videogame culture

Cult of the Lamb, il pericolo dietro l’innocenza: ecco il perfetto gioco horror

Cult of the lamb ci scaraventa in un’atmosfera oscura, ma capace di farci leggere la società in filigrana: il potere, il culto per un leader carismatico, i pericoli dietro l’apparente innocenza. Per non dimenticare che è sempre una strada lastricata di dolci a condurre verso le fauci della strega

Pubblicato il 31 Ott 2022

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons

cultofthelamb

Cult of the Lamb inizia con un sacrificio: il nostro stesso. Il risveglio ci colloca in una sorta di spazio parallelo, nel quale dovremo sconfiggere le divinità per conto di un altro Dio chiamato “Colui che aspetta”. Non dovremo solamente combattere contro orde di nemici, in modo concitato, spesso confuso, avventurandoci per cinque dungeon, ma si dovrà costruire un nuovo culto nel nome del Dio che ci ha assoldati e in qualche misura salvati. In qualità di leader bisognerà provvedere a ogni necessità, compresa l’assistenza sanitaria e la pulizia del tempio.

Il potere, insomma, è al centro di questo eccellente gioco firmato Massive Monster, che non stupisce abbia raccolto quattro premi agli Australian Game Developer Awards (AGDA), tra cui Game of the Year. Massive Monsters sono già noti al pubblico per aver raccolto alcuni BAFTA, proponendo titoli ormai classici come Hollow Night.

Le dinamiche sociali della setta in un gioco dalla grafica innocente

La grafica di Cult of the Lamb vuole intenzionalmente generare una dissonanza cognitiva tra la sua pucciosità e il contenuto per adulti. In un’intervista gli sviluppatori australiani hanno spiegato che il gioco è nato proprio da una interpretazione del pubblico che legava i loro lavori a una target sotto il metro e cinquanta. Hanno accolto la sfida, mostrando come una grafica cute possa ingannare i superficiali. Anzi, sono proprio i migliori horror e le fiabe più terrificanti a nascondere il pericolo dietro l’apparente innocenza; è sempre una strada lastricata di dolci a condurre verso le fauci della strega.

È di certo antropologicamente interessante capire in che modo le persone siano attratte da una setta e che cosa spinga gli individui a ricercare un leader carismatico a cui donarsi totalmente. Gli sviluppatori hanno colto le dinamiche sociali di questi gruppi chiusi, volgendo la superstizione in dinamica di gioco. Per il capo non è sufficiente dimostrare una tantum di avere qualità magiche, sovrannaturali, è necessario far sentire gli adepti speciali, diversi, attraverso prediche e spazi separati, dove, chi entra, possa percepirsi al sicuro da una realtà deludente. È proprio durante i periodi di crisi che gli individui cercano conforto nella metafisica e in pratiche stregonesche. Non è un caso che proprio ora pullulino su TikTok canali che istruiscono su pratiche occulte e riportino in auge attività che erano state conservate solo nelle valli più chiuse e alienanti della penisola.

C’è pure un che di romantico in questo atteggiamento di esplorazione e di controllo delle forze mistiche. Novalis diede, a mio avviso, la definizione più ficcante di romanticismo: “Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all’ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita allora io lo romanticizzo”. Lo stesso meccanismo lo mettiamo in atto quando il reale ci delude ripetutamente ed è qui che proviamo a dargli un’apparenza ulteriore, noumenica, in grado di nobilitarlo e di renderci più sopportabile il quotidiano. Quando i fatti ci sfuggono dalle mani, tentiamo di controllarli ipotizzando l’esistenza di fila invisibili che solo chi riesce a guardare oltre può cogliere e ritessere a proprio vantaggio.

Non è scienza e nemmeno preghiera; la magia si cala nella natura per superarla e obbligarla a seguire intenzioni di potenza personali. Si differenzia dalla prima per il rifiuto della razionalità e per il basarsi strettamente sui giudizi di valore. Si distingue dalla religione perché pregare significa rimettersi a una Volontà insondabile, mentre la magia impone la propria volontà, obbligando l’insondabile.

Il ruolo e le armi del “narcisista-leader” all’interno del gameplay

Questi elementi li troviamo anche nel gioco, dove, per rinsaldare la setta è necessario gestire gli affiliati in modo che non si rivoltino. Ognuno deve avere un ruolo, deve essere legato tramite riti e sermoni e non deve dubitare del carisma dell’Agnello, noi. Insomma, troviamo in pieno quello che Weber scriveva a proposito di un gruppo che crede nella legittimità del potere carismatico del capo. Sono legami molto solidi ma labili. Quando il dubbio che il leader abbia perso il carisma inizia a farsi strada tra i seguaci, l’infatuazione, costruita sull’irrazionalità, scema in fretta e altrettanto velocemente si sfalda il gruppo. Il leader, allora, deve dare prova continua delle sue qualità superiori, delle caratteristiche di combattente e di individuo eccezionale.

Punizioni pubbliche e regali, queste le armi del “narcisista-leader” all’interno del gameplay. Quando viene selezionato un nuovo seguace è sempre possibile personalizzarlo: nome, colore, dettagli dell’aspetto. È possibile anche sbloccare nuove skin. Le variabili sono molte. Tra le skin è possibile scegliere addirittura di avere il Seguace di Cacca (cosa che non poteva che farmi ridere malissimo!). Il nome riflette la sua volontà di cibarsi di escrementi, richiesta che noi potremo o meno assecondare.

Gli obiettivi di Cult of the lamb e l’uso della magia nera come tecnica di gioco

Cult of the Lamb, insomma, combina elementi roguelike con caratteristiche proprie dei videogame di costruzione e gestionali. Si gioca in singolo. Gli ambienti sono generati proceduralmente e l’obiettivo è quello di raccogliere oggetti, forzieri e tarocchi, tutto per migliorare la nostra potenza, al fine di sconfiggere i boss. Il finale è aperto, come del resto è personalizzabile il resto della trama complessiva. Sta a noi decidere a chi sarà esiziale l’esito. È chiaro, allora, perché Cult of The Lamb fu definito “molto rigiocabile” da GameSpot.

La critica lo ha accolto positivamente, elogiando i combattimenti, rapidi e non banali, e i layout che si susseguono sempre diversi. Anche la vicenda parallela e intersecante, incentrata sulla gestione del culto, è stata elogiata dai giornali specializzati.

È molto interessante che la magia nera diventi una strategia di gioco, di crescita, un mezzo per progredire nel GDR. Riti via via sbloccabili, discorsi motivanti, pietre ci fanno guadagnare l’energia con cui è possibile potenziare armi, salute, dottrine che ci daranno ulteriori bonus o la potenza delle maledizioni. I sermoni sono sicuramente la parte più rilevante dello sviluppo, in grado di affratellare e rendere le anime docili e pronte al sacrificio. In effetti se moriamo è possibile barattare un adepto per ottenere una vita in più. L’importante è che il grado di fede nei nostri riguardi sia alto e la credenza nell’aldilà salda. Il folklore ci dice che la magia nera non dà mai ex nihilo, al contrario sa solo scambiare e sostituire. Per cui, anche nel gioco, per ottenere qualcosa è sempre necessario avere qualcuno da sacrificare al posto nostro.

Conclusioni

Insomma, il gameplay ci scaraventa in un’atmosfera oscura, ma capace di farci leggere, attraverso la sovrastruttura culturale, la società in filigrana. Netflix abbonda di storie e documentari di sette, culti, truffe; TikTok raccoglie milioni di contenuti sulla stregoneria; le stesse città organizzano fiere di mistica e tarologia in grado di richiamare tantissimo pubblico. È chiaro che il tema sia di interesse crescente e il motivo non è legato all’interesse storiografico, piuttosto riflette il senso di vuoto e di insicurezza accumulato negli anni tra Covid, disoccupazione, guerra, social network e perdita di solidità del vivere appieno.

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