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Cashback, il ritorno nel 2022: ecco perché serve all’Italia e come migliorare la misura

Il Governo valuta di fare ripartire il Cashback nel 2022, ora sospeso; ma con alcune modifiche per renderlo più efficace. Perché in effetti la misura è servita ai pagamenti elettronici italiani. Ecco come renderla ancora più efficace

Pubblicato il 12 Ott 2021

Valeria Portale

Direttore dell’Osservatorio Innovative Payments e dell’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano

Giulia Spinelli

Analista dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano

cashback

Cashback, sembrava una storia finita e invece no: il Governo in effetti ne riconosce il valore a incentivo dei pagamenti elettronici in Italia. Ma alcune modifiche andranno fatte per renderlo più efficace.

Cos’è il cashback e la sua sospensione

Ricordiamo che la misura prevede la restituzione del 10% di quanto speso per gli acquisti in negozio con carta di pagamento. L’incentivo è stato introdotto dal Governo presieduto da Giuseppe Conte con il decreto n. 156 del 24 novembre 2020 e si inserisce come misura a favore dei consumatori nel più ampio piano di incentivazione dei pagamenti digitali denominato Piano Italia Cashless. Il Cashback è stato oggetto fin da subito di una vasta attenzione mediatica e, soprattutto, ha avuto una forte connotazione politica. La misura è stata poi sospesa in corsa dal Governo attuale presieduto da Mario Draghi con il decreto-legge n. 99 del 30 giugno 2021 per il secondo periodo di riferimento (1° luglio 2021 fino al 31 dicembre 2021).

Ma il cashback non è misura per ricchi, ecco cosa è successo davvero

I vantaggi del cashback per i pagamenti elettronici

Tuttavia, in occasione dell’audizione sulla Nadef, lo stesso ministro dell’Economia Daniele Franco ha sottolineato che “il Cashback è stato uno strumento molto importante per i pagamenti elettronici”, spiegando l’importanza di questi mezzi di pagamento, sia perché utili nel contenere l’evasione fiscale, in quanto tracciabili, sia perché più efficienti del contante.

Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, i pagamenti digitali hanno registrato una crescita del 23% nel primo semestre 2021, periodo in cui era attivo il Cashback, raggiungendo i 145,6 miliardi di euro. Ancora più marcata è la crescita del numero di transazioni: si è passati da 2,3 miliardi di transazioni con carta nel 2020 a 3,2 miliardi nel primo semestre 2021 (+41%). Di conseguenza, è diminuito nettamente anche lo scontrino medio, da 51,7 euro a 45,7 euro, segnando una decrescita di oltre l’11% e indicando un uso più frequente della carta, anche per importi minori. Considerando il primo semestre molto negativo del 2020 a causa dei lockdown e della pandemia, è necessario confrontare il primo semestre 2021 con il primo semestre 2019 per capire se davvero il cashback ha avuto effetto.

Si registra una crescita del +15% in termini di transato rispetto al primo semestre 2019, con un CAGR del 7,5% di poco inferiore rispetto al CAGR 2017-2019 pari a 10,7%. In termini di numero di transazioni, si vede una crescita del +35% rispetto al primo semestre 2019, con un CAGR del 18% in linea con il CAGR 2017-2019. Possiamo quindi affermare che nel 2021 si è recuperato il gap del 2020 e si è mantenuta una crescita simile al periodo pre-pandemia, un ottimo risultato considerando il drammatico calo dei consumi (che non sono ancora tornati ai valori del 2019). Queste sono delle prime evidenze molto positive su un maggiore utilizzo delle carte nel periodo di validità del Cashback, è importante però sottolineare che sono necessarie delle analisi strutturate e approfondite per valutare il nesso causale tra il maggiore utilizzo dei pagamenti digitali e l’incentivo.

Il ritorno del cashback, ma modificato

Il ministro Daniele Franco al MEF ha anche aperto alla possibilità di una proroga della misura nel 2022, enfatizzando però la necessità di un’analisi dei costi e dei benefici del Cashback e la possibilità di introdurre degli aggiustamenti.

Le modifiche

Quali?

  • Stando alle ultime indiscrezioni, il Governo starebbe ipotizzando di modificare il programma per destinarlo alle sole fasce della popolazione con un reddito medio-basso.
  • Fra le modifiche anche una riduzione del numero minimo di transazioni necessarie per accedere al bonus (inizialmente erano richieste almeno 50 transazioni a semestre) e
  • una riduzione delle risorse stanziate a circa 500 mila euro all’anno, di gran lunga inferiore rispetto a quanto previsto inizialmente (circa 4,75 miliardi di euro per i tre semestri, SuperCashback compreso).

Ricordiamoci che questa iniziativa aveva come obiettivo principale quello di cambiare le abitudini degli italiani, in modo indistinto rispetto al reddito, quindi il Governo nel definire un target più limitato dovrà chiedersi se l’iniziativa consentirà comunque di mantenere gli obiettivi prefissati.

Non si può negare che il Cashback abbia presentato fin da subito alcune criticità, quindi la volontà del Governo di apportare delle modifiche per rilanciarlo è sicuramente un segnale positivo, soprattutto se, come detto dal Ministro Franco, queste modifiche saranno basate su un’analisi dei costi e dei benefici. Tra le criticità emerse fin dal primo periodo sperimentale, il cosiddetto Cashback di Natale, vi sono i requisiti necessari per accedere al bonus.

Ridurre le barriere digitali

È infatti necessario scaricare l’App IO, il che presuppone il possesso di uno smartphone sufficientemente evoluto e il possesso di SPID o Carta di Indentità Elettronica (CIE) per l’autenticazione, e possedere una carta di pagamento abilitata agli acquisti online. Tutti questi requisiti presuppongono una certa predisposizione al digitale e un determinato livello di educazione finanziaria, mentre il programma, per essere il più efficace possibile, dovrebbe essere facilmente accessibile da tutte le fasce della popolazione, soprattutto quelle meno avvezze all’utilizzo del digitale, proprio per spingerle ad utilizzare questi strumenti, in alcuni casi per la prima volta. Una delle critiche mosse al programma riguarda proprio il basso grado di adesione: solo il 18% della popolazione avente diritto si è iscritta al Cashback per il primo semestre 2021 e solo il 16% ha effettuato almeno una transazione valida ai fini del programma.

Ridurre il più possibile queste barriere renderebbe la misura più accessibile a tutti. Lo stop forzato, tuttavia ha interrotto un percorso naturale di crescita: il numero di utenti iscritti era in continua crescita. Nei primi tre mesi (da dicembre 2020 a febbraio 2021) erano iscritti 7,9 milioni di cittadini italiani, con una crescita giornaliera di circa 8.500 cittadini, fino ad arrivare a 8,9 milioni di cittadini iscritti a fine giugno 2021. Se l’iniziativa fosse stata mantenuta attiva, il numero di iscritti avrebbe raggiunto 10-11 milioni nel secondo semestre 2021 (20% della popolazione).

Ad oggi, però, come detto, le indiscrezioni non riguardano modifiche alla modalità di iscrizione. Bensì, una delle modifiche proposte dal Governo sembrerebbe quella di destinare il bonus alle fasce della popolazione con un reddito medio-basso, per evitare che la misura incentivi eccessivamente le famiglie più abbienti, aggravando le disparità economiche. L’attenzione all’uguaglianza economica è sicuramente un fattore positivo, è però necessario che sia basata su evidenze reali. Sulla carta, guardando alle regole del Cashback non sembrerebbe così, perché l’accesso al rimborso è basato sul numero di transazioni effettuate e non sull’ammontare speso: era necessario raggiungere 50 transazioni con carta di pagamento, di qualsiasi importo, anche ridotto. Inoltre, limitare l’accesso all’incentivo basandosi esclusivamente sul reddito potrebbe essere fuorviante, perché lo scopo della manovra è incentivare l’utilizzo dei pagamenti digitali tra tutta la popolazione italiana, quindi l’attenzione dovrebbe essere posta sul grado iniziale di utilizzo dei pagamenti digitali, in modo tale da concentrare le risorse laddove è richiesto, ossia sui cittadini con un basso grado di utilizzo dei pagamenti digitali, che non necessariamente sono quelli con un reddito minore.

Inoltre, quello del reddito rappresenta un ulteriore requisito necessario per accedere al bonus ed è fondamentale studiarne attentamente la modalità di verifica, per evitare che si traduca in un’ulteriore barriera all’ingresso, pregiudicando ancora una volta il tasso di partecipazione all’iniziativa.

Cashback nei settori del nero

In alternativa o in aggiunta, il Governo potrebbe valutare di promuovere l’incentivo in quelle categorie merceologiche dove l’economia sommersa è più presente. Certamente sarà necessario includere nel cashback anche i pagamenti più innovativi fatti con gli smartphone in modalità NFC che nel primo semestre 2021 sono stati penalizzati.

Perché è importante incentivare i pagamenti digitali in Italia

Infine, bisogna sottolineare ancora una volta il perché è auspicabile adottare in Italia una politica solida di incentivazione dei pagamenti digitali.

Da un lato, i pagamenti digitali rappresentano un fattore di modernità dell’intero sistema Paese, in quanto permettono di offrire servizi innovativi che il contante ostacola o addirittura preclude, si pensi per esempio al grande contributo che i pagamenti online hanno dato all’eCommerce durante la prima fase di lotta alla pandemia. I pagamenti digitali sono poi più veloci e sicuri rispetto al contante.

Dall’altro lato, i pagamenti digitali sono considerati come uno strumento utile nella lotta all’evasione fiscale. L’ipotesi sottostante è che il contante permette di non dichiarare alcune transazioni, facilitando l’evasione fiscale, mentre i pagamenti digitali, essendo tracciabili, rendono più difficile nascondere le transazioni e quindi anche evadere. L’evasione fiscale è un problema in Italia che deve essere affrontato in modo strutturale. Come evidenziato nel Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2018 le mancate entrate tributarie ammontavano a 90,6 miliardi di euro, di cui 32 miliardi di euro imputabili all’evasione dell’IVA. Contrastare questa evasione fiscale è importante, perché produce esternalità negative per il Paese: sottrae risorse destinate al bilancio pubblico, altera le regole della concorrenza nel mercato, agevolando gli operatori economici disonesti e introducendo distorsioni e infine aggrava il prelievo fiscale sui contribuenti onesti, che si trovano a dover fronteggiare una pressione fiscale più elevata per dover sopperire all’evasione di contribuenti disonesti.

Infine, l’Italia si trova in una posizione di arretratezza in termini di pagamenti digitali rispetto al resto dell’Unione Europea. Secondo i dati della Banca Centrale Europea, nel 2020 l’Italia ha raggiunto 80,7 transazioni con carta pro capite, con una crescita del +3,7%. Questa crescita è un segnale positivo, soprattutto a fronte del crollo dei consumi registrato nell’anno (-11,8% secondo Eurostat, addirittura -13% secondo Confcommercio), indicando un aumento della penetrazione delle carte nelle spese per consumi da parte degli italiani. Tuttavia, il confronto con gli altri Paesi dell’Unione peggiora di anno in anno. Non solo l’Italia si trova ben al di sotto della media europea, pari a 145,8 transazioni con carta pro capite, ma ha perso un’altra posizione in favore della Germania, classificandosi 25° (su 27) nella classifica per numero di transazioni con carta pro capite. Dietro l’Italia rimangono solo Romania (52,6 transazioni pro capite) e Bulgaria (32,3 transazioni pro capite), che però continuano a registrare tassi di crescita elevati, rispettivamente +21,1% e +7,3%.

La speranza è che questa tendenza di crescita dei pagamenti digitali acceleri nei prossimi anni, sulla spinta della ripresa economica post pandemia, ma anche sulla spinta del Piano Italia Cashless.

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