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Antitrust USA contro i big tech, ma la vera posta in gioco è l’intelligenza artificiale

Arriva negli Usa l’offensiva antitrust contro Google, Apple, Facebook e Amazon, ma allo stesso tempo il Governo sa quanto queste aziende siano importanti per il primato nell’intelligenza artificiale contro la Cina. Occorre adeguare la legislazione e magari prendere spunto dalle vicende di Microsoft negli anni ’90

Pubblicato il 06 Giu 2019

Michele Gentili

Responsabile progetti di migrazione documentale – Medas Solutions ICT e Digital transformation – Fatto24

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Sullo sfondo della nuova offensiva del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) e della Federal Trade Commission (FTC) contro Google, Apple, Facebook e Amazon (GAFA) per violazione delle leggi antitrust, si scorge la necessità di adeguare la legislazione all’attuale contesto tecnologico, così da non lasciarsi sfuggire la leadership degli Stati Uniti sull’Intelligenza artificiale, una priorità fissata direttamente dalla Casa Bianca.

Certamente si cercherà al più presto di adeguare in modo coerente la legislazione per consentire alle autorità antitrust di intervenire correttamente anche negli ambiti dell’IA e della protezione dei dati personali, visto che, il regolamento attuale, come vedremo, non si riferisce in modo preciso ai moderni servizi prodotti, a differenza degli ex giganti industriali per i quali le leggi attuali erano state pensate.

Una sfida a sfondo politico

Insomma, a quanto pare, negli Usa, sembra proprio che questa sfida sia a sfondo politico. I politici, sia democratici che repubblicani, stanno cominciando a “lucidare le pistole” in preparazione delle elezioni presidenziali che iniziano a far capolino all’orizzonte.

Il Congresso degli Stati Uniti ha anche annunciato il lancio di una vasta indagine sull’influenza dei 4 big del tech sul loro mercato.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è un critico di lunga data dei giganti della Silicon Valley (i leader dei colossi del GAFA non hanno mai nascosto le loro simpatie per le politiche democratiche) salvo però utilizzarli molto bene a suo favore. In particolare, Trump non ha mai sofferto Jeff Bezos, l’amministratore delegato di Amazon, e secondo alcune fonti avrebbe per lui una vera e propria “ossessione”.

Tuttavia, gli investigatori non saranno ostacolati da una carenza di prove a sostegno di possibili accuse di pratiche anticoncorrenziali. Amazon ha la capacità di sfruttare i dati che gli utenti lasciano sulla sua piattaforma per analizzare i loro gusti e le loro esigenze. Questo data mining offre un indiscutibile vantaggio rispetto ai venditori che utilizzano altre piattaforme per vendere i loro prodotti.

L’Ue ha già pesantemente punito Google, con una multa record da ben 1,49 miliardi di euro (contro cui l’azienda ha appena fatto ricorso), per aver manipolato i risultati di ricerca destinati a estromettere i suoi concorrenti e per anteporre le proprie aziende partner. Non sarà dunque così difficile dimostrare il dominio schiacciante di Google, ma anche di Facebook, nel campo della pubblicità digitale. Entrambe le aziende dominano in modo incontrastato le concorrenti che sono palesemente schiacciate dal loro dominio.

Se giudicati colpevoli di tali violazioni, saranno probabilmente condannati a pesanti multe, certamente anche di portata enormemente superiore a quanto è già avvenuto in Europa con Google. Lo smantellamento però sembra per ora improbabile, mentre viene ritenuto più plausibile una suddivisione.

Un regolamento antitrust USA obsoleto

Il regolamento antitrust statunitense si basa su tre principi per supportare le tesi di posizione dominante, ma in questo caso non sarà così facile dimostrarle; vediamo il perché:

  • Le leggi antitrust statunitensi si basano essenzialmente sul prezzo di vendita di beni e servizi. Storicamente, è stata valutata la necessità di smantellare i monopoli agendo sul concetto di “benessere del consumatore”. Spesso si è limitato dunque alla revisione dei prezzi di vendita del potenziale soggetto dominante. Le società sono accusate di pratiche monopolistiche quando si può dimostrare che hanno approfittato della loro posizione dominante per far salire i prezzi e limitare gli investimenti in un determinato mercato. Ma nel mondo delle aziende tecnologiche, che spesso offrono piattaforme “gratuite” ai loro utenti, e guadagnano da vivere vendendo la pubblicità alle imprese, questo riferimento al prezzo non è così rilevante o comunque con una correlazione non semplice da stabilire in maniera diretta. Già questo primo punto fa capire come la la legislazione antitrust USA sia al giorno d’oggi semplicemente inadeguata.
  • Le società tecnologiche non sono monopoli “naturali”, che hanno beneficiato dell’agevolazione di ingresso con un costo elevato nel mercato per affermarsi come il principale operatore. Hanno beneficiato invece degli effetti della “rete”, che hanno dominato e sfruttato a proprio favore: acquisiscono così tanti utenti, o “venditori” sulla loro piattaforma, che finiscono per diventare inevitabilmente un punto di riferimento per altri utenti/venditori/consumatori. Ma dimostrare da parte dell’Antitrust che questi sforzi ottenere questa posizione sono illegali non sarà così semplice.
  • Infine, queste aziende sfruttano la loro massiccia raccolta di dati utente per perfezionare la loro offerta di servizi gratuiti e diventano ancora più attraenti per gli utenti. Così si forma un circolo virtuoso: più raccolgono dati di utenti, più attirano altri consumatori/utenti, tanto più sono in grado di migliorare i servizi e i beni che forniscono in modo da invogliare ulteriormente altri utenti. Le tecniche di intelligenza artificiale intensificano ulteriormente questo effetto. Ma anche qui, secondo la legislazione vigente, non sembra esserci nulla di illegale o per lo meno niente che violi direttamente dei precisi riferimenti normativi delle leggi antitrust USA esistenti.

Da questo si capisce quanto l’Europa invece abbia elaborato e stia continuando ad elaborare, delle normative molto più moderne e significativamente più restrittive per i giganti del web partendo da un concetto di protezione dei dati personali degli utenti per un loro corretto utilizzo (GDPR) e ora sta puntando l’attenzione in modo deciso a regolamentare lo scenario dell’intelligenza artificiale (AI).

La leadership dell’intelligenza artificiale agli Stati Uniti

In questa vicenda c’è poi un risvolto significativo e di primaria importanza da tenere in considerazione: la leadership degli Usa sull’Intelligenza artificiale è una priorità fissata direttamente dalla Casa Bianca.

L’11 febbraio scorso, con un ordine esecutivo diretto della Casa Bianca, gli Usa hanno dichiarato, a suon di investimenti miliardari (e non con le “chiacchiere”), di voler mantenere il primato nel campo dell’intelligenza artificiale. Questo provvedimento non può essere trascurato in questa vicenda perché il presidente Trump sa bene quanto siano determinanti i giganti del Web in questa battaglia. Per sua fortuna, oggi, i giganti del Web sono americani e dunque una sorta di compromesso sembra inevitabile.

Sembra anche che sia lo stesso Pentagono ad opporsi fortemente ad un ipotetico smantellamento dei giganti del GAFA che sono i maggiori sviluppatori di intelligenza artificiale del paese. Senza di loro la leadership globale sulla Cina sarebbe fortemente in discussione fin da subito.

Se l’Occidente sgretolasse in mille pezzi il GAFA, quando al contrario la Cina sostiene con forza le sue aziende leader nel campo dell’intelligenza artificiale, con l’obiettivo dichiarato di diventare la prima potenza mondiale, il rischio sarebbe quello di dover imparare urgente il “mandarino” ai nostri figli e questo, in fondo, non piace a nessuno, né all’Europa, né tanto meno agli Stati Uniti.

La “guerra fredda” dell’AI alla Cina è di fatto stata dichiarata.

Imparare dall’esperienza di Microsoft

I legislatori statunitensi potrebbero dunque trarre ispirazione dall’esperienza di Microsoft negli anni 90. Quando il gigante di Redmond fu accusato di imporre il proprio sistema operativo Windows ai propri utenti, il DoJ ha tentato di dividere Microsoft per impedirgli di tenere insieme il suo browser, Internet Explorer, con il sistema operativo Windows. Formalmente fallì nei suoi sforzi, ma le battaglie legali danneggiarono la reputazione di Microsoft e di fatto limitarono le sue ambizioni. Tutti ricorderanno che tra le autorità americane e Bill Gates si concluse con un accordo amichevole, ma non si dimenticherà nemmeno che in seguito a quel “nulla di fatto”, vi fu la nascita e lo sviluppo di Google. Quando si dice il caso.

A questo punto è lecito supporre che i legislatori a stelle e strisce stiano già studiando e scopiazzando dai regolamenti europei.

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