la sfida della governance

Recovery Fund: ufficio di programma e scienza dei dati per non fallire

Un ufficio del programma del governo con la capacità di mettere al servizio degli italiani la scienza dei dati è ciò che servirebbe per essere abbastanza sicuri che l’enorme opportunità del Recovery Fund non si perda nei vicoli oscuri della PA. Quali i compiti e il funzionamento

Pubblicato il 14 Ott 2020

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

capitalismo1

Quando si parla di Recovery Fund, la consapevolezza della sfida della governance è il tema centrale, come emerso anche dall’intervento del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in occasione dell’Assemblea di Confindustria dello scorso 29 settembre.

Questo non solo perché la qualità di risorse messe a disposizione è tale da superare di gran lunga gli investimenti effettuati dallo Stato degli ultimi decenni ma perché a questo si aggiunge il rispetto dei tempi e dei piani previsti. Proprio sul rispetto della pianificazione e il monitoraggio delle iniziative l’Italia non ha mai particolarmente brillato: è accaduto più di una volta che risorse europee venissero perse proprio per il non rispetto dei piani se non per la mancanza dei progetti.

Occorre un cambio di strategia e questo è possibile con l’istituzione di un ufficio di programma presso la Presidenza del Consiglio. Ecco come dovrebbe funzionare e con quali compiti.

Un lungo elenco di spese da sostenere senza una strategia di lungo respiro

Il primo elenco preliminare che è trapelato dagli uffici del Governo e riportato dalla stampa è costituito da una quantità enorme di piccole o grandi iniziative, una lunga lista della spesa senza una grande strategia. È di buon auspicio la consapevolezza del Presidente espressa nell’Assemblea di Confindustria relativa alla “missione” da dare ai progetti ma, d’altra parte, è un segnale di allarme sul fatto che le varie strutture dello Stato sollecitate a proporre progetti hanno saputo solo esprimere un lungo elenco di spese da sostenere senza una strategia di lungo respiro.

Il lavoro del governo di predisposizione dei progetti sarà dunque difficile e necessiterà di un cambio radicale di impostazione ma sarà ancora più complicato costruire la governance sul programma affinché la spesa sia sotto controllo e vengono rispettati i KPI economici, tecnici e di qualità.

Proprio sulla governance del programma può venire in aiuto l’applicazione del digitale attraverso la creazione di strumenti in grado di monitorare ciò che avviene in “tempo reale”, mettere in alert i soggetti attuatori, evitare che si possano creare situazioni nelle quali si incuneano azioni criminali di vario genere. Il piatto è abbastanza ricco e la dimensione abbastanza grande da mettere in moto “macchine” criminali che possano sfruttare le deficienze della PA per trarne profitto sottraendo risorse alla collettività.

In alcune notizie di stampa si fa riferimento all’idea del Governo di istituire dei commissari che possano agire come è stato fatto per il ponte di Genova, tuttavia si è più volte detto che una buona parte della spesa sarà fatta in ambito regionale. Questo aumenta le strutture di controllo ma, per come siamo abituati, allunga spesso la burocrazia e crea ancora più fessure dove si possono creare ritardi o perdita di risorse preziose.

Data science e ufficio di programma

Oggi la data science consente di monitorare una grande quantità di informazioni partendo da elementi di dettaglio. Ciò che andrebbe fatto è costituire un ufficio di programma presso la Presidenza del Consiglio nel quale raccogliere dati da tutti i soggetti coinvolti a vario titolo, superando il meccanismo classico per il quale i diversi soggetti coinvolti preparano le sintesi per il livello superiore fino ad arrivare al governo seguendo una logica burocratica e gerarchica che rischia di nascondere (e quasi sempre più che rischio è certezza) le informazioni, accomodarle come conviene e “distorcerle” più o meno volontariamente. La raccolta dei dati dovrebbe provenire direttamente dai sistemi informativi utilizzati dalle persone coinvolte (e magari può essere un’ottima occasione per diffondere tali sistemi anche in amministrazioni che operano su carta) ma anche da strumenti “non convenzionali” come i telefoni (dove dovesse servire monitorare gli spostamenti sul territorio dei cantieri), i conti in banca delle amministrazioni e delle aziende coinvolte (ma si potrebbe pensare di monitorare anche i conti personali dei responsabili di più alto livello), i documenti presentati presso le amministrazioni, ecc.

Una piattaforma nazionale ad-hoc per gestire il recovery fund

Oggi è infatti possibile raccogliere una gran mole di dati, già ognuno di noi viene “profilato” da aziende spesso estere nei suoi comportamenti, perché non pensare di “profilare” chi è coinvolto nell’attuazione del programma (ovviamente in accordo e nei limiti della legislazione sulla privacy anche se attualizzata all’ambito specifico necessario). Si possono pensare diversi livelli di autorizzazione volontaria alla trasparenza, andrebbe analizzato il tutto sotto un profilo legislativo fuori dall’ambito di questo articolo.

Già esistono delle piattaforme che potrebbero essere utilizzate per far in modo che ogni soggetto coinvolto, quotidianamente, lavori inserendo informazioni e le utilizzi per gestire i propri task e progetti. Una piattaforma nazionale ad-hoc per gestire il recovery fund potrebbe consentire di raccoglierei ed elaborare dati in un tempo bassissimo e con frequenza altissima per un aggiornamento continuo.

I dati di una piattaforma nazionale andrebbero però integrati sempre con i dati che dovrebbero provenire dai soggetti beneficiari dei programmi, dai cittadini coinvolti dagli interventi comunicando il loro punto di vista sull’avanzamento delle attività e informandoli dei piani in modo che possano a loro volta comunicare i ritardi o ciò che era stato promesso ma poi non realizzato. Se ad esempio un cittadino si aspetta di vedersi portare a casa la fibra nei prossimi sei mesi e ciò non viene fatto può diventare il primo “sensore” che le cose non vanno e incrociando tutti i dati si evita di avere informazioni fuorvianti o errate. Si può anche evitare di pagare una fattura perché si ha una informazione parziale sull’avanzamento dei lavori per la fibra di cui sopra (e casi di fatture pagate non dovute in diversi ambiti della PA ne abbiamo avuti).

L’ufficio di programma dovrebbe costituirsi già da subito, cominciare a ragionare su quali informazioni devono essere raccolte, sul modo, sulle difficoltà relative alla privacy e alle autorizzazioni alla “profilazione” che dovrebbe dare chi vuole essere coinvolto nel programma.

L’ufficio di programma dovrebbe lavorare ad individuare KPI (Key Performance Indicator) e SLA (Service Level Agreement) che consentano di avere degli indici numerici di qualità, rispetto delle scadenze, avanzamento della spesa, soddisfazione dei beneficiari, raggiungimento degli obiettivi, indicatori di BES. Si dovrebbe dar via ad una Balanced Scorecard che consenta di bilanciare i diversi indicatori per guidare i risultati verso gli obiettivi strategici fissati dal governo.

La balanced scorecard di programma consente di dare un peso ai diversi indicatori in modo che gli obiettivi strategici non siano troppo influenzati da alcuni su altri ma siano focalizzati ad uno sguardo più olistico di tutti gli aspetti e direzionati dagli obiettivi fissati in sede governativa o parlamentare.

Raccogliere informazioni, monitorare intervenire

Raccogliere informazioni costantemente sull’andamento dei progetti, essere in grado di monitorare le cose per tempo per intervenire prontamente con aggiustamenti, evitare che le informazioni siano distorte o parziali è l’arma che può portare a buon fine il programma. In questo modo sarà possibile anche associare ad ogni attività una spesa e verificare ciò che viene speso e per quale motivo, chi ne è il reale beneficiario, quali movimenti vengono fatti intorno ad essa e quale impatto ha avuto sull’intera economia di un territorio o di una filiera.

La scienza dei dati consente di incrociare facilmente big data, costruire relazioni tra le informazioni e per questa via disvelare processi, abitudini e consuetudini che rallentano le iniziative oppure di scoprire dove vengono fatte meglio le cose e poter poi trasformare questa conoscenza in una prassi da diffondere altrove.

A questo è possibile facilmente unire tecniche di previsione che non sono le classiche stime basate sull’esperienza ma possono essere prodotte da algoritmi che analizzano dinamiche che possono sfuggire alla persona umana.

Ai diversi responsabili coinvolti nella filiera arriverebbero report e sintesi predisposti dall’ufficio di programma in modo da metterli nelle condizioni di governare i loro progetti e task specifici. Report che parlano la stessa lingua dal Nord al Sud, che hanno la stessa profondità e gli stessi pregi e gli stessi difetti. Sarebbe anche un ottimo modo di aiutare la PA a lavorare nello stesso modo e a scambiarsi le esperienze; e ne avrebbe molto bisogno.

Il coraggio di cambiare

Ora qualcuno che sia arrivato sin qui leggendo l’articolo avrà cominciato a pensare di leggere un libro di fantascienza, uno di quei brani magari emersi da un cassetto della scrivania di Asimov. Invece non c’è nulla di avveniristico se non il coraggio di cambiare.

Il paradigma da utilizzare è quello delle “Software Defined Organization”, ovvero organizzazioni che grazie al software raccolgono i dati e li utilizzano per adattare le proprie azioni in tempo reale. Organizzazioni che riducono la distanza tra i livelli gerarchici utilizzando il software e a tutti i livelli condividono le stesse informazioni.

L’incrocio e l’elaborazione dei dati consente di mettere in atto continui aggiustamenti di direzione per arrivare a raggiungere gli obiettivi ed è noto che non esiste piano senza la necessità di adattamento.

Questo paradigma è già in uso in molte organizzazioni in modo più o meno esteso a secondo del grado di maturità organizzativa e ha radicalmente rimesso in discussione i tradizionali approcci al program e project management.

Sempre più spesso è difficile mettere in atto una sola metodologia di gestione dei progetti perché ogni progetto ha delle particolarità, ci sono progetti che traggono benefici da un approccio più formale e classico a “waterfall” model e altri che lavorano meglio con metodologie “Agile”. Ci sono attività che non sono riconducibili ad un progetto vero e proprio ma devono essere tracciate perché magari sono di supporto all’intero programma. È perfino difficile avere un programma ben strutturato con i suoi progetti, i suoi task, le risorse assegnate, le date, ecc. L’evoluzione delle cose è ormai così impetuosa che spesso è difficile fare in modo che le persone coinvolte passino molto del loro tempo ad inserire dati, compilare documenti, report, ecc. Oppure semplicemente nascono delle emergenze che impongono una riorganizzazione delle attività. Gestire i dati centralmente consente di avere degli alert immediati e di poter dare indicazioni o affiancare i responsabili ai diversi livelli.

Certo questo modo da molti sarà visto come intrusivo e per certi versi lo è ma, di contro, offre ad ogni singola persona coinvolta la sicurezza di poter operare con maggiore tranquillità perché ciò che fa è trasparente e non ci sarà nessuno che dubiterà del suo operato, le responsabilità saranno condivise.

Proprio sulle responsabilità si gioca uno dei fattori critici di successo. Il “modello italiano” al governo delle organizzazioni (non esiste un vero modello italiano ma l’esperienza insegna che così si usa fare un po’ ovunque) è quello che il responsabile gerarchico delega al sottoposto delle cose da fare e poi non se ne cura, se c’è qualche problema l’obiettivo è quello di addossarlo al sottoposto o al responsabile gerarchico superiore per rimanerne fuori e fare carriera. Un modello che è fallimentare a giudicare dai risultati paese ma che è sempre più diffuso perché consente di rischiare sempre di meno. Fare in modo che l’organizzazione raccolga i dati, in questo caso il governo, e li possa elaborare gestire prontamente cambia un po’ il paradigma. Mette tutta l’organizzazione di fronte ai problemi sia dove nascono che dove e come si possono risolvere. Si passa da un modo di fare “vessatorio” fatto di livelli superiori che vessano quelli inferiori nella scala gerarchica ad un modo di fare “a squadra” nel quale ognuno trova il proprio spazio di responsabilità e di merito guidato dal coordinamento dei diversi livelli gerarchici.

Conclusioni

Un ufficio del programma del governo con la capacità di mettere al servizio degli italiani la scienza dei dati è ciò che sarebbe necessario per essere abbastanza sicuri che l’enorme opportunità del recovery fund non sia persa e non si perda nei vicoli oscuri di una macchina della PA che, malgrado l’impegno di tanti suoi dipendenti, spesso rimane impantanata in azioni criminali, in cattive pratiche, in consuetudini che non sono più funzionali alla sua missione. Creare qualcosa, che qualcuno può pensare così fantascientifico e avveniristico, magari per una volta può essere un rischio limitato se l’alternativa è il rischio di vedersi togliere i fondi perché siamo inadempienti con i tempi e i costi o, soprattutto, veder sprecare un’occasione storica di ripartenza del Paese. Nessuno perdonerà chi ha la responsabilità di far ripartire il Paese se fallisse per aver applicato le stesse regole di governance che non hanno funzionato in passato. Ad ogni livello delle amministrazioni è richiesto un cambiamento di paradigma al quale non ci si può sottrarre. E magari può essere una ottima esperienza di successo da utilizzare anche in futuro, nel paese dove non è affatto scontato che due tronconi di un ponte si incontrano al centro saper gestire i progetti sarebbe di grande aiuto.

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