LO SCENARIO

Competenze digitali, se scendono in campo gli operatori telefonici

L’operazione Risorgimento digitale messa in campo dall’operatore potrebbe segnare un punto di svolta nelle strategie a sostegno della cultura informatica (ma non solo). Ecco perché il Paese ne ha bisogno, e perché è necessario estendere la portata dell’iniziativa

Pubblicato il 09 Mar 2020

Glauco Riem

avvocato in Pordenone, terminalista del CED della Corte di Cassazione

diritto riparazione

Cultura digitale: si muove qualcosa, in Italia. Tim ha deciso di scendere direttamente in campo promuovendo azioni formative ed informative direttamente a favore dei cittadini anche (coronavirus permettendo) con un itinerante tour di 107 tappe. Il testimone sarà raccolto anche da altri? Sembra che si vada in questa direzione, da quanto si respira nell’aria. E sarebbe auspicabile, e non solo nel mondo degli operatori Tlc. Perché il panorama dell’alfabetizzazione, tecnologica e non, è allarmante. Facciamo il punto.

Digital skill, le indicazioni del CAD

In proposito da molto tempo, in una nota pubblicata on line, avevamo censurato il comportamento degli operatori delle telecomunicazioni affermando che: “….. brillano, per miopia e scarsa lungimiranza, le politiche commerciali dei grandi operatori delle telecomunicazioni e dei servizi on line che continuano a scipparsi vicendevolmente i clienti a colpi di offerte che solo nel breve appaiono vantaggiose, senza curarsi invece di quella clientela che rappresenta oltre il trenta per cento del mercato e che andrebbe unicamente educata all’uso del digitale con politiche di sostegno alla formazione da svolgersi, anche attraverso associazioni no profit e con finanziamenti specifici da parte degli enti locali che, secondo il Codice dell’amministrazione digitale (C.A.D.), ne dovrebbero essere gli attori”.

Detta discesa in campo era stata postulata, da oltre tre anni, dall’Associazione culturale per lo studio del diritto di Pordenone che aveva già collaborato con Telecom al primo progetto europeo sulla didattica a distanza realizzato negli anni 1999 e seguenti.

L’operazione formativa è promossa, con grande rilievo mediatico, da TIM e di per sé costituisce, oltre che una importante ed insolita notizia, anche uno strategico passo in avanti nella collaborazione che, come associazione no profit, abbiamo, nei quasi trent’anni di attività, sempre cercato di promuovere fra il pubblico ed il privato anche se quest’ultimo è spesso restio a fare investimenti sulla cultura digitale dei cittadini a meno che in essi non si intraveda anche una chiara utilità promozionale che, in sé, purché si faccia, è anche opportuna ed auspicabile.

Italia digitale in affanno

Detto coinvolgimento è importantissimo ed, in punto, auspichiamo che anche altri operatori delle telecomunicazioni si apprestino, nel breve, a seguire la stessa filosofia che risulta sicuramente opportuna ed onorevole. In effetti un qualche interesse in merito, a quanto noto ali addetti del settori, comincia a germogliare tra gli operatori alternativi, anche se è presto per parlarne.

Atteso il fatto che, come appare anche dalle recenti statistiche DESI 2019 (Digital Economy and Society Index), vede l’Italia digitale sempre in grande affanno: il Nostro Paese è infatti ancora nella venticinquesima posizione rispetto agli altri (ventotto) Paesi dell’Unione.

L’operazione Risorgimento digitale di TIM rappresenta quindi un quid novi nell’approccio dei detti operatori delle telecomunicazioni che quotidianamente sembrano vessare gli utenti con sempre più vantaggiose proposte contrattuali e telefonate, in orari e con frequenze impossibili tant’è che poi si sono anche visti comminare sanzioni amministrative di milioni di euro dal Garante Privacy per i numerosi e frequenti trattamenti illeciti di dati legati all’attività di un marketing aggressivo nei confronti dei possibili utenti contattati con frequenza pluri-giornaliera.

Resta come sempre qualche incognita: il cittadino sarà realmente interessato e partecipe alla formazione sui temi del digitale? Sarebbe opportuno che lo fosse sia in forza della norma vigente che lo obbliga a munirsi di un apposito domicilio digitale per esercitare attivamente, ma sopratutto autonomamente quella “cittadinanza digitale” che gli compete e che è stata studiata in vista di una società sempre più digitalizzata.

Il problema fondamentale da risolvere è – e comunque resterà – quello dell’alfabetizzazione informatica e soprattutto del costante aggiornamento delle competenze digitali dell’allievo, ma anche alle economie che sono necessarie, nel tempo, a conservare le abilità e le conoscenze conseguite.

Il dramma dell’analfabetismo

Secondo gli studi dell’autorevole linguista Tullio De Mauro, meno di un terzo della popolazione italiana avrebbe i livelli di comprensione della scrittura e del calcolo necessari per orientarsi nella vita di una società moderna. Il peso sullo sviluppo economico e sociale resta enorme.

De Mauro sottolinea che ha cercato di raccogliere dati sull’analfabetismo strumentale (totale incapacità di decifrare uno scritto) e funzionale (incapacità di passare dalla decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un testo anche semplice) ed anche di richiamare l’attenzione dei miei illustri colleghi sul peso che l’analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e, ovviamente, sociali in Italia.

Nell’intervista rilasciata a Mangwana (associazione che si occupa di promozione sociale) De Mauro sottolinea inoltre che l’analfabetismo italiano ha radici profonde: ancora negli anni Cinquanta il Paese viveva soprattutto di agricoltura e poteva permettersi di avere il 59,2% della popolazione senza titolo di studio e per metà totalmente analfabeta (come oggi il 5%).

Fuga dai campi, bassi costi della manodopera, ingegnosità (gli “spiriti vitali” evocati dal presidente Napolitano) lo hanno fatto transitare nello spazio di una generazione attraverso una fase industriale fino alla fase postindustriale ed ora digitale.

Nonostante gli avvertimenti di alcuni (da Umberto Zanotti Bianco o Giuseppe Di Vittorio a Paolo Sylos Labini), l’invito a investire nelle conoscenze e competenze non è stato raccolto né dai partiti politici né dalla mitica “gente”.

Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni Novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza. Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica.

E la competenza tecnologica e digitale? Sempre De Mauro ci ricorda dell’analfabetismo di ritorno e della regola del meno cinque secondo la quale: da adulti, se le conoscenza acquisite a scuola non vengono tenute attive, si regredisce di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti in gioventù. Anche gli over 60, se adeguatamente sostenuti nei processi di formazione, possono però continuare ad apprendere, fino a guadagnare almeno 5 anni di alfabetizzazione funzionale e tecnologica. Anche nelle questioni digitali allora quindi la formazione e l’”allenamento continuo” dovranno essere la regola.

Gli operatori delle telecomunicazioni sono pronti a raccogliere la sfida?

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