esaurimento da social

Il burnout dei creatori: come proteggere la salute mentale dei ragazzi

Fare della produzione di contenuti digitali una forma di monetizzazione può essere inizialmente molto eccitante, soprattutto per i giovanissimi, ma presto ci si accorge di stare lavorando per un datore di lavoro impietoso e che non guarda in faccia nessuno: è l’algoritmo bellezza. Ecco i rischi e possibili vie d’uscita

Pubblicato il 22 Nov 2021

Ivan Ferrero

Psicologo delle nuove tecnologie

social

YouTube, Facebook, Instagram, TikTok e tutti gli altri social hanno comportato un mutamento delle modalità con le quali consumiamo i prodotti digitali, e con esse anche la percezione che abbiamo nei confronti di noi utenti costantemente immersi in un ambiente, quello digitale, che ci chiama ad essere contemporaneamente consumatori e produttori dei contenuti.

Questa opportunità che ci viene data ha un costo: quello del burnout, una criticità che sta colpendo sempre più creatori, siano essi professionisti oppure semplici hobbisti.

“Febbre da like”, è ora di limitare i danni: ecco cosa fanno i social

La cronaca degli ambienti digitali riporta sempre più spesso il fenomeno per cui creator, anche di una certa fama e successo, a un certo punto crollano e interrompono la loro produzione di materiale, con un conseguente danno economico e talvolta con ripercussioni sulla loro salute mentale.

Un problema che in alcuni casi può portare anche alla depressione.

In questo, le giovani generazioni appaiono essere le più coinvolte, probabilmente perché queste, essendo all’inizio del loro ciclo produttivo ed essendo più avvezze al digitale e alle nuove economie da esso generate, hanno maggiori probabilità di sperimentare la creazione di contenuti come opportunità lavorativa e professionale, e di monetizzazione.

Quale tipo di burnout?

Partiamo dal presupposto che non esista una sorta di “burnout standard”, e che invece questo fenomeno possa assumere differenti colori a seconda delle situazioni specifiche.

Secondo le ricerche, infatti, possiamo definire tre macro-tipi di burnout:

  • Overload burnout, ossia quel burnout che sorge a causa di un sovraccarico di informazioni oppure di lavoro, e che quindi può portare ad una sensazione di spossatezza anche fisica, confusione mentale, ridotta capacità di problem solving e della memoria di lavoro
  • Under-challenge burnout, ossia quel burnout che nasce dal non provare più piacere in quanto non ci si sente valorizzati, oppure si avverte una mancanza di opportunità. Questo tipo di burnout porta ad apatia, mancanza di entusiasmo, forte sentimento di noia, ed un distanziamento emotivo dal proprio lavoro, con conseguente cinismo ed evitamento delle responsabilità
  • Neglect burnout, ossia la sensazione di sentirsi inutili oppure inadatti al lavoro che si sta svolgendo, con conseguente demotivazione

Nel nostro caso definire in modo chiaro un singolo tipo di burnout è decisamente difficile, se non impossibile, in quanto le dinamiche stesse della rete coinvolgono differenti aspetti.

Alla radice del problema

Se ti fermi un attimo sei perduto.

È questo il tema ricorrente che appare dai racconti dei ragazzi che, dopo avere trascorso un certo tempo, anche qualche anno, nella corsia di sorpasso, sono stati improvvisamente bloccati da una situazione di burnout.

Fare della produzione di contenuti digitali una forma di monetizzazione può infatti essere inizialmente molto eccitante, ma presto o tardi ci si accorge di stare lavorando per un datore di lavoro (padrone?) impietoso e che non guarda in faccia nessuno: l’algoritmo.

Stiamo quindi parlando di un padrone che agisce esclusivamente in base a fredde regole matematiche, per cui se produci e ottieni un certo riscontro dal tuo pubblico ti premia, se rallenti la tua produzione o comunque inizi ad ottenere minori riscontri riduce la possibilità di monetizzazione, e con essa la possibilità di vivere per mezzo di questa tua attività.

Non esiste quindi alcun essere umano a cui chiedere un aumento oppure un anticipo di stipendio, e nessuna possibilità di chiedere un periodo di ferie oppure di malattia.

Certo il signor algoritmo ti permette di prenderti tutto il tempo che vuoi o che ti serve, ma la conseguenza è, appunto, una penalizzazione che in alcuni casi sarà poi molto difficile da recuperare.

Un sistema che ti mette nelle condizioni di dovere produrre a tutti i costi, e che quindi può a un certo punto esser percepito come eccessivamente disumanizzante.

Un altro aspetto che concorre all’insorgere del burnout dei cui stiamo parlando è che, in questa rincorsa al continuo ranking, sei costantemente messo in paragone a tutti gli altri creators, fossero anche solamente quelli della tua stessa nicchia.

Una gara infinita, tutti contro tutti

Non è quindi solamente una rincorsa all’algoritmo in sé, e quindi a un continuo migliorare sé stessi, ma è anche una continua gara contro gli altri, dove in gioco c’è, di nuovo, la tua possibilità di arrivare a fine mese, o comunque di essere autonomo nel soddisfacimento delle tue esigenze di spesa.

Si tratta tuttavia di una gara infinita, e che quindi produce quella costante sensazione di non essere mai arrivato ad un traguardo, e quindi di non potere mai perdersi per riposare.

Se ti siedi un attimo l’algoritmo ti abbandona, ed è impossibile prenderti una pausa per dedicarti ad altro.

Si potrebbe pensare di fermarsi a metà, in modo da trovare un sano equilibrio tra le “pretese” dell’algoritmo e le nostre necessità, ma purtroppo ciò non appare possibile.

I guadagni per ogni visualizzazione sono così esigui che accumulare abbastanza audience per monetizzare richiede un enorme sforzo e quantità di tempo, di conseguenza questo sistema impedisce di potersi dedicare ad altre attività per compensare.

Inoltre, non sempre la fama ottenuta corrisponde ad un compenso economico adeguato.

Il dilemma dei ragazzi

Questo porta i ragazzi a un dilemma: continuare a provarci, e quindi non guadagnare abbastanza per essere autonomi, oppure dedicarsi anche ad altre attività ma sapendo che in questo modo dovranno dire addio ai loro sogni di gloria?

Rimanere dei famosi poveri o non autonomi nelle loro spese, oppure scendere da questa giostra e accettare la ben più modesta realtà?

La decisione è ardua in quanto le piattaforme presentano costantemente chi “ce l’ha fatta”, all’intento di un algoritmo che nessuno conosce ma che si può solamente ipotizzare.

Il risultato è un continuo provarci, nella speranza che prima o poi arrivi quella “mano fortunata”, quel contenuto che improvvisamente diventa virale e che faccia uscire dalla nebbia.

Inoltre, si cade preda di quella dinamica per cui più spendiamo energie per un progetto e più sarà per noi difficile rinunciarci e abbandonarlo.

Del resto dopo avere versato sangue e lacrime nei costanti tentativi di fare crescere il proprio account, e vivendo la costante promessa che domani andrà meglio, come potresti abbandonare tutto quanto?

Gioventù bruciata, oppure illusa?

Tutta colpa di queste nuove generazioni così vuote e prive di significati?

È questa la domanda che potrebbe sorgere se osserviamo questo fenomeno da un punto di vista più superficiale e ammantato dei soliti stereotipi riguardanti i nostri figli.

In realtà c’è molto di più, e se tutto questo non ci piace oppure ci indigna e vogliamo proprio individuare un colpevole allora non ci basta che guardarci allo specchio, perché i nostri ragazzi stanno semplicemente reagendo ad un mondo e ad una società preparata da noi adulti.

In particolare, per questo nostro discorso, possiamo pensare all’abbaglio delle cosiddette metriche di vanità (vanity metrics), ossia i like e le views, i quali da soli indicano poco o nulla, e men che meno sono utili ad una monetizzazione della propria attività digitale, e quindi alla sostenibilità di quest’ultima.

Abbiamo anche a che fare, come abbiamo già detto, con un algoritmo che in qualche modo genera l’illusione per cui il prossimo contenuto andrà meglio, e che quindi spinge e provarci e riprovarci ancora, appoggiato anche da punti di riferimento “forti” come possono esserlo quei profili che “ce l’hanno fatta”.

A questo aggiungiamo la genesi, quando il nostro ragazzo inizia ad arrivare ad un certo livello, di una sorta di sdoppiamento della propria identità: da una parte l’immagine del creator famoso e invidiato dalla propria nicchia, dall’altra la realtà di una persona che stenta ad arrivare a fine mese.

Un contrasto di identità e di espressioni di sé diametralmente opposti con il pericolo di una frammentazione.

Un altro elemento è l’abbassamento della soglia di età con la quale i nostri ragazzi tendono ad entrare in questo business.

Chiunque oggi può aprire un canale e provarci, e se diamo questa possibilità ad un ragazzo che ha tutto il tempo e le energie (e le aspettative e illusioni) per cimentarsi in questa corsa all’oro, egli sicuramente la coglierà.

Se da una parte questo permette ai nostri ragazzi di sperimentare e di sperimentarsi all’interno della nuova economia nascente e che sarà il loro futuro, dall’altra dobbiamo ricordare che li stiamo esponendo ad un Ambiente che è ancora eccessivamente complicato per loro, perché in questo Mondo siamo tutti imprenditori di noi stessi e senza una guida, per cui i punti di riferimenti ce li dobbiamo costruire noi, cosa per cui la giovane età non è attrezzata.

Come aiutare i nostri ragazzi

Sicuramente vietare e proibire, oppure demonizzare, è deleterio per una serie di ragioni:

  • si rischia di generare una frattura tra noi e loro;
  • non è sbagliato che loro inizino a sperimentare la realtà che li aspetterà da grandi, e che lo facciano proprio ora in un’età in cui possono anche permettersi di sbagliare o di tornare indietro e cambiare;
  • per alcuni di loro potrebbe essere proprio questa la direzione della loro vita

Di conseguenza qui si tratta di non lasciarli soli e di accompagnarli lungo questo percorso, almeno fino a quando non vorranno sperimentare altro oppure saranno abbastanza forti da seguire questa strada:

  • fornire loro una visione chiara del meccanismo in atto, senza demonizzazioni, in modo che acquisiscano consapevolezza delle regole e delle dinamiche di questo particolare ambiente;
  • spiegare come funziona realmente nel mondo del lavoro, per cui conta il fatturato (quindi il tasso di conversione) e non la fama fine a sé stessa
  • Affiancarli nella formazione di una identità solida e che vada oltre ciò che rappresentano online
  • Aiutarli a distinguere tra hobby e lavoro, e quindi tra attività di intrattenimento e attività che monetizzano
  • Lasciarli sperimentare, e allo stesso tempo aiutarli a costruire un piano B, in modo che una eventuale rinuncia non costituisca una caduta libera e senza paracadute
  • Insegnare i nostri ragazzi ad andare oltre l’immagine, a favore della sostanza

Perché il loro futuro è un mondo in cui tutti sono creators e allo stesso tempo consumatori, in cui le antiche certezze riguardo ai vecchi impieghi svaniscono, per lasciare il posto ad una situazione sempre più frammentata e che richiede una sempre maggiore capacità di mettere insieme i pezzi.

La loro giovane età permette di sperimentare tutto questo, ma non possono essere lasciati soli.

Bibliografia e sitografia

Angela Glotfelter, Algorithmic Circulation: How Content Creators Navigate the Effects of Algorithms on Their Work, Computers and Composition, Volume 54, 2019, 102521, ISSN 8755-4615, https://doi.org/10.1016/j.compcom.2019.102521.

Anis Khedhaouria, Alain Cucchi, Technostress creators, personality traits, and job burnout: A fuzzy-set configurational analysis, Journal of Business Research, Volume 101, 2019, Pages 349-361, ISSN 0148-2963, https://doi.org/10.1016/j.jbusres.2019.04.029.

Duffy, B. E. (2020). Algorithmic precarity in cultural work. Communication and the Public, 5(3–4), 103–107. https://doi.org/10.1177/2057047320959855

Duffy, B. E., Pinch, A., Sannon, S., & Sawey, M. (2021). The Nested Precarities of Creative Labor on Social Media. Social Media + Society. https://doi.org/10.1177/20563051211021368

Emily Hund, Lee McGuigan, A Shoppable Life: Performance, Selfhood, and Influence in the Social Media Storefront, Communication, Culture and Critique, Volume 12, Issue 1, March 2019, Pages 18–35, https://doi.org/10.1093/ccc/tcz004

Melody Wilding, 3 Types of Burnout, According to Psychologists (and Signs You’re Headed For Trouble), https://www.inc.com/melody-wilding/3-types-of-burnout-according-to-psychologists-and-signs-youre-headed-for-trouble.html

Montero-Marin J, Prado-Abril J, Piva Demarzo MM, Gascon S, García-Campayo J (2014) Coping with Stress and Types of Burnout: Explanatory Power of Different Coping Strategies. PLoS ONE 9(2): e89090. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0089090

Tan, Zhi Ming and Aggarwal, Nikita and Cowls, Josh and Morley, Jessica and Taddeo, Mariarosaria and Floridi, Luciano, The Ethical Debate about the Gig Economy: A Review and Critical Analysis (August 7, 2020). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3669216 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3669216

Young Creators Are Burning Out and Breaking Down, https://www.nytimes.com/2021/06/08/style/creator-burnout-social-media.html

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