politica internazionale

Biden e la Cina: ecco le sfide e cosa significa per l’Europa

Il neo presidente Usa, Joe Biden, dovrà affrontare i molti fronti critici che caratterizzano i tesi rapporti con la Cina in ambito economico, dell’innovazione e dell’influenza diplomatica. Continuerà sulla via del suo predecessore o sceglierà un maggiore multilateralismo? E quale sarà il ruolo dell’Ue? Facciamo il punto

Pubblicato il 03 Mar 2021

Stefano Sartorio

Public affair analyst

rischio geopolitico

Come cambieranno, se cambieranno, i rapporti tra gli Usa di Joe Biden e la Cina? Quali saranno i terreni di confronto, quelli di competizione e quelli di scontro aperto? La sfida del futuro sembra allargarsi, oltre che all’ovvio fronte tecnologico, a numerose questioni internazionali, dal ruolo di Taiwan nelle relazioni tra i due paesi, alla posizione dell’Unione europea come alleato e partner affidabile.

Il fronte tecnologico

Sul fronte tecnologico, il primo punto da evidenziare è che nel 2020, tra le prime 20 compagnie high-tech a livello globale, si sono posizionate 4 aziende cinesi. Tencent raggiunge il quarto posto dietro a Google; Huawei il quindicesimo, Xiaomi e Baidu rispettivamente il diciannovesimo ed il ventesimo.

Le compagnie americane dominano ancora il panorama tecnologico, rappresentando il 70% dell’intera classifica. Anche semplificando molto, è chiaro che ad oggi la natura della competizione tecnologica tra Cina e Stati Uniti sia in una fase iniziale e che nonostante tutto siano ancora i secondi a detenere un primato in questo senso.

È però corretto sottolineare che i progressi della Cina sono stati molti, ponendo lo sviluppo del settore nel paese sotto la lente d’ingrandimento internazionale.

Cina vs Usa, per Biden è la “competizione del futuro”

Parlando della rivalità tra Cina e Stati Uniti, il Presidente americano Joe Biden ha definito il rapporto tra i due paesi come “la competizione del futuro”, esprimendo contestualmente non solo le sfide in tema di sviluppo economico e tecnologico ma anche geopolitico (riferendosi alla regione indopacifica in particolare).

Probabilmente, se ci interroghiamo sull’opportunità che i due paesi avranno di continuare o di interrompere le tensioni, la risposta può essere scontata. Data l’indubbia crescita cinese a livello economico, di innovazione (rispetto al decennio passato) e in parte di influenza diplomatica, pare ovvio che in ognuno di questi punti di contatto gli Stati Uniti tenderanno a rispondere a una conseguente perdita di quello che gli americani chiamano “leverage” ovvero la capacità di influenzare i processi globali. Il come tutto questo avrà luogo, è l’interrogativo sul quale analisti e osservatori si stanno documentando.

Gli Usa di Biden e la Cina di Xi

La telefonata tra il Presidente Biden e Xi Jinping, avvenuta il 10 febbraio, è stata definita da Xinhua come un messaggio positivo per il mondo. La chiamata è durata circa due ore. Al termine del confronto con il leader cinese, Biden ha sostenuto la necessità per il paese di evolversi (in questo caso, citando la carenza infrastrutturale e lo sviluppo dei trasporti) oppure “They will eat our lunch” (ci faranno “le scarpe”).
Il neoeletto Presidente assume la propria carica in un momento di forte tensione istituzionale e politica, dove alle contingenze internazionali si aggiunge la precedente politica assertiva di Donald Trump. Ad aspettare Biden in ufficio, l’inclusione di Xiaomi tra le aziende off-limits per gli investitori americani a causa dei presunti legami con il PLA (People Liberation Army); l’annoso tema del decoupling, soprattutto sul tema del digitale; i risultati controversi dopo un anno dalla firma della fase uno dell’accordo commerciale tra i due paesi; e molti altri.

Durante il suo discorso presso il Dipartimento di Stato americano, tenutosi il 4 febbraio, il presidente americano ha sottolineato che gli Stati Uniti dovranno “affrontare gli abusi economici della Cina; contrastare la sua azione aggressiva e coercitiva; respingere l’attacco della Cina ai diritti umani, alla proprietà intellettuale e alla governance globale”.

Ha successivamente aggiunto che però saranno anche pronti a lavorare con il paese quando sarà nell’interesse dell’America farlo. In un’intervista con il Wall Street Journal, pubblicata l’11 novembre 2020, il presidente Biden sosteneva che gli Stati Uniti avrebbero dovuto adottare una strategia diversa da quella corrente. Egli dice che non sarà possibile “affrontare” (to deal with) la Cina senza coinvolgere anche gli altri alleati americani. Concludendo il discorso, dicendo “o saremo noi a scrivere le regole globali, o sarà la Cina a farlo”.

Tecnologia, intelligence e relazioni tra le forze militari

È interessante notare la posizione dell’amministrazione americana appena insediata nei confronti delle aziende cinesi sotto il mirino dell’ex Presidente Trump, TikTok e WeChat. Il destino della prima è ad oggi in revisione da parte di un Comitato per gli investimenti esteri. Sulla seconda, è stata richiesta una
sospensione della valutazione di un possibile “ban”. Secondo fonti Reuters, il governo statunitense sembrerebbe intenzionato a continuare con le restrizioni esistenti sull’esportazioni di determinate tecnologie in Cina, in collaborazione con gli alleati europei. È poi importante osservare che mercoledì 10 febbraio il Presidente Biden ha annunciato che il Dipartimento della Difesa costruirà una Task force che dovrà valutare la strategia nazionale nei confronti della Cina. Guidata da Ely Ratner, che affiancherà il nuovo segretario alla Difesa Lloyd Austin, essa si occuperà di analizzare quali azioni intraprendere, lato tecnologia, intelligence e relazioni tra le forze militari dei due paesi. Il responso di questa commissione è atteso entro 4 mesi da febbraio.

In un’intervista della CNN, Parag Khanna, analista e politologo di fama internazionale, sostiene che l’amministrazione Biden si focalizzerà sulla creazione di una alleanza di paesi democratici con le stesse ambizioni e necessità, soprattutto per quanto riguarda le priorità tecnologiche e di sviluppo in tal senso, per chiamarli a produrre questi beni al di fuori della Cina, nei paesi alleati. Di nuovo, richiamando quella che pare essere una propensione ormai chiara della nuova amministrazione americana, che trova tra i suoi cardini strategici coalizioni con i paesi alleati per tenere sotto controllo l’espansione cinese.

Quale ruolo per l’Unione europea?

Il ruolo dell’Unione Europea, all’interno di questo nuovo assetto politico sarà importante. Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, lunedì 8 febbraio, ha ribadito a Josef Borrell (Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza) la necessità che l’Ue agisca autonomamente e indipendentemente dalla controparte americana: “Finché la Cina e l’UE faranno politiche in modo indipendente e autonomo nella prospettiva dell’interesse comune, ci saranno grandi risultati. L’accordo globale Cina-UE sugli investimenti è un buon esempio”.

La posizione di Angela Merkel in merito sembra essere molto chiara. Il 26 gennaio, la cancelliera tedesca ha rifiutato pubblicamente l’idea che l’Unione europea debba schierarsi con una o l’altra parte: “vorrei evitare la creazione di blocchi” ha detto Angela Merkel durante il World Economic Forum di Davos. Anche il presidente Macron, il 4 febbraio, ha ribadito la necessità di evitare uno scenario ancor più conflittuale. È possibile che la posizione intermedia che l’Unione stia cercando di mantenere sia dovuta anche al precedente rapporto con l’amministrazione Trump.

Il ruolo che la NATO gioca nella sicurezza europea però non può, ad oggi, essere messo in discussione. Questa sarà una variabile che peserà in modo principale ogniqualvolta si tratterà di interagire sia con la Cina che con gli Stati Uniti. Anche in tema di tecnologie. In tema di confronto tecnologico, l’unione europea si deve interrogare anche sulle conseguenze di un eventuale decoupling completo tra Cina e USA.

Le società europee dovranno obbligatoriamente ideare soluzioni doppie che permettano ai dispositivi di comunicare. Questo, al prezzo di maggiore innovazione ed efficienza.

Se il dialogo è la soluzione

Durante la telefonata tra Xi Jinping e Joe Biden, il presidente cinese ha proposto al suo corrispettivo americano di riprendere il dialogo che si era interrotto con l’amministrazione precedente. In particolare, si è parlato di quattro forum di discussione, inaugurati nel 2017 con il Presidente Trump e fermatisi dopo un primo round di colloqui. In particolare:

  • il Diplomatic and Security Dialogue,
  • il Comprehensive Economic Dialogue,
  • il Law Enforcement and Cybersecurity Dialogue,
  • il Social and Cultural Dialogue.

Per quanto riguarda l’Ue, il 23 ottobre è stato lanciato un nuovo forum di discussione con gli Stati Uniti: lo EU-US Dialogue on China. Esso prevede incontri tra il Servizio di Azione Esterna della Commissione Europea il Dipartimento di Stato americano sulla Cina.

La China Global Television Network ha definito questa nuova intesa “morta in partenza”, sostenendo che per molti stati europei non sia conveniente schierarsi apertamente con gli USA. La firma del Comprehensive Agreement on Investments da parte dell’Unione europea, senza il supporto americano, potrebbe infatti aver indispettito l’alleato già pochi mesi dopo il lancio del forum. Rimane da verificare se l’Ue deciderà di perseguire una politica sempre più autonoma sul fronte Cina o se invece torni a meccanismi decisionali multilaterali, includendo gli USA a pieno titolo nelle decisioni di importanza regionale.

Conclusioni

Il futuro comunque sembra orientarsi su una politica internazionale meno colorita ma comunque ancorata a delle direttrici piuttosto chiare. Sicuramente il presidente Biden manterrà un approccio deciso nei confronti della Cina, soprattutto sui temi legati all’indipendenza di Taiwan, dei diritti umani e della competizione tecnologica. Tutto questo, verrà eseguito all’interno di una cornice più multilaterale rispetto a quella della precedente amministrazione.

Le relazioni tra i due paesi vedranno aree di cooperazione (Covid-19, cambiamento climatico), competizione (tecnologica e commerciale) e di scontro (Taiwan, Hong Kong e i diritti umani).

Secondo quanto riporta Kurt Campbell, ex Assistente Segretario di Stato per le questioni relative all’Asia dell’Est ed al Pacifico dell’amministrazione Obama I e “Asia co-ordinator” per l’amministrazione Biden, gestire le relazioni con la Cina sarà complicato ma necessario. Le due variabili nuove che individua, in un paragone della situazione odierna nell’Indo-pacifico con l’Europa post seconda guerra mondiale (che gli USA hanno contribuito a plasmare), sono l’assertività cinese e l’atteggiamento degli Stati Uniti negli ultimi 4 anni. Campbell sostiene che debba avvenire un nuovo ri-equilibrio, innanzitutto in ottica militare e di deterrenza ma anche diplomatico. Inoltre, come già ribadito, sottolinea l’importanza di lavorare a stretto contatto con gli alleati americani per generare nuovi equilibri di potere, di narrativa e di visione del mondo. Una presa di coscienza che si riassume nella visione di Campbell in cui gli USA devono tornare ad essere partner affidabili e desiderabili, in quanto senza la fiducia degli altri Stati non si potrà più pensare di ottenere la loro totale collaborazione. In pratica, non più “America First” quando si tratta di ordine globale. I principi di questa strategia: “rafforzare il sistema (1), fornire a Pechino incentivi perché si comporti produttivamente (2), comminare collettivamente punizioni nel caso la Cina intraprenda azioni che minino l’ordine regionale (3)”.

Le sfide del XXI secolo sono molto complesse da affrontare per i due singoli attori, anche se principali. Come una provocazione, citando nuovamente il politologo Parag Khanna: “Il mantenimento della libertà di navigazione da parte degli americani, il finanziamento cinese delle infrastrutture e la promozione europea di una regolamentazione ambientale sono tutti esempi di un contributo al bene globale da parte delle singole nazioni. Ma essi sono ben al di sotto di una strategia globale coordinata che il mondo oggi necessita”. E forse sarà proprio questa l’intesa che verrà ricercata da entrambe le potenze, fintanto che il pragmatismo della politica lo concederà.

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