sviluppo e della creazione di infrastrutture digitali che accompagnino un maggiore sviluppo delle relative competenze, così come per la transizione ecologica i cui obiettivi sono stati fissati nel New Green Deal europeo.

Un altro elemento con cui bisognerà fare i conti è il ruolo di Draghi e l’impostazione di politica economica che imprimerà a tutta l’operazione. Ormai è evidente il grande ritorno della programmazione o pianificazione (il ruolo dei nuovi Comitati interministeriali è da intendersi in quella direzione) stile economia mista di mercato con cui l’Italia si risollevò nel Secondo Dopoguerra.

L’ex governatore della BCE sembra procedere in quella direzione in perfetta armonia con quanto sta accadendo nel resto dell’UE. Resta da capire se la programmazione sarà efficace in un paese dominato per decenni dalla confusione circa il ruolo del pubblico nelle strategie economiche. In questo senso, è auspicabile un maggiore sforzo per costruire un sistema di ricerca di base che coinvolga tutti gli attori del sistema (centri di ricerca e accademia insieme con i privati) e si occupi soprattutto di trasferimento tecnologico e formazione avanzata.

I competence center, insieme a enti come la Fondazione Enea Tech, potrebbero giocare un ruolo di primo piano. Perché non dedicare più risorse in questa direzione?

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