l'analisi

Google, Amazon: ecco i danni delle “asimmetrie tecno-economiche”

L’asimmetria è un concetto che contraddistingue l’evoluzione dell’umanità fin dalle sue origini, ma nell’era odierna le disuguaglianze sono accentuate da alcuni megatrend. Esaminiamo quello dell’innovazione, partendo dall’analisi dall’analisi di due protagonisti dell’universo informativo globale: Google e Amazon

Pubblicato il 15 Giu 2020

Mauro Lombardi

Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze

squilibri

L’epoca che stiamo vivendo è definita in vari modi: era dell’informazione, incertezza, della complessità, per non parlare dell’Anthropocene, nuova era geologica, in cui l’umanità sta sviluppando forze in grado di condizionare in modo irreversibile l’intero Pianeta, per cui i processi sistemici globali dovrebbero essere al centro delle nostre analisi (Steffen et al., 2018, Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, PNAS, August 6).

L’intensità della dinamica tecnico-scientifica, la portata globale di strategie e comportamenti da parte di vari attori (imprese-network, Stati nazionali e federali, organismi non governativi) stanno generando un’imprevedibile –negli esiti- competizione geo-politica e la ridefinizione delle gerarchie politico-economiche a livello globale. I nostri processi decisionali devono quindi misurarsi con la turbolenza, termine qui impiegato nel senso di una pluralità di vortici di trasformazione tecnico-scientifica e socio-economica.

In questo scenario il presente contributo mette al centro delle riflessioni l’asimmetria, un concetto che contraddistingue l’evoluzione dell’umanità fin dalle sue origini e quindi è uno dei più usati, cionondimeno è sempre essenziale per comprendere direttrici evolutive generali. La stessa evoluzione della vita sulla terra è asimmetrica, perché si basa su differenti dotazioni genetiche, su meccanismi di interazione con gli ambienti, che a loro volta evolvono sulla base di forze endogene ed esogene. Si potrebbe quasi sostenere che l’asimmetria è un fondamento basilare di tutti i processi evolutivi e delle dinamiche socio-economiche, laddove l’omogeneità genomica, culturale, politica, istituzionale, produce fenomeni di impoverimento e degrado entropico.

Cercheremo pertanto qui di mostrare le forme peculiari che oggi assumono le asimmetrie, perché è da esse che dipendono le traiettorie evolutive. La loro comprensione è essenziale non solo per aumentare la conoscenza, ma anche e soprattutto la consapevolezza delle sfide da affrontare se si intende evitare sentieri di cambiamenti dannosi.

Le evidenti asimmetrie economico-sociali

Questo discorso acquista ancora più valore oggi, se pensiamo al fatto che attualmente l’umanità è vicina a quello che è definito nuovo “punto critico (tipping point) della sua storia, poco tempo dopo quello del 2018. Cerchiamo di chiarire. Nel settembre 2018, diecimila anni dopo l’inizio della civilizzazione umana basata sull’agricoltura, per la prima volta metà della popolazione mondiale era nella classe media oppure nel segmento con reddito più alto (5%., secondo i calcoli della Brookings Institution, basati su una metodologia proposta da H. Kharas (2010, The Emerging Middle Class in Developing CountriesI, OECD Development Center) e adottata in sede OECD. L’importanza di questo dato non è stata colta appieno nel dibattito corrente, anche perché l’attenzione è puntata sulla restante metà e ovviamente sulle differenze di situazioni all’interno dei vari Paesi, anche quelli più sviluppati, dove rimangono livelli di povertà inaccettabili.

L’evento segnalato è comunque rilevante, se si pensa che l’aumento della classe media a livello mondiale implica cambiamenti della struttura della domanda di beni e servizi in un mondo globalizzato. Si possono solo immaginare gli effetti economico-produttivi di questi trend per almeno due motivi fondamentali:

  • l’ambiente competitivo globale, che evolve anche sulla base di strategie poste in essere da global networks, i quali a loro volta operano –come vedremo nei paragrafi finali- in mercati contraddistinti da una riduzione significativa del grado di concorrenzialità.
  • La variabilità della distribuzione del reddito e della ricchezza nei vari Paesi, per cui l’incremento della middle class, è dovuto maggiormente allo sviluppo delle Nazioni emergenti, mentre all’interno di quelle più avanzate si sono prodotti, a partire dagli anni ’80, andamenti opposti, come si vede dai seguenti Grafici seguenti.

In Europa, ad esempio, il reddito del 50%più basso è diminuito costantemente, mentre quello del top 10% è costantemente aumentato, con ritmi differenziati nelle sub-Regioni europee Fig. 1

Fig. 1

Fonte: Blanchet et al., 2019, How Unequal Is Europe? Evidence from Distributional National Accounts, 1980-2017, World Inequality Lab., Fig. 9

E’ molto interessante, poi, rilevare i differenti trend evolutivi, che caratterizzano gli Stati Uniti e l’Europa (Fig. 2)

Fig. 2

Fonte: Blanchet et al., 2019, Fig. 26°

Occorre mettere in evidenza due punti: i) l’andamento “a forbice” negli Usa, dopo un trentennio post-bellico di convergenza, ovvero fino all’inizio dell’era reaganiana-thatcheriana, sotto l’insegna di una crescente divaricazione. ii) Convergenza minore in Europa e nei decenni successivi una sostanziale staticità degli assetti distributivi raggiunti nel trentennio precedente.

Un’altra simmetria che vale la pena considerare è quella tra il tasso di crescita del reddito nella fascia di popolazione più ricca (top 1% negli USA (cresciuto sette volte) e in Europa (poco meno del 200%, come si evince dalla Fig 3

Fig. 3

Fonte: Blanchet et al., 2019, Fig. 26b

Emergono evidenti asimmetrie economico-sociali, se si tiene presente che tutto questo è il risultato di differenti assetti normativi, istituzionali, meccanismi di funzionamento delle varie forme dei sistemi capitalistici, come si può dedurre dalla Fig. 4

Fig. 4

Fonte: Blanchet et al., 2019, Fig. 27.

Dai grafici emergono chiaramente le asimmetrie nella capacità, diciamo così, di trarre beneficio dalla crescita delle economie Usa ed EU, laddove quest’ultima ha mostrato tassi di crescita più contenuti. Abbiamo messo in luce queste asimmetrie economiche, che sono in effetti originate da differenze strutturali tra i vari Paesi e sono confermate da molti studi, svolti dalla World Bank (2015, 2020), UN (2020). Specie in quest’ultimo si mostrano il numero di crescenti divaricazioni all’interno e tra Paesi durante un’era della crescita straordinaria, proprio mentre entriamo in un’epoca di grande turbolenza, dove alcuni processi globali (definiti megatrend) rischiano di accentuare le diseguaglianze: ulteriore concentrazione della ricchezza, innovazioni tecnologiche, cambiamento climatico, urbanizzazione, migrazioni internazionali.

A tutto ciò occorre aggiungere, per le note vicende odierne, la possibilità di eventi pandemici, prevedibili, previsti e certamente ulteriore fattore causale di squilibri economico-sociali.

Asimmetrie tecno-economiche

Approfondiamo uno dei segnalati megatrend o forze globali, come li definisce il documento dell’ONU (UN, 2020, World Social Report. Inequality in A Rapid Changing World), quello dell’innovazione tecnologica, toccando alcuni aspetti essenziali e tralasciando –per ragioni di brevità- altri non meno importanti, strettamente connessi a quelli qui trattati.

Le ultime due decadi del secolo scorso e le prime due del XXI hanno visto il pieno dispiegarsi a livello globale di quello che W.J. Baumol ha sintetizzato nella espressione “free market innovation machine” (titolo del suo libro, 2002, Princeton Press). Lo stesso Baumol e altri hanno enfatizzato le varietà dei capitalismi odierni (2007, Good Capitalism, Bad Capitalism, and the Economics of Growth, Yale University Press), ma il driver principale è stata la innovation machine Usa, che ha prodotto gran parte delle innovazioni scientifiche, tecnico-produttive e dei modelli di consumo della fase storica che stiamo vivendo:

  • enorme aumento della potenza computazionale, tanto che siamo alle soglie di quella che è definita “exascale era” (Alowayyed et al., 2017, Multiscale computing in the exascale era, Journal of Computational Science, 22: 15–25), cioè un’epoca in cui i sistemi computazionali possono effettuare un exaflop (miliardi) di calcoli al secondo per rappresentare processi multiscala, dalla nanoscala a quella ordinaria, nella scienza dei materiali, nella chimico-farmaceutica, in astronomia. Tutto questo ovviamente si aggiunge alla continua produzione di flussi informativi su scala globale (Hoekstra et al., 2017, Towards the virtual artery: a multiscale model for vascular physiology at the physics–chemistry–biology interface, Trans. R.Soc. A 374: 20160146.). Bisogna anche tenere presente che gli Usa e la Cina, insieme ad altri Centri di Ricerca distribuiti nel Medio Oriente e in Europa, stanno sviluppando la computazione quantistica[1].
  • Potenza computazionale distribuita, cioè il personal computer e il sistema operativo iconico, creato nel Laboratorio della Rank Xerox di Palo Alto, ma valorizzato da Steve Jobs con l’Apple. È doveroso ricordare, però, che il primo personal computer (denominato Programma P101) è stato inventato dall’ingegnere Pier Giorgio Perotto della Olivetti nel 1965 (in onore del quale fu chiamato “perottina” ed è stato utilizzato dalla NASA per l’impresa storica dell’atterraggio sulla Luna (Apollo 11).
  • La presenza ubiquitaria di dispositivi che elaborano informazioni (smart cities, wearable computers, smart grid,.etc.) alimenta senza sosta l’universo informativo che pervade e circonda l’intero Pianeta Terra.

Su queste basi vengono incessantemente generati flussi informativi, che al tempo stesso creano pressioni fondamentali per il cambiamento di processi, prodotti, modelli di business e di consumo. È logico, pertanto, che in questo scenario si creino continuamente asimmetrie cognitive generali, originate da interessi di ricerca per la risoluzione di problemi, spinte economiche, politico-strategiche, militari. Il Web è realmente diventato uno spazio generativo: “Generativity denotes a technology’s overall capacity to produce unprompted change driven by large, varied, and uncoordinated audiences. The grid of PCs connected by the Internet has developed in such a way that it is consummately generative” (Zittrain J., 2006: 1980, The Generative Internet, Harvard Law Review, Vol. 119: 974-2040.

Il Web come spazio generativo auto-organizzato

I motori di ricerca e le piattaforme sono diventati componente quasi inevitabile per lo svolgimento di qualsiasi attività di lavoro e di svago, sono parte integrante della nostra vita quotidiana sotto ogni aspetto. E’ allora opportuno porsi un quesito fondamentale: qual è la configurazione assunta dallo spazio generativo, denso di interazioni multiscala e globali, che si sviluppano senza soluzione di continuità? Elementi essenziali per rispondere possono essere ottenuti dall’analisi di protagonisti di assoluto rilievo dell’universo informativo globale, quali Google e Amazon.

Prima di entrare direttamente nel merito, è doveroso chiarire un punto cruciale: l’universo informativo globale genera necessariamente spinte verso l’auto-organizzazione dei flussi informativi, in quanto i meccanismi basilari che li alimentano producono inevitabilmente convergenze, basate su molti fattori: interessi, affinità e complementarità, condivisione emotiva e di visioni, sintonie politico-culturali. Come si vede, si tratta di motivi umani più o meno profondamente radicati, che sono incrementati a dismisura dalla possibilità di realizzare strutture connettive di interazione su scala planetaria.

La base da cui partire nell’analisi della configurazione è, quindi, l’esistenza di processi di auto-organizzazione informativi e la disponibilità di una crescente potenza computazionale.

Perché si generano pressioni evolutive verso l’auto-organizzazione? La ragione fondamentale, – a nostro parere, è che -come è sempre accaduto nella sua storia- l’umanità evolve affrontando continuamente nuovi problemi, la cui individuazione e la ricerca di soluzioni possono oggi disporre di una potenza computazionale senza precedenti e in continua crescita. Problemi da risolvere, ricerca di soluzioni, interessi socio-economici danno origine a circuiti di feedback cumulativi, che nell’epoca attuale creano appunto strutture interattive globali. La configurazione di queste tende ad assumere, proprio grazie alle tecnologie dell’informazione in pieno e apparentemente inarrestabile sviluppo, la configurazione di “reti di reti gerarchiche”, che evolvono anche autonomamente e convergono su determinati direttrici, oppure si divaricano, in una dinamica di scomposizione e ricomposizione, che rende attuale il concetto di sistemi quasi-scomponibili (near-decomposable systeems), elaborato da Herbert A. Simon (1962, The Architecture of Complexity, Proceedings of the American Philosophical Society, Vol. 106, No. 6: 467-482). La dialettica tra interessi, processi e strategie di varia natura genera, quindi profili evolutivi mutevoli, che dipendono anche da molti fattori specifici: culture locali, tipologia delle istituzioni esistenti, etica prevalente in una comunità a vari livelli territoriali, strutture economico-produttive.

Il punto di riferimento essenziale per comprendere le traiettorie di fondo è a nostro avviso il seguente: i feedback tra potenza computazionale, esercitata sull’infrastruttura materiale a livello planetario, e la soft infrastructure (sistemi e architettura del software) stanno conferendo un’’enorme forza ai processi di auto-organizzazione dei flussi di informazione, dando così origine ad una peculiare configurazione dello spazio generativo. Approfondiamo pertanto la questione trattando alcune caratteristiche di due formidabili macchine innovative, Amazon e Google.

Google e il processo di Googlization

Non vi sono dubbi che Google sia una delle imprese di maggior successo nel Web da tutti i punti di vista. Non ci soffermiamo sulle performance per trattare invece il modello e la logica del suo eccezionale funzionamento. Spunti essenziali di riflessione sono tratti da due fonti complementari, anche se da opposti punti di vista: il libro di E. Schmidt e J Rosenberg (How Google Work,, 2014)[2] e quello di S. Vaidhyanathan (Googlization of everything and why we shoud worry, 2011). Il primo spiega il modello di management e il secondo, invece, analizza il processo totalizzante del sistema Google nell’universo informativo odierno.

Le incredibili performance del modello manageriale può essere sintetizzato in 7 idee-chiave:

  • il successo dipende dal mettere all’opera i migliori talenti nell’ideare i prodotti.
  • La priorità assoluta sta nell’assumere e trattenere le persone più creative e dotate (smart creatives).
  • Promuovere una cultura aziendale creativa e free-thinking, in modo da attrarre chi cerca l’eccellenza.
  • Preparare per sfide inattese, creare i presupposti per un ambiente aperto ai cambiamenti.
  • In presenza di team composti da smart creatives, l’importante è stimolare la discussione, non prendere decisioni.
  • Gli smart creatives prosperano in un ambiente aperto e collaborativo.
  • L’innovazione non si crea artificialmente, ma occorre creare il clima che l’incoraggia.

Non vi sono dubbi, visti i risultati, che queste enunciazioni di Schmidt e Rosenberg siano ingredienti basilari, ma è da ritenere che non siano una peculiarità di Google, dal momento che essi sono rinvenibili in qualsiasi impresa altamente innovativa.

Per comprendere meglio le ragioni del successo, occorre allora guardare anche a come e dove Google ha declinato il frame culturale-manageriale., ovvero alle modalità e ai meccanismi adottati per mettere in azione una “macchina algoritmica” nel Web, nell’universo informativo globale, che essa ha saputo organizzare con sequenze coordinate di impulsi top-down e bottom-up. Mettiamo in luce in primo luogo i frutti della dotazione dinamica di smart creatives:

  • motori di ricerca con sistemi di algoritmi molto efficienti rispetto a finalità predeterminate, ma non esplicite.
  • Sistemi di vendita all’asta di spazi di pubblicità.
  • Modalità con cui “Google misura e costruisce i suoi sistemi per assecondare desideri e debolezze” degli utenti (Vaidhyanathan, 2011: 52).

Un altro aspetto molto interessante del modello Google è il seguente: l’utente esprime i desiderata, le preferenze, senza dover minimamente preoccuparsi del complesso sistema tecnologico che li raccoglie, le organizza, arricchendo progressivamente l’interazione tra sistema e utente con suggerimenti e connessioni evocative di affinità e complementarità, non emerse spontaneamente nell’accesso alla rete. L’essenza della “Googlization” è colta in queste frasi: “Googlization of everything entails the harvesting, copying, aggregating, and ranking of information about and contributions made by each of us. his process exploits our profound need to connect and share, and our remarkable ability to create together—each person contributing a little bit to a poem, a song, a quilt, or a conversation. It is not about “you” at all. It should be about “us”—the Googlization of us.” (Vaidhyanathan, 2011: 83).

Per questa via Google “legge le nostre menti” in modo graduale e sistematico, e più comprende noi stessi, maggiormente efficaci sono gli stimoli-impulsi che arrivano alla nostra innata tendenza a socializzare (“our profound need to connect and share”). Di qui deriva la sempre più grande capacità, grazie al supporto di sistemi computazionali in continuo miglioramento ad opera degli smart creatives, di classificare, orientare e influenzare con la pubblicità, i suggerimenti mirati, mentre si organizzano servizi dedicati molto remunerativi. Siamo in sostanza di fronte ad una intelligente ed implicita (forse) applicazione della teoria del nudge (Thaler e Sunstein, 2014, La spinta gentile, Feltrinelli. Per un’analisi critica della teoria del nudge, “spinta gentile” a prendere le decisioni più migliori, cioè più razionali, grazie al “paternalismo libertario” (formula degli autori), su cui si è sviluppato un interessante dibattito politico, filosofico, economico (si veda a riguardo D. Tafani, Il diritto alle scelte stupide. Kant contro i nuovi paternalismi, 2017, Giornale critico della filosofia italiana, n. 2: 237-259).

La profilazione individuale e collettiva legge e interpreta connessioni, credenze e aspettative, tendendo poi ad anticipare queste ultime su scala globale. In tal modo si rafforza quasi automaticamente la tendenza a ingenerare negli utenti la convinzione che Google possa risolvere qualsiasi problema umano. Ciò è congruente, peraltro, con l’ethos lavorativo di Google, cioè quello che Vaidhyanathan chiama techno-fundamentalism, l’idea che la combinazione creativa di nuove tecnologie dell’informazione, di sistemi di algoritmi sempre più sofisticati, di reti ad alta velocità e di un’enorme quantità di server (terribilmente energivori, aggiungiamo noi) possa adempiere ad ogni compito.

Abbiamo quindi una “macchina quasi perfetta”, che asseconda, anticipa le aspettative, stimola nuove e promettenti vie di esplorazione della conoscenza ed apparato emozionale. Va tutto bene, dunque? Lo vedremo nel par. 3.

Amazon: l”augmented reading of minds”

Anche Amazon è una “macchina quasi perfetta”, come la definisce Martin Angioni (nel libro pubblicato il 21 maggio, “Amazon. Dietro le quinte”, Cortina Editore, 2020: 53)[3], ex Country Manager di Amazon per l’Italia, licenziato dopo un’intervista non rispondente (frasi ironiche sul fisco) allo stile manageriale della società. È doveroso iniziare con la descrizione degli ingredienti basilari di tale macchina:

  • approccio “bimodale: execution spietata, rigorosa, militare e capacità di innovare”, intervista a Il Fatto Quotidiano, 20-5-2020).
  • Assenza di gerarchie, nel senso che la Company è un insieme/rete di team e di leader di team, che eseguono task controllati continuamente nei minimi dettagli, mediante verifiche incessanti e un’attenzione puntuale, spasmodica all’innovazione.
  • La progettazione e i processi sono al centro dell’attività dei team, distribuiti per funzioni e aree territoriali (dal locale al globale in Google non è uno slogan, è pane quotidiano). L’attenzione sistematica ai processi specifici implica che l’impresa tende a funzionare come una sorta di macchina algoritmica che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare a prima vista, ha una funzione “incredibilmente liberatoria” (Angioni, 2020: 65), perché riduce la complessità dell’insieme dei compiti da svolgere, “nel senso che depura ogni fatto, ogni dato, ogni numero dal rumore delle opinioni e delle interpretazioni personali” (ivi). Di fatto, dall’analisi si deduce che Amazon è un sistema quasi completamente parametrizzato, cioè indicizzato mediante sequenze di parametri rappresentativi di fasi, sotto-fasi e task operativi, in modo tale da consentire una verifica continua di piccole e grandi anomalie, mentre i team possono concentrarsi sulle potenzialità di innovazione dei processi.
  • Se questi ultimi sono del tutto parametrizzati e le riunioni dei team leader ad ogni livello si svolgono sulla base di report sintetici con tabelle e grafici, i meeting possono svolgersi in un clima di piena libertà di valutazione e confronto nel discutere i dettagli, le anomalie, i possibili rimedi e la ricerca di innovazioni.
  • La macchina algoritmica non potrebbe funzionare adeguatamente in assenza di una cultura aziendale “totalizzante”: “il lavoro è un fine in sé”; i feedback continui, ricevuti rispetto ai compiti che si stanno svolgendo e il flusso continuo di informazioni generano un “approccio totalizzante”, uno dei cui alimenti essenziali è, infine, i “Principi di Leadership”, documento cardine e “ideologia compattante” del funzionamento dinamico dei team.

Dopo aver sintetizzato in modo certamente riduttivo la ricchezza del libro di Angioni, descriviamo alcuni capisaldi del modello operativo di Amazon, piattaforma evolutasi gradualmente verso la vendita di “tutto a tutti”, cioè intermediario globale (“Amazon Launches Home Services to Sell Everything from an Oil Change to Piano Lessons.” The Verge).

Il suo ritmo di crescita negli ultimi venti anni (25-30%) è quasi impressionante, con ricavi in aumento derivanti nel 2019 dalla vendita di prodotti (56% rispetto al 60% del 2018) e dei servizi (44% rispetto al 40% del 2018). Queste semplici cifre[4] sono indicatori della tendenza in atto da prima della pandemia, che ha dato ulteriore impulso, come è logico attendersi, alle vendite on line di beni e servizi di intrattenimento, come dimostrano i primi dati riferiti ad Amazon e Netflix.

Il trend evolutivo di Amazon, pur tra difficoltà nel corso degli anni e notevoli successi nel periodo più recente, come indica la capitalizzazione di borsa attuale, che la vede terza società Usa dopo Microsoft e Apple, è in realtà espresso a livello di intuizione già in un articolo del 1999 (p. 179 del libro di Angioni), dove si indicavano i primi passi di Amazon verso l’idea di “guadagnare in commissioni”, cioè l’ipotesi di organizzare meccanismi per “reindirizzare il traffico verso altri retailer garantendosi una commissione”. C’era l’intuizione, “non ancora la visione”, che si è poi realizzata nella piattaforma di intermediazione globale, rafforzata gradualmente mediante alcuni azioni strategiche:

  • prezzi predatori (Sussman, 2019, Prime Predator: Amazon and the Rationale of Below Average Variable Cost Pricing Strategies Among Negative-Cash Flow Firms, Journal of Antitrust Enforcement, 7: 203–219), ovvero più bassi, in modo da spiazzare la clientela di piattaforme all’inizio abbastanza consistente, e successivamente anche i produttori di beni e servizi.
  • Recupero (recoupment) con l’aumento dei prezzi una volta eliminata la concorrenza, com’è avvenuto per i clienti attratti con la formula Prime.
  • Opaco bundle, insieme di prodotti e servizi di natura diversa per clienti e utilizzatori” (ivi: 174). In sostanza Amazon è divenuta una “piattaforma abilitante per altri retailer”.
  • Sfruttamento intelligente dei network effects, che si hanno quando al crescere del numero di utilizzatori, il servizio migliora, perché Amazon incrementa il numero di magazzini e stoccaggio, insieme a quello dei Centri di distribuzione, investendo molto in tecnologie dell’automazione e migliori servizi logistici (tempestività, efficienza), di cui possono beneficiare tutti gli utenti.
  • Al tempo stesso Bezos e il suo team hanno realizzato un’intensa strategia di acquisizioni: Keyhole, 2002, poi diventata Google Maps e Google Earth; Youtube, 2006; Motorola nel 2001; Kiva, robot, 2012. Si sono comportati analogamente Facebook, Microsoft.

Velocità, innovazione, cultura totalizzante, attenzione estrema ai processi, network effects sono i meccanismi propulsivi che hanno consentito ad Amazon di acquisire una posizione dominante a livello globale, esaminata e discussa da importanti studi[5].

Il potere di mercato viene esercitato in vari modi, tra i quali sembra importante assegnare la manovra imperniata sul lock-in del cliente: una volta acquistati, gli e-Book non possono essere portati fuori dalla piattaforma, ma soprattutto i clienti sono fidelizzati ad essa sul piano razionale ed emotivo, in modo che, grazie alla profilazione degli acquisti diversificati, Amazon può vendere per così dire pro-attivamente offrendo ciò che ritiene più remunerativo. In breve, può influenzate le propensioni all’acquisto andando incontro alle esigenze latenti oppure innescate, garantendo un’estrema efficienza logistica. Essa diviene così una sorta di “sistema nervoso” collettivo, che organizza i segnali e le informazioni trasmesse continuamente dalla mente degli utenti, generando feedback anticipatori, che colpiscono aree “sensibili” delle stesse menti a livello individuale e collettivo. In sostanza, quindi, Amazon agisce come una specie di “mind augmented reading”, che indicizza/influenza gusti-preferenze-propensioni e organizza i flussi degli oggetti rispondenti a desideri consci e inconsci.

Dall’analisi degli elementi costitutivi delle piattaforme e dei modelli operativi di Amazon e Google si può evincere una oggettiva complementarità di funzioni: Google “legge le menti”, le asseconda e le influenza; Amazon è la macchina algoritmica che consente una “lettura aumentata”, in quanto razionalizza i flussi materiali e informativi, con cui la mente umana si alimenta e sviluppa feedback cumulativi. Nel complesso le piattaforme globali fluidificano lo spazio generativo del Web e, grazie alla potenza computazionale di cui dispongono, sono in grado di orientare le direttrici di evoluzione economica e sociale.

È a questo punto innegabile l’esistenza di una profonda asimmetria tecno-economica tra le hyperstructures (Baas N.A., 2009, Hyperstructures, Topology and Datasets, Axiomathes, 19: 281-295), che organizzano la trama (fabric) della rete, e gli altri soggetti individuali e collettivi, che agiscono nell’ambito di questa trama virtuale, la quale a sua volta interagisce con tutti i processi fisici del Pianeta.

Appare fondato porsi anche un interrogativo: cos’è che non va in “macchine quasi perfette”, che soddisfano esigenze, aspettative, propensioni? Cerchiamo di rispondere, mettendo in luce il downside dei Techno-Giants del Web.

I Giganti del Web. La divisione del lavoro tra smart creatives e lavoratori invisibili

È importante rilevare, però, un altro aspetto: la “lettura delle menti” e la razionalizzazione dei flussi interattivi (fisici e immateriali) non potrebbero realizzarsi senza un background scarsamente visibile, ma fondamentale.

Mary L. Gray e S. Suri (Ghost Work: How to Stop Silicon Valley from Building a New Global Underclass, 2019, Houghton Mifflin Harcourt), hanno analizzato la “Ghost Economy”, costituita dai ghost workers, la massa di lavoratori invisibili, che non appaiono sotto la luce dei riflettori delle grandi piattaforme (Amazon, Google, Facebook Microsoft), ma nondimeno svolgono operazioni senza le quali le stesse piattaforme non potrebbero ottenere le incredibili performance degli ultimi anni: segnalazione e classificazione dei contenuti, correzione di bozze, progettazione di componenti ingegneristiche e moduli di software, addetti di magazzini automatizzati e centri di distribuzione. Come avviene in genere anche per le imprese che sviluppano sistemi di Intelligenza Artificiale, l’addestramento delle reti neurali e l’etichettatura dei dati (data labeling) sono affidati a società sparse per il mondo, dove il lavoro costa meno e le persone possono essere raggruppate in spazi larghi, davanti a schermi di pc con cui “armeggiare” sui dati.

“Siamo i lavoratori delle costruzioni nel mondo dei dati”, è la frase emblematica di un cinese fondatore di una società di data labeling, riportata da Gahnitz M. (The invisible workers of the AI era, Towards Data Science 12-12-2018). Un processo analogo si sviluppa mediante la scomposizione di task in unità eseguite da piattaforme di crowdsourcing in varie parti del mondo per la cura dei dati, il controllo di parti ripetitive di processi, l’esecuzione di compiti particolari (Mechanical Turk di Amazon)[6], e così via. Le motivazioni che spingono persone a lavorare nella Ghost Economy (8% della popolazione americana è stata coinvolta almeno una volta) sono molteplici: necessità di integrare un salario insufficiente, esigenze di madri giovani, desiderio di lavorare da parte di neolaureati che non sono ancora riusciti ad accedere ad un adeguato livello del mercato del lavoro, minoranze marginalizzate, persone desiderose di avere un’occupazione flessibile. I lavori invisibili sono accomunati da una retribuzione bassa, dall’assenza o scarsità di protezioni e di diritti, incertezza sostanziale rispetto al futuro. Siamo in sostanza di fronte ad una specie di “supply chain” dei dati globale, che richiede colletti blu con bassi livelli retributivi e di conoscenze.

Dietro l’esaltazione delle società di ingegneria del software, delle brillanti performance degli agenti artificiali di Machine Learning[7], vi è, pertanto, una massa -estremamente distribuita sul territorio terrestre- di persone che controllano e classificano i dati, addestrano le reti, svolgono lavori usuranti, diremmo in Italia, nei magazzini Amazon (“Secrets of Amazon Warehouse Employees.” Mental Floss), compilazione di survey, traduzioni e didascalie, qualsiasi tipo di trascrizione, ricerche Web e verifiche di indirizzi, test presso utenti per la progettazione (intervista di Chen a May L. Gray, How Silicon Valley’s successes are fueled by an underclass of ‘ghost workers, The Verge, 13-5-2019)[8].

Nel caso di Facebook, poi, possono verificarsi situazioni di stress concernenti persone impiegate come ghost workers. È quanto accade a Cognizant, società erogatrice di servizi professionali, che svolge per Facebook funzioni di “moderatori di contenuti”, ufficialmente definito “process executive” (newton C., The Trauma Floor. The secret lives of Facebook moderators in America, The Verge, 25-2-2019). I “moderator” di Phoenix (Arizona) sono soggetti a disturbi psichici e comportamentali durante l’addestramento e nel lavoro, perché assistono a scene di violenza verbale e fisica traumatizzanti, mentre i team leader adottano nei loro confronti atteggiamenti a dir poco molto discutibili[9]. Il tutto avviene per una retribuzione annuale di poco meno di 30.000 dollari, mentre la retribuzione media degli occupati diretti di Facebook è di 240.000 dollari. Bisogna poi aggiungere che l’orario di lavoro tende regolarmente ad essere prolungato fino ai limiti di resistenza fisica, per un compenso orario di 15 dollari, 4 più del minimo salariale in Arizona. I lavoratori invisibili svolgono, quindi, in outsourcing funzioni meno creative, ma devono essere molto smart per sostenere carichi di lavoro gravosi.

Il fenomeno in questione è molto consistente anche in quello che è comunemente considerato il motore dell’innovazione globale, la Silicon Valley. Uno studio di C. Brenner e K. Neering (2016, Contract Workforce Assessment, University of California, Santa Cruz) stima che dal 1990 al 2014 il lavoro esterno a contratto nell’industria tecnologica sia aumentato del 58%, quello con occupazione diretta del 1% e l’occupazione complessiva sia cresciuta del 18%. In particolare, l’outsourcing dei servizi relativi a ristorazione è aumentato del 246%, i servizi di consulenza tecnica e manageriale del 185%, quelli di security e investigazione del 95%. In sintesi, la forza lavoro invisibile dell’industria tecnologica all’avanguardia internazionale è essenziale come le ruote per l’automobile (metafora impiegata da Gahnitz, 2018) e indica l’esistenza di una profonda asimmetria in termini di competenze, retribuzioni, status sociale, con una divisione tecnica e sociale del lavoro molto netta sul piano dei contenuti tecnico-professionali e delle condizioni di vita più in generale. In definitiva, quindi, esiste una crescente asimmetria di fondo tra il mondo visibile e affascinante dei Techno-Giants del Web e quella dell’invisibile mondo sub-contratto, dove la creatività e le competenze non hanno alcun ruolo, mentre la resistenza fisica e sociale è messa a dura prova in molti Paesi del mondo, data la natura globalizzate delle attività in questione.

La grande divaricazione che si sta consolidando nell’universo informativo globale non è il solo fenomeno preoccupante della dinamica tecno-economica odierna. Occorre infatti riflettere sugli effetti reali e possibili dell’evento pandemico, che ha accelerato due processi già in atto. Il primo è costituito dalla grande espansione, a livello mondiale, di quello che abbiamo chiamato spazio collettivo organizzato intorno alle hyperstructures esistenti. Una riflessione necessaria a questo proposito è il vuoto letterale che esse hanno potuto agevolmente occupare, grazie alla mancata consapevolezza e al ritardo culturale di molti operatori della filiera agro-alimentare e dei servizi essenziali, oltre che del mondo della sanità, in quasi tutti i Paesi, tranne Singapore e Corea del Sud. Interi sistemi sociali molto spesso erano impreparati nell’organizzazione logistica e nei processi di approvvigionamento, vendita e relazione con la clientela. Bisogna inoltre riflettere su un altro problema di fondo: il lockdown ha innescato una forte tendenza a svolgere il “lavoro a casa”, spesso chiamato impropriamente telelavoro, che implica –a differenza del primo- una riorganizzazione dei processi di lavoro, dell’infrastruttura digitale delle imprese e delle competenze.

È poi necessario pensare alla concreta possibilità che tra gli effetti del lockdown vi sia l’emergere di una spinta molto potente verso la robotizzazione, o la tendenza a far svolgere molte attività da agenti artificiali al posto degli umani, cioè la insufficiente diffusione trasversale di nuova cultura computazionale e gli effetti –quantitativi e qualitativi- sul piano dell’occupazione del vasto impiego di ulteriori tecnologie avanzate.

Nel dibattito e nelle polemiche sugli interventi governativi in vista del periodo post-pandemico, non sembrano emergere indizi di consapevolezza strategici in molte e importanti sedi decisionali. È infatti fondamentale essere consapevoli del fatto che azioni di contenimento dei danni, anche se necessarie, svolte sul terreno finanziario senza una chiara proiezione strategica in relazione ai mutamenti strutturali, potrebbero costituire un passo in avanti, ma con il rischio di “essere sull’orolo di un burrone”.

L’asimmetria di fondo: dal “ghost in the machine” (Riley e Koestler) all’odierno organizing minds

Abbiamo cercato di mettere in evidenza strategie e meccanismi che generano asimmetrie tecno-economiche e di potere, le quali caratterizzano l’attuale evoluzione dell’universo informativo globale. Nel trarre delle conclusioni da un’analisi che è solo agli inizi, non si può fare a meno di sottolineare un paradosso distopico dello scenario descritto. In un famoso libro Ryle (The Concept of Mind, 1949, edizione del 60° anniversario, Routledge, 2009), denominava ironicamente “mito cartesiano” del “ghost in the machine” la teoria della separazione tra corpo e mente. La definizione sarcastica è ripresa da A. Koestler (1976, The Ghost in the Machine, Random House) per motivare la sua visione, molto contemporanea, dell’unità dei sistemi viventi e in particolare della concezione olistica degli esseri umani.

Dall’analisi effettuata emerge uno scenario con traiettorie distopiche: sistemi di algoritmi sempre più sofisticati leggono le nostre menti, fanno leva sulla componente subliminale[10], molto maggiore di quella logico-razionale cosciente e variabile da individuo a individuo, oltre che influenzata da fattori sociali e comunitari, per indirizzare -mediante la “lettura aumentata”- le nostre stesse menti verso decisioni che vorremmo prendere o che sarebbero comunque a nostro vantaggio (con “spinte gentili”).

Da Ryle e Koestler che negano la separazione tra mente e corpo stiamo andando in un mondo dove sono tendenzialmente unificati da menti artificiali, create e gestite da umani molto smart.

Per fortuna ci sono umani come Tim Berners-Lee, co-inventore del World Wide Web a beneficio dell’umanità, ma consapevole delle non accettabili direttrici evolutive in pieno dispiegamento. Berner-Lee ha promosso e sostiene il Contract for the Web, dove sono enunciati 9 principi per un uso del Web basato su principi e criteri rispettosi dei diritti umani fondamentali e volto a soddisfare i bisogni dell’umanità, non quelli specifici di entità indefinite.

Sono temi da approfondire per il futuro immediato.


NOTE

  1. E’ del Settembre 2019 l’annuncio del raggiungimento della “quantum supremacy” sulla base di un progetto congiunto Google-NASA..
  2. IL primo era CEO di Google e il secondo advisor del CEO e fondatore delle stessa Google, Larry Page.
  3. La lettura di questo volume di Google e degli altri due su Google è davvero illuminante sui meccanismi interni di funzionamento delle “macchine quasi perfette”. I riferimenti sintetici qui contenuti non rendono conto della ricchezza degli spunti desumibili da essi.
  4. Si rinvia al libro di Angioni (cap. 7, pp. 175-179) per un’ampia disamina degli andamenti di fatturato, quotazioni di borsa e altro ancora. Si vedano anche: Neate R., $10,000 a second? Amazon’s results could be amazing, The Guardian, 20-4-2020. Rushe D. e Sainato M., 30-4-2020, Amazon posts $75bn first-quarter revenues but expects to spend $4bn in Covid-19 costs, The Guardian, 30-4-2020.
  5. Amazon, Microsoft, Google, Facebook hanno in effetti posizioni dominanti, su cui sono già intervenuti ed altre misure sono allo studio sia in Europa che negli USA (si vedano, tra gli altri, Khan L., 2017, Amazon’s Antitrust Paradox, The Yale Law Journal, 126: 710- 805. The New York Times, Amazon’s Antitrust Antagonist has a Breakthrough Idea, 7-9-2018. Fen- F., Liu Q., 2017, Competing with Complementors: An Empirical Look at Aamzon.com, Strategic Management, 28-8-2018.
  6. Amazon Mechanical Turk. “Introducing Updates to the Worker Experience: A Refreshed Dashboard & a New Experience for New Workers,” 2017. Accesso 25-5-2020, https://blog.mturk.com/introducing-updates-to-theworker-experience-a-refreshed-dashboard-a-new-experience-for-new-e9218ee281bd, https://blog.mturk.com/archive/2020.
  7. AI’s Dirty Little Secret: It’s Powered by People.” AP News. Access0 25-5-2020 https://www.apnews.com/1f58465e55d643ea84e51713f35ad214.
  8. There are so many startups and businesses out there, anything that calls itself “business insights” or “intelligence and analytics.” That’s using crowdsourcing or collective intelligence, and that’s relying on ghost work” (intervista di Chen a Mary L. Gray, 2019).
  9. Jane Burnett Mar, and 2017. “Google Employees Exposed to Pornography Sue the Company.” Ladders (blog), March 17, 2017. Accesso 25-5-2020, https://www.theladders.com/p/17307/google-employees-exposedpornography-sue-company.
  10. “Some scientists estimate that we are conscious of only about 5 percent of our cognitive function. The other 95 percent goes on beyond our awareness and exerts a huge influence on our lives— beginning with making our lives possible” (Mlodivnov L:, 2012, Subliminal. How Your Unconscious Mind .Rule Your Behavior, Pantheon Books, 37).

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