l'analisi

Elon Musk, tutti i timori sul futuro di Twitter dalle fake news alla privacy

Perché l’acquisizione del social Twitter da parte del multimiliardario Elon Musk è vista con molta preoccupazione da tanti osservatori? Tutelare la libertà di espressione, “autenticare gli umani” e aprire il codice di Twitter nascondono rischi che non si possono ignorare

Pubblicato il 28 Apr 2022

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

twitter

L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk ha scatenato il putiferio sui media. Musk si era già espresso sulla libertà di parola, sul ruolo delle piattaforme e sul futuro di Twitter dopo avere acquistato il 10% di quote del social. Ora queste opinioni sono state ribadite con forza dopo l’acquisizione del 100% del pacchetto azionario. E sono come macigni gettati nello stagno, che non si possono ignorare.

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Che cosa sostiene Elon Musk? E perché l’acquisizione del social è vista con molta preoccupazione da tanti osservatori? L’imprenditore americano ha preannunciato un piano che prevede tre aree di lavoro e trasformazione di Twitter:

  • La libertà di espressione
  • La lotta allo spam, alla violenza e ai bot
  • Rendere open source l’algoritmo per i suggerimenti dei tweets

Sono argomenti che toccano alla radice l’essenza dei social, il ruolo nella comunicazione e nell’informazione. Vediamoli nel dettaglio.

La libertà di espressione in Twitter con Musk

Elon Musk lo ha dichiarato infinite volte e lo ha ribadito ora che ha preso lo scettro, i social devono garantire la “libertà di espressione”. Questo è il motivo per cui sono nati e questa è la loro originaria promessa di valore per l’umanità. Eppure nel corso del tempo questa promessa è stata rivista. E negli ultimi 2 anni, con l’obiettivo di allinearsi alla lotta della pandemia i social hanno aumentato in maniera importante le azioni di contrasto alle opinioni non verificate e alle notizie potenzialmente lesive della sicurezza pubblica come quelle contrarie dei programmi vaccinali e alle linee guida “globali” di contrasto al virus.

Se “Covid-19” è stata la parola più utilizzata dall’umanità a partire da marzo 2020, “fake news” è certamente al secondo posto. La lotta alle fake news ha rappresentato uno dei grandi obiettivi delle piattaforme, che hanno attivato plotoni di fact checkers, hanno iniziato a collaborare con agenzie giornalistiche specializzata e hanno perfezionato gli algoritmi per setacciare opinioni, account, post di contro informazione.

Questo ha spaccato l’opinione pubblica in due: da un lato coloro che sostengono il ruolo sociale educativo e politico dei social. E dall’altro quelli che hanno visto in questa trasformazione un tradimento e un pericolo per la libertà. Certamente abbiamo vissuto due anni complicati ed è sembrato inizialmente comprensibile che i social combattessero le fake news. Ma poi ad un certo punto si è iniziato a comprendere che le fake news non sono errori che il sistema facilmente rimuove. Il confine tra fake news e informazioni scientifiche o verità dimostrate è sottile. E’ un confine frastagliato.

Lo vediamo ora che la guerra metaforica contro il virus è diventata guerra reale. La propaganda si mescola all’informazione: tra le immagini vere della guerra compaiono scene di videogiochi, le informazioni sui morti, sulle cause della guerra, sui bombardamento e sugli effetti delle sanzioni sono estremamente eterogenee tra loro. Sono discordanti. E’ sufficiente partire da premesse leggermente diverse per ritrovarsi con conclusioni opposte. Ci sono tesi fortemente contrapposte. Come c’erano tesi opposte prima. Certo circolavano sulla rete ridicole fake news. Ma sostenere che il vaccino ha effetti collaterali significativi (tema che ora sta emergendo) è una fake news o un monito da approfondire? Sostenere che il vaccino è efficace nel 95% dei casi è una verità scientifica o un’informazione troppo affrettata guidata dal marketing delle multinazionali? Forse è un po’ l’uno e un po’ l’altro, dal momento che gradualmente si è compreso che l’efficacia è del 95% nei primi due mesi ma poi diminuisce drasticamente. Il confine tra fact e fake è dunque labile. Musk risponde a questa labilità delle informazione, con una presa di posizione oltranzista a favore della libertà di espressione e di parola (Tweet: “For Twitter to deserve public trust, it must be politically neutral, which effectively means upsetting the far right and the far left equally”). Non deve e non può esistere un soggetto super partes che decide che cosa è vero e che cosa non lo è.

Molti temono questa apertura di Musk alla libera circolazione di informazioni non controllate. Ma d’altra parte non è quello che avviene normalmente? Sul tema Covid e sul tema guerra in Ucraina gli algoritmi e i fact checker sono stati attivati e sguinzagliati come moderni censori dell’opinione pubblica. Ma sulla miriade di temi che riguardano la salute, il fitness, le religioni, tematiche sociali e culturali? Ci stiamo preoccupando dei milioni di gruppi su Facebook e delle centinaia di migliaia di canali di Telegram che pubblicano quotidianamente sui temi più disparati e che promuovono teorie strane, sconosciute. Esiste un fact checking serrato che si occupa di setacciare la rete per trovare i terrapiattisti che sostengono che Elvis e Hitler sono ancora vivi e che Paul McCartney è invece (sic!) morto. Rappresenta un problema questo? O ancora una volta, c’è qualcuno che decide la differenza tra fake news che possono circolare e fake news gravi? E chi è questo soggetto super partes?

Elon Musk però non è un incosciente o un fuorilegge. Nel suo ultimo Tweet, ritwittato da 100.000 persone ha scritto: “By “free speech”, I simply mean that which matches the law”

La legge tutela la libertà di parola (e regolamenta i suoi limiti). Ed esiste un ulteriore principio nel mondo del capitalismo della Silicon Valley che stabilisce una linea molto chiara: se un qualcosa non è vietato dalla legge o apertamente contrario all’etica pubblica può essere sviluppato all’interno di un prodotto commerciale.

E’ dunque questo il perimetro in cui si muoverà Elon Musk e il nuovo Twitter?

E che farà di quelle cose che sono legali ma comunque dannose e sempre più filtrate dai social – come da Twitter – come la disinformazione, il porno, linguaggio scurrile?

Se il confine tra verità e fake news è labile, se la decisione su quale tipologia di fake news è da imbrigliare è una decisione politica e se esiste già la legge che regola la libertà di espressione e i suoi limiti allora perché spaventa il Twitter che ha in mente Musk? Chi ha paura di questa libertà di espressione tutelata dalla legge? E qui veniamo al secondo punto

Lotta a violenza verbale, spam e bot

E’ la legge a stabilire che la libertà di espressione ha dei netti limiti. Il diritto di parola ed espressione non è compatibile con l’ingiuria, l’offesa, la diffamazione, il vilipendio, l’istigazione all’odio.

Curiosamente proprio sull’istigazione all’odio, Meta di Zuckerberg ha chiesto una deroga, per autorizzare l’istigazione all’odio verso gli oligarchi russi e Putin. Una mossa davvero discutibile, ma che non ha scatenato il putiferio di Elon Musk e Twitter. Eppure è proprio il confine della legge ad essere superato in tal caso.

Riuscirà invece il nuovo Twitter di Musk a tracciare un confine tra libertà di espressione e “libertà di offesa”, “libertà di insulto”, “libertà di diffamazione”? Chi conosce Twitter sa che già oggi i toni sono molto accesi. I cinguettii sono raramente soavi e graziosi. I toni sono spesso aggressivi, il linguaggio pieno di invettiva e di aggressività. Difficile capire il confine tra vilipendio, invettiva, satira, ingiuria. Su questo tema Musk non ha detto molto. Il riferimento alla legge è convincente sul piano programmatico. Ma su quello concreto, le domande sono lecite. Ma a onor del vero la situazione è già pessima su Twitter. E la domanda che dovremmo porci è riuscirà o vuole Musk migliorarla? Un tema su cui il nuovo patron di Twitter si è pronunciato è quello della lotta allo spam e ai bot: “we will defeat the spam bots or die trying!”

Twitter consente di pubblicare i tweet tramite vari sistemi automatici e questo ha incentivato un uso automatizzato della piattaforma. I Tweet possono essere programmati con piattaforme esterne, possono essere generati automaticamente e questo ha dato il via alla creazione di milioni di profili bot/automatici, che nella migliore delle ipotesi generano spam. Spam, messaggi automatici, bot e contenuti autogenerati rischiano di rendere la piattaforma “a ghost city”, come l’ha definita una volta Musk. Da questo punto di vista il modello di Elon Musk è quello dell’interazione reale, tra le persone, non mediata da bot.

Non si sa se si intende così eliminare anche i bot non dannosi, di aziende ad esempio che danno notizie o supporto clienti.

In ogni caso, una delle soluzioni proposte è quella di rendere Twitter una piattaforma premium, che si può utilizzare solo previo pagamento di un abbonamento mensile.

  • Una soluzione di questo tipo già esiste, si chiama Twitter blue ed è stata un totale flop. Ma l’idea non dispiace a Musk. Se si potessero creare account solo pagando un abbonamento e se lo facessero buona parte degli account, automaticamente si otterrebbero due risultati. Il primo è la riduzione dei bot, degli account fake e dello spam (se generare account fake è un costo, potrebbero non esserci più convenienza per chi lo fa di mestiere).
  • Il secondo risultato sarebbe la riduzione dell’importanza se non addirittura l’eliminazione dell’advertising come modello di business. L’advertising è problematico per svariati motivi. In primo luogo gli inserzionisti esigono un contesto idoneo per gli ads. Contenuti terrapiattisti, linguaggio pieno di invettive e turbulenti discussioni sono esattamente ciò che non vogliono gli inserzionisti.

La dipendenza dalla pubblicità è dunque un forte deterrente alla costruzione di uno spazio di libertà di espressione. Inoltre, l’advertising influenza in maniera rilevante l’algoritmo dei contenuti suggeriti, spingendo l’evoluzione della piattaforma verso ciò che i “veri clienti” (inserzionisti) vogliono invece che verso ciò che gli utenti vogliono. E’ un film già visto.

L’abbonamento rappresenta un modello di business storico per i media. Un modello basato sulla fidelizzazione e sul valore a lungo termine della relazione tra editore/testata e lettore. Senza intermediari (gli inserzionisti) che alterano la relazione. Il modello basato sull’abbonamento poggia su un rapporto fiduciario nella linea editoriale, nella professionalità dei giornalisti e nella vicinanza ideologica tra le parti. Elon Musk vuole andare veramente in questa direzione? E se si, riuscirà a portarla a termine? La grande sfida sarà in tal caso capire a quanti utenti/account è disposto a rinunciare per traghettare Twitter verso il modello premium e costruire un nuovo tipo di piattaforma “fatta da” e “pensata solo per” gli utenti.

L’algoritmo di Facebook serve per raccomandare contenuti interessanti o per targettizzare noi utenti e rendere i nostri modelli di comportamenti vendibili agli inserzionisti? Domanda senza una chiara risposta. Ma che è lecito fare.

Privacy

Ma sul tema dati e privacy si apre un capitolo e una polemica a parte.

A differenza di Facebook e altre piattaforme che hanno imposto politiche di “nome reale”, Twitter ha in gran parte permesso alle persone di utilizzare pseudonimi o rimanere anonimi, un approccio che potrebbe cambiare sotto Musk, che dice di volere authenticate all the humans.

Come spesso succede con Musk, non si capisce se si riferisce solo all’eliminazione di bot che si fingono umani o – come temono alcuni esperti di privacy – eliminare l’anonimato e tracciare in modo più stringente l’identità degli utenti.

Musk sarà presto in grado di accedere a tutti i dati degli utenti di Twitter, compresi gli indirizzi IP e il contenuto dei messaggi diretti. I DM di twitter non sono crittografati end-to-end, il che significa che possono essere accessibili da chiunque controlli la piattaforma.

I sostenitori della crittografia end-to-end hanno a lungo sottolineato che la protezione non solo salvaguarda i dati degli utenti da occhi indiscreti, ma garantisce i diritti degli utenti nel lungo termine, indipendentemente da chi possiederà il servizio in futuro.

Il governo cinese, per esempio, è noto per controllare sia il discorso pubblico che le comunicazioni private, chiedendo che le aziende tecnologiche conservino le registrazioni sulle identità dei loro utenti. Come l’ultra-miliardario rivale Jeff Bezos ha evidenziato in un tweet di lunedì, una delle altre aziende di Musk, Tesla, ha importanti interessi commerciali in Cina. Twitter, nel frattempo, rimane una spina nel fianco di Pechino.

Come altri giganti tecnologici, Twitter ha trascorso anni a costruire sistemi per segnalare cose come il numero di richieste di informazioni del governo che riceve o richieste legali per rimuovere contenuti. Musk ha indicato che la trasparenza sarà una priorità per lui a Twitter, ma rimane sconosciuto su quali aree vuole concentrarsi e quale sarà la sua posizione su questioni come le richieste governative per i dati degli utenti.

In generale, i sostenitori dei diritti digitali sottolineano che gli standard aperti proteggono il discorso pubblico più efficacemente degli ecosistemi chiusi, perché permettono a più organizzazioni di offrire versioni di un servizio interoperabile che gli utenti possono scegliere.

Negli ultimi anni, l’azienda ha anche lanciato il proprio programma esplorativo, Project Blue Sky, per cercare il modo di aprire Twitter come una piattaforma interoperabile e standardizzata piuttosto che un singolo servizio chiuso.

Lo scenario peggiore è che Musk vorrebbe uno scenario in cui Twitter raccoglierebbe informazioni su ogni utente per confermare che è una persona.

Codice sorgente di Twitter aperto

Il terzo punto è quello del codice sorgente libero dell’algoritmo. Anche su questo punto Elon Musk è stato letteralmente inondato di critiche.

La prima critica riguarda una questione storica degli algoritmi, dal Pagerank di Google all’Edgerank di Facebook. In base a quello che dicono i due giganti Meta e Alphabet, gli algoritmi non sono segreti per difendere segreti industriali e profitti miliardari, ma per evitare che aziende, hacker, personaggi influenti e con potenti mezzi li utilizzino per sfruttare a proprio vantaggio il sistema.

Questo è vero. Ed è un dibattito reale sin dall’origine dei social. Ma il dibattito è mal posto in questo modo. Gli studiosi dei social e dei motori di ricerca da decenni sono in grado di decifrare come funzionano i sistemi: fanno “reverse engineering degli algoritmi” basandosi sugli effetti che generano le proprie azioni. Esistono intere discipline – growth hacking, search engine optimization e social media management – che sono basate su una profonda, probabilistica e concreta conoscenza degli algoritmi. Chi fa conosce queste tecniche sa a che ora pubblicare, quali tag usare, che parole utilizzare, quali emoticon inserire nei post, quali argomenti trattare e quanti utenti si possono raggiungere. Ancora una volta la svolta di Musk non viene compresa e per questo fa paura. Quello che vuole fare Elon Musk è rendere pubblico l’algoritmo.

Oggi gli algoritmi sono conosciuti soltanto da un’élite di tecnici che ha imparato a decriptare un linguaggio in maniera indiretta. Domani gli algoritmi potrebbero essere patrimonio dell’umanità. Alcuni senatori del Congresso americano si stanno facendo promotori del “Algorithmic Accountability Act”, una proposta di legge sulla trasparenza degli algoritmi. Scrivono i firmatari di questo disegno di legge: “Poiché gli algoritmi e altri sistemi decisionali automatizzati assumono ruoli sempre più importanti nelle nostre vite, abbiamo la responsabilità di garantire che siano adeguatamente valutati per i pregiudizi che possono svantaggiare le comunità minoritarie o emarginate”.

Algorithmic act è focalizzato sulle discriminazioni delle minoranze. Ma il discorso è molto più vasto. Oggi gli algoritmi decidono i prodotti che compriamo, i partner che incontriamo, i clienti che comprano i nostri prodotti e a “quanto pare” la possibilità di esprimere la nostra opinione. Perché dunque gli algoritmi possono essere segreti, mentre non sono segreti gli ingredienti di un alimento? Certo, nelle etichette non troviamo la ricetta esatta. Il segreto del brevetto industriale è tutelato. Ma gli ingredienti sono indicati, così come sono indicati i principali principi nutrizionali. E molto di meglio si potrebbe fare anche in questo caso.

E così arriviamo alla seconda obiezione che riguarda gli aspetti tecnici dell’Open Source dell’algoritmo. Secondo i critici gli algoritmi sono scritti in linguaggio di programmazione e hanno una base matematica che in pochi potrebbero comprenderli. Renderli pubblici beneficerebbe i tecnici, ma non le persone comuni.

Ma anche questa è un’obiezione un po’ pretestuosa. Difficile che la maggior parte delle persone conosca nei dettagli l’acido fosforico che è uno dei principali ingredienti della Coca Cola e tanto meno che conoscano gli effetti di questa sostanza sulla salute. Ma non di meno, le leggi hanno imposto che esso venga pubblicato sulle etichette. E questo permette alle persone di informarsi. Non si capisce perché lo stesso argomento non debba valere per il codice sorgente degli algoritmi o delle linee guida degli algoritmi. I comuni mortali potrebbero non conoscere – ora – il significato di una particolare “funzione”.

Ma potrebbero cominciare a informarsi. E potrebbero iniziare a rifiutare una determinata piattaforma perché usa algoritmi che non si confanno al suo bisogno di libertà e alle sue idee. Così come molte persone, oggi non bevono Coca Cola perché non vogliono ingerire coloranti, edulcoranti o acido fosforico.

E così torniamo al punto di partenza: perché si ha paura che circolino le informazioni? E chi ha paura della libertà di informazione e opinione?

Un’altra idea può essere la separazione tra contenuti e algoritmi. Twitter diventerebbe così un servizio, invece di essere una piattaforma. Come le mail. Pochi ricordano che Twitter un tempo funzionava così. Un decennio fa, prima che avesse un vero modello di business – la pubblicità – Twitter era un repository di tweet e altri dati a cui altri servizi potevano accedere e visualizzare. Gli app store erano pieni di applicazioni client di Twitter di altre aziende, come Twitterific e TweetDeck (che Twitter ha poi acquisito). La loro unica connessione a Twitter era l’accesso ai suoi database attraverso un’API. Quella versione di Twitter è svanita quando ha limitato l’accesso degli sviluppatori esterni ai pool di dati di Twitter, per controllare la sua piattaforma e assicurarsi che gli utenti vedessero gli annunci che rapidamente sono diventati la sua fonte primaria di reddito.

Per avere un’idea di come potrebbe funzionare un Twitter open-source con una separazione tra contenuti e algoritmi, è utile guardare Mastodon, un software gratuito open-source per i knockoff di Twitter che assomiglia a quello che il co-fondatore di Twitter ed ex CEO Jack Dorsey ha ripetutamente proposto per Twitter.

Hugo Gameiro, uno sviluppatore con sede nella piccola e pittoresca città portoghese di Leiria, ha iniziato uno dei primi servizi costruiti con Mastodon cinque anni fa, chiamato Mastohost, che rende relativamente facile per chiunque creare il proprio social network simile a Twitter utilizzando il software open-source sottostante che alimenta il sistema.

I risultati sono stati complessivamente positivi, dice, e il suo servizio ora ospita quasi 800 indipendenti, Mastodon-powered social network, ognuno una sorta di mini-Twitter, che vanno in dimensioni da una manciata di utenti a ben 20.000. Gameiro fa pagare una tassa mensile per i suoi servizi di hosting, simile al modello di business di innumerevoli altri servizi di hosting gestiti su internet, da Wordpress.com ad alcuni dei servizi cloud di Amazon.

Mentre Mastodon è minuscolo rispetto a Twitter, che dichiara 217 milioni di utenti giornalieri cosiddetti monetizzabili e ha registrato 5,1 miliardi di dollari di entrate l’anno scorso, l’esperienza dei suoi utenti con le politiche dei contenuti è anche istruttiva per Musk, se decidesse di andare avanti con la sua promessa di consentire qualsiasi espressione sulla piattaforma che non sia illegale. Mastodon fronteggia costantemente il rischio di essere utilizzato per social network che incitano odio e razzismo (come è successo proprio a uno basato in Italia). Una situazione che per altro scoraggia ogni investimento pubblicitario.

Chissà magari Musk può segnare un ritorno alle origini per Twitter e al tempo stesso indicare una nuova via per il futuro di tutti i social network, se troverà la quadra tra libertà (d’espressione e “algoritmica”) e responsabilità sui contenuti.

 

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