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Bitcoin e criptovalute, quali garanzie legali per chi investe

L’investitore ha diritto e necessità di acquisire tutte le informazioni sui soggetti emittenti bitcoin e corre un rischio speculativo. Vediamo quali garanzie e tutele legali ci sono, al momento, alla luce delle delibere Consob e dell’attuale giurisprudenza

Pubblicato il 08 Feb 2018

Milena Prisco

Of Counsel Pavia e Ansaldo

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In questo clima burrascoso per i bitcoin – con un susseguirsi di notizie e ottovolante delle quotazioni – per chi vi investe è diventato prioritario comprendere le tutele legali e i possibili rimedi per minimizzare il rischio di un default.

Le domande si moltiplicano ma purtroppo – e si spera solo per il momento- non sempre è agevole poter dare delle risposte esaurienti. Ci proviamo.

L’assenza di regole bitcoin

Bitcoin, criptovalute et similia infatti mancano nella maggior parte delle giurisdizioni di una normativa primaria o regolamentare (vedi quadro norme bitcoin e crittovalute), che sia in grado di disciplinarne l’esistenza e gli effetti. Anche se proprio ieri dalla Sec, l’organo di vigilanza delle Borsa Usa e della Commodity Futures Trading Commission è trapelato che chiederanno al Congresso americano di prendere in considerazione l’ipotesi di un controllo a livello federale delle piattaforme per gli scambi di monete digitali. Ma pochi giorni fa anche il ministro dell’Economia Padoan ha dichiarato che “Il sistema delle criptovalute va regolato e le Banche centrali si stanno attrezzando per farlo, per evitare lo scoppio di bolle”.

Quale approccio per l’investitore

Proviamo a mettere ordine e capire quale possa essere un approccio quanto meno prudente e tutelante per l’investitore italiano. Le criptovalute si acquistano su specifici portali on line, si ricevano in cambio beni e servizi – quando ritenute un mezzo di pagamento – o quale commissione per i “minatori” (le persone che le estraggono sulle blockchain). Gli scambi di criptovalute avvengono, invece, su piattaforme (gli exchange), che il più delle volte offrono all’investitore anche il servizio di custodia del wallet, il portafoglio virtuale su cui si depositano le criptovalute, che gestisce la chiave digitale e che, aperto con una propria password, consente l’esecuzione delle singole transazioni.

L’apertura di un wallet non richiede la sottoscrizione di contratti bancari né tantomeno l’espletamento di procedure di adeguata verifica della clientela. Questo perché le criptovalute non sono sottoposte agli obblighi di legge applicabili alle istituzioni finanziarie. Il livello di sicurezza di un wallet dipende da ogni singolo operatore e deve essere, quindi, attentamente valutato e monitorato dall’investitore. Le piattaforme più affidabili richiedano all’investitore la doppia autenticazione, verificata tramite  indirizzo e­ mail e  numero di telefono. Questo garantisce oltre alla identificazione dell’utente basata su username e password, anche l’invio sul cellulare un codice alfanumerico permettendo l’accesso al wallet.

Le caratteristiche di ciascuna criptovaluta sono uno dei driver da cui dipende il loro valore, soggetto a continue oscillazioni a causa di variabili che sono ponderabili difficilmente, e quindi la loro appetibilità per l’investitore. Tra questi la tipologia della tecnologia blockchain sottostante che impatta sulla modalità delle transazioni, la velocità dell’esecuzione, il livello di privacy, l’accesso ai siti che consentono i pagamenti in cripto valute nonché il costo di estrazione, che comporta ingenti quantità di energia elettrica, stimata nel fabbisogno di seicento mila famiglie americane. A tanto si aggiunga il libero scambio di domanda e offerta condizionato, in primis, dal fatto che le criptovalute vengono emesse in una quantità determinata dalla struttura dell’algoritmo sottostante.

Il numero di Bitcoin è, per esempio, limitato a 21 milioni. Si prevede che l’estrazione del 99% delle valute si compirà entro il 2027. Ci sono poi in continua crescita le criptovalute create appositamente per la raccolta di capitale da parte di startup mediante le ICOs, che vengono estratte e fatte circolare su blockchain proprietarie, appositamente sviluppate per progetti specifici o su blockchain terze come Ethereum. Il valore spesso dipende da fattori legati al successo o meno della startup e del progetto finanziato.

Stando così le cose, è molto complesso per un investitore avere punti fermi per una valutazione preliminare della criptovaluta che si intende acquistare. Ne consegue che sempre più spesso occorre “affidarsi” alle informazioni diffuse dall’emittente o dai portali che operano come cambio valuta o che comunque fanno da trader. Il come “affidarsi” diventa nevralgico in termini di tutela legale dal momento che l’assenza di una disciplina nazionale e sovranazionale toglie garanzie. Questo rimette il più delle volte agli operatori e avvocati l’individuazione di soluzioni giuridiche, sorrette da ragionamenti analogici con istituti regolati nei diversi ordinamenti, per individuare, innanzitutto, la natura giuridica delle criptovalute.

Quali tutele per chi investe in bitcoin

Il dibattito sulla natura giuridica delle criptovalute è cruciale dal momento che proprio da essa dipende il grado e la tipologia di tutela degli investitori. Si tratta di monete o di strumenti/prodotti finanziari? Come si possono configurare le attività rese dai portali che offrono investimenti su criptovalute? Gli orientamenti nazionali vanno dai più radicali ai più possibilisti ma oscillano tutti sul principio che finchè non esisteranno norme definite e certe la valutazione sulla natura delle criptovalute deve essere fatta caso per caso. Sicuramente la moneta virtuale non va confusa con la moneta elettronica, disciplinata a livello comunitario dalla Direttiva 2009/110/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio il 16 settembre 2009.

Il punto di collisione fra Bitcoin e normative nazionali è nella loro assimilazione a strumenti finanziari come un’azione o un’obbligazione con connessi diritti. Ad esempio la restituzione dell’obbligazione o una remunerazione in termini di revenue sharing o profit sharing (in bitcoin o in utilizzo del servizio) o addirittura con una partecipazione societaria che si esprime con un diritto di voto in organi societari.

A rendere la tutela dell’investitore ancora più complicata si aggiunga la frequente difficoltà ad individuare il soggetto intermediario nonché il territorio e la giurisdizione di riferimento, dove poter adire – in caso, un tribunale – a tutela dei propri interessi ove lesi.

Atteso lo stato dell’arte, al momento non ci sono ricette pronte a prevenire i “mali” delle criptovalute né tanto meno a curarli, pur tuttavia è possibile fissare dei principi che l’investitore intenzionato ad investire in criptovalute attraverso portali o cambia valuta, i così detti exchanger, deve seguire.

Qualche criterio ci viene fornito dall’unica sentenza italiana e da alcune delibere Consob che ci aiutano a comprendere quando ci possa essere una competenza delle autorità italiane ad intervenire e quali strumenti legali azionare.

LEGGI TUTTI I RISCHI DI UNA STRUTTURA DECENTRATA BITCOIN

Sentenze e delibere

Il Tribunale di Verona con la sentenza n. 195 del 2017, ha stabilito la “nullità” del contratto intercorso fra un utente italiano ed una piattaforma facente capo ad una società italiana che aveva corrisposto valuta avente corso legale in cambio di Bitcoin e quindi la restituzione della somma investita. Il giudice accogliendo le domande dell’utente ha accertato che aveva agito da consumatore e l’attività svolta dal portale era stata condotta in violazione degli obblighi legali di forma e di informativa precontrattuale previsti agli artt. 67-duodecies ss del Codice del Consumo. Il Tribunale ha ritenuto che al rapporto conclusosi on-line si applicassero le norme relative alla fornitura dei servizi finanziari ai consumatori italiani nelle operazioni di cambio di valuta in corso contro unità di criptovaluta e in particolare le previsioni relative alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori.

Queste prevedono che il consumatore ha diritto a ricevere tutta una serie di informazioni prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta. Ad esempio l’identità, anche geografica, del fornitore e del suo rappresentante, l’identità del professionista e della veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore; l’iscrizione del fornitore in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte; le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli; il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato; il rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza; i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento; lo Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza.

La decisione di Verona è inequivocabile: i cambia valuta (i.e. gli exchanger) forniscono servizi finanziari: devono inderogabilmente rispettare gli obblighi informativi precontrattuali verso l’investitore/consumatore che ha diritto di pretenderli. Nel caso in cui la piattaforma facesse capo ad un soggetto straniero, l’applicazione del diritto italiano non è scontata potendo ricorrere solo in determinate situazione ed a certe condizioni. Come emerge ad esempio da due delibere Consob (n 19968/2017 e 2027/2017), i siti redatti in lingua italiana rappresentano elementi “inequivocabili” circa il fatto che l’offerta di investimenti sia rivolta al pubblico residente in Italia con la conseguenza che al ricorrere di certe condizioni anche i soggetti stranieri sono assoggettabili alla legge italiana. In particolare alle disposizioni del Testo Unico della Finanza (TUF).

La Consob ha chiaramente stabilito che i “pacchetti di estrazione di criptovalute” hanno la natura di “prodotto finanziario sub specie di investimento di natura finanziaria” lì dove implichino la compresenza di un impiego di capitale;  un’aspettativa di rendimento di natura finanziaria; l’assunzione di un rischio connesso all’impiego di capitale. Ebbene, davanti a questo tipo di prodotti finanziari, venduti in termini standardizzati e uniformi, si profila quindi un’ipotesi di un’offerta al pubblico definita nell’art. 1, comma 1, lett. t del TUF con conseguente obbligo preventivo di pubblicazione di un prospetto informativo a tutela dell’investitore. Inoltre “prima della pubblicazione del prospetto è vietata la diffusione di qualsiasi annuncio pubblicitario riguardante offerte al pubblico di prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari comunitari”.

Nel caso esaminato dalla delibera n. 19968 Coinspace Ltd attraverso il sito www.coinspace1.com non aveva adempiuto agli obblighi di prospetto ragione per cui la Consob, dopo una sospensione preliminare, ne ha vietato l’attività di pubblicità e offerta agli investitori italiani. Stessa sorte è toccata a Crypto Trade Capital con sede ad Alicante, lì dove la Consob ha accertato che l’offerta al pubblico italiano di “portafogli di investimento”, cui era collegata la promessa di rendimenti periodici predeterminali, consisteva in un’offerta di “investimenti di natura finanziaria” che richiede la preventiva comunicazione alla Consob ed il prospetto informativo destinato alla pubblicazione. Nel caso di applicazione della normativa italiana del TUF, l’investitore ha a disposizione l’azione di nullità che l’articolo 23 dispone per i casi in cui non è stata rispettata la forma scritta a pena dei nullità delle relative transazioni poste in essere dall’utente e con la piattaforma. Chiedere un contratto scritto in un’epoca orami paperless e digitale sembra anacronistico, pur tuttavia rimane un elemento indispensabile per poter far valere i propri diritti.

Con riferimento, infine, agli investimenti di criptovalute emesse con ICO, la situazione è ancora più complessa dal momento che il rapporto contrattuale fra investitore e startup è regolato dai white paper. Si tratta sostanzialemente di “condizioni generali di servizio”, soggette alla legge del luogo di emissione dei token, che non contengono procedure di reclamo o di contestazione a difesa dell’investitore. Quest’ultimo si potrebbe trovare sprovvisto quindi della pur minima tutela legale e contrattuale dopo l’acquisto dei token, considerato irreversibile e espressamente compiuto con dichiarazione di piena conoscenza e assunzione del rischio da parte dell’investitore circa la natura dei token acquistati.

In conclusione, la prima buona norma da seguire è la prudenza: l’investitore deve richiedere tutte le informazione necessarie ad individuare i soggetti emittenti e soprattutto la tipologia delle criptovalute che si intendono acquistare.

Solamente partendo da qui si può da subito disegnare il perimetro della tutela legale.

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