la conferenza

Miami Crypto Expo: il futuro di Bitcoin & Co, tra fanatismo e scetticismo

La grande kermesse che a Miami ha ospitato i sostenitori delle criptovalute (con sfregio delle misure anti-Covid) è l’occasione per fare il punto sulle teorie più o meno fallaci e anarco-tecnologiche dei criptofan, con un occhio al posizionamento di banche e governi

Pubblicato il 09 Lug 2021

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

bitcoin

Si è svolta il mese scorso a Miami la conferenza mondiale Miami Crypto Expo: dodici mila biglietti venduti, 50.000 persone arrivate in città, un grande risalto sui media.

Con la comunità di bitcoin aprono uno spiraglio le amministrazioni locali, alcuni politici e alcuni uomini d’affari, ma nel bel mezzo della tempesta che agita le criptovalute, il punto è affidato sostanzialmente ai sostenitori, agli entusiasti, ai critpofan.

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Il sindaco Francis Suarez ha supportato e ospitato la manifestazione e si è anche spinto molto in là, annunciando che la città avrebbe accettato il pagamento delle tasse in criptovalute. Come se la caverebbe davanti ad un controllo di congruenza, qualora il valore del pagamento dovesse perdere il14% in meno di una settimana, come è accaduto nei giorni in cui si è svolta la Conferenza di Miami?

Questo non è dato saperlo e non lo sa neanche Suarez che dovrà vedersela con il Ministero del Tesoro e la Federal Reserve, che considerano le criptovalute come asset e non come moneta valida per i pagamenti alla pubblica amministrazione. Su Elon Musk, i cui tweet svolazzavano come facili bersagli nell’aria ostile della Conferenza, il sindaco ha avuto parole equilibrate “Sono un grande fan di Musk -ha detto- aggiungendo che tuttavia lo stesso rappresenta un problema “quando una persona ha la capacità di fare un tweet ed è capace di muovere il prezzo di un asset del 10 o del 20% con una dichiarazione.”

Sanchez, tuttavia, è tra i partecipanti che dalla Conferenza hanno tratto visibilità e che ha dimostrato di volerla utilizzare per un aggiornamento dell’identità di Miami e della Florida, tradizionalmente legata ai pensionati di Palm Beach: “Vogliamo riposizionare l’immagine della città, vogliamo che si focalizzi sui prossimi passi dell’avanzamento tecnologico: l’intelligenza artificiale, le criptovalute ovviamente, le tecnologie biotech”.

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Il sindaco sposta l’attenzione sui giovani, ma non dimentica che a Palm Beach e a Miami ci sono i miliardari che investono, anche nelle criptovalute, speculando sull’altalena vorticosa delle loro quotazioni, e votano.

Ron Paul, già candidato alla presidenza e membro del Congresso, rimane sempre ispirato dell’afflato libertario espresso con uno dei best sellers tra i criptofan, “End the Fed” del 2009, cioè l’anno successivo all’uscita del libro bianco di Nakamoto.

Alla conferenza mondiale di bitcoin ha affermato che “oggi se vendi o compri oro sei tassato…Quando si fanno profitti con bitcoin, leggiamo storie di persone che vengono tassate, ma non si deve tassare la moneta. Se hai comprato un dollaro un anno fa ed è andato giù del 10% non puoi evidenziare una perdita perché il tuo dollaro si è svalutato”.

L’85enne uomo politico si è schierato contro le autorità e le istituzioni finanziarie: “Non voglio cercare di spiegare esattamente dal punto di vista tecnico se sia buono, cattivo o indifferente, piuttosto voglio sostenere la posizione della legalizzazione della libera scelta del popolo, che non deve vedere le sue decisioni prese dal governo”.

Dal mondo tech, posizioni rialziste, più o meno moderate

Mentre i vigili del fuoco cercavano di mantenere i partecipanti alla conferenza entro i limiti di capienza della sala al Mana Wynwood Convention Center di Miami, Jack Dorsey, CEO di Twitter e della piattaforma di pagamenti Square, accendeva gli animi dei criptofan: “Non abbiamo più bisogno delle istituzioni finanziarie che abbiamo oggi…abbiamo già quella che sta crescendo… che è posseduta dalla comunità…Bitcoin cambierà ogni cosa…Se non stessi lavorando per Twitter e Square lo farei per bitcoin”. Intanto Square progetta di realizzare un portafoglio hardware per gestire bitcoin.

Tyler Winklevoss, uno dei gemelli che Zuckerberg ha dovuto risarcire per avergli soffiato il progetto di Facebook, ha sentenziato con gergo tratto dal baseball, che siamo ancora alle prime battute del primo tempo per quanto riguarda la posizione di Bitcoin (sul piano delle quotazioni) e ha preconizzato un orizzonte “moderatamente rialzista” con quotazione a 400 dollari (ora, mentre scriviamo il 19 giugno, bitcoin quota 36.140 dollari, ben al di sotto del massimo di quasi 63.503 $ del 13 aprile, ma pure sempre più in alto del record (per allora) di fine 2020. “Pensiamo che bitcoin sia l’oro 2.0. Annienterà l’oro cosicché la capitalizzazione del mercato sarà di 10.000 miliardi dollari o più, che è la capitalizzazione del mercato dell’oro.

A quel livello di capitalizzazione, bitcoin potrebbe valere 500 dollari e pensiamo che ciò possa accadere entro una decina d’anni”.[1]

L’intervento di Nick Szabo: molta teoria, poca pratica

Nick Szabo, fin dagli anni ’90 aveva sostenuto Bit Gold, un predecessore di bitcoin, e ha scritto importanti articoli sullo spazio delle criptovalute, per dimostrare che esse risolvono i problemi delle monete metalliche, come l’oro, e delle monete fiat, come quelle attuali sostenute dai governi. Ha detto alla Conferenza che le criptovalute superano le difficoltà dovute ai costi della distribuzione e della custodia delle monete metalliche: “il primo è risolto dal trasferimento del controllo a livello globale senza soluzione di continuità, il secondo, in gran parte, ma non del tutto, viene risolto dalle tecniche di gestione delle chiavi, ossia le firme sequenziali. Le costose validazioni basate sulla fiducia sono risolte da bitcoin con la sua rete di nodi e la validazione di tutte le transazioni, con minima richiesta di fiducia e ciò elimina la necessità di note di debito e di monete con i loro problemi di abuso della fiducia. La centralizzazione digitale, necessaria sotto la volta delle note di credito sia in regime di gold standard sia in regime di moneta fiat, consente e incentiva la censura finanziaria, rendendo la moneta un deposito di valore non affidabile: più uno strumento di azione politica e meno mezzo di scambio. Bitcoin risolve questi problemi con la sua decentralizzazione che contrasta la censura finanziaria” [2].

Gli argomenti di Szabo sono esposti lucidamente sul piano teorico, ma mancano clamorosamente di realismo. Sono vere le critiche alle monete fiat e prima del loro affermarsi definitivo nella seconda metà del secolo scorso al gold standard: ma sono critiche fuori della storia, che ha visto intorno alla moneta lo sviluppo di una rete istituzionale mondiale che ha consentito uno sviluppo dei commerci senza precedenti. Né ci dice, Szabo, come può bitcoin essere affidabile deposito di valore con una volatilità che è un multiplo di quella dell’oro, a sua volta un multiplo di quella delle monete fiat. E ancora, quale autorità avrebbe potuto gestire politiche di ricostruzione economico-finanziaria dopo la crisi del Covid, sulla base di bitcoin?

Qui scorgiamo la falla più importante della teoria anarco-tecnologica dei criptofan. Essi attribuiscono alle monete fiat il peccato originale di essere gestite, ossia di avere alle spalle una autorità politica che può manipolarle. Ma questa manipolazione, se effettuata da autorità di un sistema democratico, è sotto gli occhi di tutti, in particolare del Parlamento, che può valutare se la manipolazione sia coerente con gli obiettivi sociali ed economici dichiarati e condivisi. Ovvero, con le monete fiat le istituzioni e il Paese dispongono di uno strumento importantissimo per cercare di affrontare i problemi che la società e l’economia devono superare, problemi che in prevalenza non derivano da scelte di politica interna.

La visione anarco-tecnologica che vorrebbe soppiantarle con una moneta “automatica” come bitcoin potrebbe a rinunciare a questo strumento, nella irrealistica presunzione che questa scelta eliminerebbe ogni causa di perturbazione, comprese quelle esogene, come le catastrofi naturali etc.

Inoltre, le argomentazioni teoriche di Szabo sviliscono ulteriormente quando vengono calate e riprese nella kermesse anarchica dei criptofan di Miami, con due effetti: scaldare la temperatura della conferenza fino a raggiungere quella di un rituale di accoliti della nuova fede bitcoin, e contemporaneamente trasformare questa celebrazione della libertà anarco-tecnologica in un momento di diffusione del contagio Covid[3].

I partecipanti, almeno 12.000, erano stipati senza distanza di sicurezza, senza mascherine, senza pass vaccinali, senza test. Questa mancanza di attenzione è la dimostrazione più tangibile del rischio insito nella presunta autogestione della criptomoneta: il suo evento celebrativo, dal punto di vista tecnologico poteva proporre a tutti i partecipanti di scaricare la app OnePass (International Health Passport) basata sulla blockchain, che offre uno strumento efficace per rendere anonimo e sicuro il controllo della vaccinazione o dell’esito dei tamponi e soprattutto il contact tracing. Sarebbe passato il messaggio della utilità sociale della blockchain, invece che la fanatica rivendicazione di libertà dalle catene dello stato che ti controlla con le regole per la prevenzione del Covid.

Michael Saylor, Ceo di Microstrategies, azienda che ha investito in bitcoin non si è risparmiato nell’apologia della cryptovaluta: “se volete una dichiarazione politica, bitcoin risolve ogni questione. Mette al suo posto il governo, restituisce la razionalità al sistema politico e libertà e diritti di proprietà alla razza umana…”.

Saylor si è anche prodigato per far riavvicinare Musk a bitcoin, dopo che ne aveva criticato l’elevato consumo di energia: ha favorito un incontro tra Musk e i miner, per impegnare questi ad una maggiore attenzione alle emissioni e per risospingere Musk ad una maggiore apertura verso un mining sostenibile. [4]

Le istituzioni: incertezze pericolose

Le banche centrali (FED, BCE, Bank of England…) considerano le criptovalute un asset e quindi le escludono dai mezzi ordinari di pagamento. Non è vero che banche stiano per entrare nelle cryptovalute con propri prodotti: questo contraddirebbe il loro impegno a tenere fuori dalla circolazione monetaria ordinaria le cryptovalute.

È vero invece che le banche centrali hanno seguito una politica molto prudente verso le crypovalute, per evitare l’effetto boomerang che molti preconizzano: “i nemici di bitcoin sono quelli che più lo rafforzano”. È vero anche che le Banche centrali si stanno interessando e stanno investendo sullo sviluppo dei pagamenti elettronici, con l’obiettivo di acquisire e sviluppare nuove tecnologie che rendano le transazioni più rapide, efficienti e meno onerose. Ci saranno euro, dollari, renminbi etc. digitali, ma non è affatto detto che essi seguano il modello estrattivo e di validazione attraverso libro mastro diffuso, su cui si basa bitcoin. Soprattutto, non è affatto scontato che le criptovalute entrino a far parte del sistema monetario, affiancando altre valute che rientrano tra le riserve, e questo è il passo che i più accorti operatori delle cryptovaluta chiedono a gran voce: bitcoin riconosciuto come valuta darebbe una stabilità alle sue quotazioni che oggi costituisce il tallone di Achille della cryptovaluta.

conclusioni

Ma se le Banche centrali sono prudenti, non lo è Paolo Savona, presidente della Consob. Nel suo incontro con il mercato, Savona ha ricordato che la Consob ha chiuso 400 siti che sollecitavano il risparmio tramite cryptovalute: “sulla base di internet sappiamo che esistono in circolazione dalle 4 alle 5 mila cryptocurrency che operano più o meno indisturbate. È una valanga che ogni giorno rovescia nella rete una mole impressionante di dati, più o meno veritieri: una quantità pari a 10 alla diciottesima di bit, qualcosa che sfugge a qualsiasi controllo a posteriori”[5].

Il paragone di Savona è con la crisi del 2008, quando lo sviluppo impetuoso dei derivati, i nuovi strumenti finanziari che aggregavano titoli di diversa solvibilità, pose le premesse della crisi finanziaria i cui effetti in Italia non erano ancora smaltiti al momento in cui esplose il Covid.

Il rischio è che la distinzione tra asset e monete, che costituisce la barriera difensiva delle banche centrali e dei governi, non possa tenere a lungo: “non è più possibile distinguere, con certezza tecnica e giuridica, in che cosa oggi consistano legalmente la moneta e i prodotti finanziari…(occorrono) norme chiare sulla nascita e sugli scambi degli strumenti criptati e sui lor intrecci tra passività/attività monetarie e finanziarie tradizionali, siano esse digitalizzare o meno, come guida indispensabile per gli operatori che gestiscono la liquidità e i risparmi”.

L’avviso, chiaro e netto, non è solo rivolto alle timidezze delle banche centrali e dei governi, ma anche alle grandi banche di affari, “aperturiste” nei confronti delle cryptovalute, come Goldman Sachs o J.P. Morgan, che hanno creato spazi di gestione degli investimenti in cryptovalute dei maggiori clienti.

  1. ) https://www.news.com.au/finance/money/investing/bitcoin-price-will-increase-tenfold-argue-the-famous-winklevoss-twins/news-story/b4c6a63560059ea175cdf5d2eb2551cc
  2. ) Aaron Van Wirdum, Interview: Nick Szabo on his bitcoin 2021 keynote about bitcoin and the history of money, https://bitcoinmagazine.com/industry-events/nick-szabo-on-bitcoin-2021
  3. ) https://www.finextra.com/blogposting/20473/the-tragedy-didnt-need-to-happen-bitcoin-miami-became-a-covid-19-hotspot.
  4. ) Luke Conway, Bitcoin is The ‘Apex’ Achievement of Human Race, https://www.thestreet.com/crypto/bitcoi
  5. ) Ugo Bertone, Bitcoin, sos Savona (Consob): “Sono una mina vagante”, First on line, https://www.firstonline.info/bitcoin-sos-savona-consob-sono-una-mina-vagante/

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