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Gli algoritmi ci condizionano e minano i diritti: quali regole per tutelarci

Usando algoritmi opachi, le piattaforme attuano strategie di potere che agiscono su gruppi, se non sull’intera popolazione, istituendo correlazioni, differenze, assemblaggi. Il volume “Piattaforme digitali e autodeterminazione” ipotizza una via sussidiaria alla regolazione dell’economia delle piattaforme

Pubblicato il 14 Mar 2023

Giacomo Pisani

Ricercatore Experienced, Euricse

Photo by Paolo Feser on Unsplash

Le piattaforme digitali stanno ridisegnando le modalità di relazione fra gli individui. Esse costituiscono oggi l’asse su cui si strutturano nuove forme di relazione sociale, di scambio, di commercio e finanche di produzione. Attraverso l’impiego degli algoritmi, i gestori delle piattaforme puntano a migliorare la capacità di queste ultime di far aderire i propri servizi e prodotti ai gusti e alle preferenze individuali. Tale corrispondenza viene oggi costruita attraverso l’utilizzo di complesse strategie, sia nelle piattaforme di eCommerce che in quelle di on-demand economy.

Lavoro mediante piattaforme digitali: le tutele allo studio in Ue e in vigore in Italia

Ad essere impiegate sono in particolar modo le funzioni connesse con l’analisi predittiva, che costituisce oggi uno dei terreni di sfida principali per le aziende che operano su piattaforma. Uno dei campi di applicazione più importanti dei modelli predittivi è quello delle raccomandazioni agli utenti.

L’estrema ambivalenza delle strategie algoritmiche di controllo dei comportamenti

Attraverso l’uso di algoritmi opachi, le piattaforme mettono in atto strategie di potere che agiscono su gruppi, se non sull’intera popolazione, istituendo correlazioni, differenze, assemblaggi. Una delle sfide eminenti assunte come banco di prova dal potere algoritmico è quella di intercettare sfere sempre più ampie dell’identità degli utenti. L’obiettivo delle piattaforme sembra essere esattamente quello di agire a partire da una valorizzazione della personalità degli utenti, intervenendo sulle loro scelte attraverso la provocazione di impercettibili smottamenti.

In questo quadro, i dati acquisiscono un senso soltanto all’interno di relazioni significative che permettono di classificare le persone in gruppi. Le strategie algoritmiche, infatti, non hanno di mira il singolo soggetto, ma determinate “classi” di individui, ottenute attraverso inferenze statistiche. Il controllo esercitato sul singolo utente sarà il risultato dell’incrocio fra le varie strategie dirette a ciascuno dei “gruppi” entro cui egli viene classificato. L’impostazione “classificatoria” propria dei sistemi algoritmici contribuisce spesso alla riproduzione di asimmetrie di potere a livello sociale, entro le quali l’autodeterminazione del singolo soggetto può essere ostacolata in base alla sua appartenenza ad un dato gruppo.

Questi processi testimoniano l’estrema ambivalenza delle strategie algoritmiche di controllo dei comportamenti. Queste non puntano all’omogeneizzazione, non agiscono mai in maniera totalmente coercitiva. Piuttosto, mirano ad “installarsi” sulla specificità delle forme di vita, promuovendo aggiustamenti, correttivi, rafforzamenti, ricalcando la logica governamentale di foucaultiana memoria.

Il lavoro nell’economia delle piattaforme digitali

Anche il mondo del lavoro è al centro di fenomeni di imponente trasformazione, che investono la possibilità delle persone di autodeterminarsi in maniera consapevole. Quello delle piattaforme di lavoro è un fenomeno in continua espansione ed è assai difficile fornire una classificazione di questo tipo di piattaforme a causa della loro estrema eterogeneità. Si passa da piattaforme attraverso le quali vengono erogate prestazioni standard, come il servizio di trasporto in auto (Uber, Lyft ecc.) o la consegna di pasti (Deliveroo, Glovo ecc.) a piattaforme in cui vengono offerti servizi maggiormente creativi, grazie al lavoro di insegnanti, architetti, grafici, professionisti ecc. (Upwork), nonché lavori manuali qualificati (ProntoPro). Infine, ci sono, nell’ambito del variegato fenomeno del crowdworking (detto anche crowdsourcing), piattaforme in cui viene richiesta l’esecuzione di micro-task, compiti assai semplici e routinari.

Anche in queste piattaforme, nell’ambito del cosiddetto “management algoritmico”, obiettivi di controllo più complessi vengono ottenuti attraverso una differenziazione degli algoritmi impiegati. Una ricerca di Alex Rosenblat mostra come Uber, ad esempio, metta in atto una molteplicità di tecniche dirette alla “manipolazione algoritmica” dei comportamenti. Rilevazioni automatiche dell’aumento dei prezzi delle corse in una determinata zona, consigli di spostamento verso luoghi più redditizi, inviti a prolungare i propri turni, sono solo alcune delle tattiche utilizzate a tal fine. Queste funzioni vengono presentate come rilevazioni “neutre” di alcune situazioni, mentre sono il frutto di sistemi di raccomandazione utili ad indirizzare i comportamenti.

Il lavoro dei rider e degli autisti

Oggetto di particolare attenzione, sia da parte della giurisprudenza che del dibattito giuslavorista, è stato il lavoro dei rider e degli autisti. Se le prime sentenze sono state generalmente concordi, sia a livello nazionale che internazionale, nel qualificare i lavoratori delle piattaforme come lavoratori autonomi, si è assistito, negli ultimi anni, ad una rivalsa del paradigma della subordinazione.

D’altro canto, è innegabile che il lavoro su piattaforma ponga delle sfide in gran parte inedite, che in alcuni casi eccedono i confini della demarcazione fra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Per questo alcuni giungono alla conclusione per cui tutti i lavoratori, senza distinzione di inquadramento, dovrebbero essere tutelati, nella prospettiva di un diritto del lavoro senza ulteriori aggettivazioni.

L’urgenza di partire dalla condizione della persona, piuttosto che dalla qualificazione dei rapporti di lavoro che questa intrattiene, si pone innanzitutto in virtù della “profondità” dei dispositivi di controllo messi in atto su piattaforma. Le strategie attuate al fine di disciplinare la forza lavoro contribuiscono ad aggravare una situazione di già marcata asimmetria di potere, che eccede l’ambito lavorativo. Ad essere investita è la personalità del lavoratore, il quale vede minacciata la propria capacità di poter prendere decisioni consapevoli.

Le contromisure della Ue

Del resto, tale questione sembra essere stata assunta anche a livello europeo. Il 9 dicembre 2021, la Commissione Europea ha pubblicato una propria proposta di direttiva in materia di lavoro tramite piattaforme digitali, in cui viene messa in evidenza l’importanza degli obblighi previsti dal GDPR per le piattaforme di lavoro. L’articolo 8 della direttiva, declinando i principi contenuti nell’articolo 22 del GDPR, afferma che le persone che svolgono lavori su piattaforma hanno diritto di ottenere spiegazioni dalla piattaforma su qualsiasi decisione presa che incida significativamente sulle loro condizioni di lavoro. Dunque, la direttiva dichiara implicitamente l’insufficienza della qualificazione come strumento per garantire l’autonomia e i diritti del lavoratore.

Radicalizzando il ragionamento attorno a cui ruota tale proposta, possiamo affermare che, nell’economia delle piattaforme, la garanzia dei diritti dei lavoratori sia possibile a condizione di assicurare alla persona il controllo sui propri dati, all’interno del complesso degli ambiti relazionali segnati dall’intermediazione delle piattaforme digitali.

In questo quadro, com’è noto, il GDPR (General Data Protection Regulation) prevede la possibilità, per l’utente, di esercitare la propria sovranità sui dati personali che lo riguardano, riconoscendogli una serie di diritti. Essi, però, hanno un’impostazione fortemente individualistica, essendo tarati sull’iniziativa del singolo utente. Eppure, nel controllo algoritmico sono implicati dimensioni ed interessi collettivi, che nel quadro normativo richiamato rischiano di non essere adeguatamente rappresentati.

Anche l’autodeterminazione dell’individuo, nell’economia delle piattaforme, è fortemente implicata all’interno di una dimensione relazionale e collettiva. Essa può essere garantita a condizione di incidere sull’architettura complessiva delle infrastrutture digitali attraverso dispositivi favoriscano la regolazione istituzionale delle relazioni, dando adeguata rappresentazione agli interessi collettivi coinvolti.

Un nuovo modello collaborativo di regolazione

Diventa importante, dunque, immaginare degli strumenti di co-regolazione, che permettano agli utenti di partecipare attivamente alla definizione di regole adeguate alla garanzia dei diritti fondamentali, agendo “a monte” rispetto alla realizzazione della “governamentalità algoritmica”.

In questo quadro si inserisce la possibilità di immaginare una via sussidiaria alla regolazione dell’economia delle piattaforme.

Nell’ultimo capitolo del volume  “Piattaforme digitali e autodeterminazione. Relazioni sociali, lavoro e diritti al tempo della “governamentalità algoritmica” , viene elaborato un modello collaborativo di regolazione delle piattaforme digitali, il quale viene messo in relazione con l’attuale normativa europea. Tale soluzione si richiama al principio di sussidiarietà orizzontale, traslato al di fuori del perimetro dello stato-nazione, entro l’orizzonte digitale.

Attualizzando il principio di sussidiarietà orizzontale, la proposta di un canale di “amministrazione condivisa” nell’economia delle piattaforme è diretta alla costruzione di uno strumento istituzionale attraverso il quale possa essere favorita la possibilità di singoli e formazioni sociali di collaborare con le istituzioni pubbliche alla realizzazione delle condizioni migliori per la difesa dei diritti fondamentali. Il singolo utente può trovare all’interno di formazioni collettive lo spazio in cui maturare consapevolezza circa la conformazione delle infrastrutture digitali, generando nel confronto forme di “intelligenza collettiva” che possano sfociare nell’elaborazione di politiche e interventi da realizzare in collaborazione con le istituzioni pubbliche.

Tale modello istituzionale può offrire una prospettiva di mobilitazione e tutela “collettiva” rispetto ai diritti contenuti all’interno del GDPR. Inoltre, esso dovrebbe avere la possibilità di intervenire ad un livello che preceda i concreti effetti dei trattamenti algoritmici, investendo la stessa regolamentazione degli spazi digitali e, in particolare, delle relazioni mediate da piattaforme.

Viene evocata una complessa dinamica di “democratizzazione” delle istituzioni, che attualizza quella possibilità di un “costituzionalismo” dal basso, già preconizzata da Stefano Rodotà, realizzando una nuova mediazione fra sovranità e autodeterminazione.

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