AI e lavoro

Intelligenza artificiale e futuro del lavoro, dobbiamo essere ottimisti: ecco perché

Ai timori legati all’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro deve fare da contraltare la convinzione che questo insieme di tecnologie aprirà mercati completamente nuovi e offrirà prospettive professionali anche a chi oggi è escluso da molte possibilità, fornendo soluzioni a problemi oggi insormontabili. Ecco come

Pubblicato il 05 Apr 2019

Andrea Benedetti

Senior Cloud Architect Data & AI, Microsoft

ai

L’intelligenza artificiale genera molti timori e, tra questi, c’è la paura che il suo incessante sviluppo spazzi via tanti posti di lavoro. E il rischio concreto esiste, nessuno lo nega. Allo stesso modo, però, non si riserva la stessa attenzione ai posti di lavoro che l’IA andrà a creare e che oggi facciamo fatica anche a immaginare. Del resto, dieci anni chi avrebbe immaginato che lo sviluppatore di app o il social media manager sarebbero diventate professioni?

Come per ogni innovazione tecnologica, quindi, è ovvio che lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale vada governato e basato su chiari principi etici e giuridici, ma è altrettanto importante non soffermarsi soltanto sui timori, perché l’IA non sostituirà le persone, ma piuttosto amplierà l’ingegnosità umana e aprirà molte prospettive anche per il miglioramento della nostra qualità della vita.

Per farvi capire dove voglio arrivare, partirò da un aneddoto personale.

Nuove tecnologie e evoluzione del lavoro

Settembre 1986, primo giorno di scuola, prima media.

La professoressa di italiano, quasi a voler iniziare a capire chi avrebbe avuto di fronte per i prossimi tre anni, lanciò il suo personale sondaggio: “E tu, da grande, cosa vuoi fare?”

Le risposte furono le più varie. Tra le altre: “continuare il lavoro del mio papà: stare nel laboratorio a sviluppare diapositive”, “vendere enciclopedie in giro per l’Italia così potrei conoscere tutte le città”, “mi piace l’elettronica: vorrei riparare radio, mangianastri e giradischi”, “fare l’attore di fotoromanzi, uscire in tutte le edicole su una bella rivista”.

Settembre 2018, la scena si ripete praticamente identica alla mia, nella prima media di mio figlio.

Le risposte vengono raccolte, in una sorta di memoria.

Anche qui le indicazioni sulle professioni sono le più diverse e spesso molto fantasiose, ma tre sono quelle che mi colpiscono in particolare: “mi piacerebbe fare il magazziniere, come il mio papà”, “mi sono sempre divertito a fare la spesa con i miei genitori, vorrei farei il cassiere di un grande supermercato”, “vorrei fare il tassista perché vorrei andare in giro con la macchina e guidare”.

C’è un parallelo interessante da fare sulle risposte date da queste due generazioni, a 32 anni di distanza le une dalle altre: tutti i lavori menzionati da entrambi i gruppi di ragazzi non esistono o, tra poco – presumibilmente, non esisteranno più.

Pur non avendo una memoria così abile da permettermi di ricordare cosa i miei compagni di classe dissero, le risposte che ho scritto sono vere soltanto in parte per permettermi, mi perdonerete, di ragionare insieme su una provocazione.

Oggi potersi immaginare nella gestione di un magazzino, oppure alla cassa di un supermercato a scambiare due parole con chi finisce di fare la spesa, o ancora portando a destinazione i passeggeri saliti sull’auto, potrebbe restare un sogno.

Tutte le professioni elencate sopra (e, se ci fermassimo a ragionare, potremmo trovarne molte altre) potrebbero essere lavori che scompariranno nel giro di qualche anno. Proviamo a guardarci intorno, anche oltre confine.

A Seattle sono già tre i supermercati che non hanno casse in cui poter pagare la spesa: quello che si sceglie e si prende dagli scaffali viene monitorato da sensori e telecamere in grado di collegare ogni singolo cliente ai prodotti che mette nel carrello e, all’uscita, è l’intelligenza artificiale a presentare il conto via app.

I magazzini automatizzati non sono più una novità: la gestione è totalmente demandata a robot dotati (anche in questo caso) di intelligenza artificiale in grado di ottimizzare gli spazi e movimentare le merci in maniera più veloce di quanto potremmo fare noi umani. Probabilmente anche una delle farmacie nelle quali vi recate saltuariamente ha già un magazzino di questo tipo, senza che voi lo sappiate.

I progressi che stanno facendo le auto a guida autonoma (intelligente, anche qui) sono sotto gli occhi di tutti e credo non sia fantascienza immaginarsi, tra qualche anno, di arrivare in una città e salire su un’auto senza conducente per farsi portare a destinazione.

Se andiamo indietro negli anni, possiamo trovare – in ogni epoca – moltissimi esempi di professioni che sono sparite e non esistono più: sistematori di birilli nei bowling, letturisti dei consumi delle utenze, lampionari per accendere le luci nelle strade, addetti alla consegna del latte, tagliatori di ghiaccio (questi, a dire la verità, in alcune zone del pianeta esistono ancora, mentre le “giassare”, le costruzioni adibite alla conservazione del ghiaccio del nord italia, o i “nivieri” come venivano chiamate le fosse sulle montagne al sud, non ci sono più).

A Brescia, città dove vivo, è attiva dal 2 marzo 2013 una metropolitana caratterizzata da treni senza conducente. L’emozione dei bambini nel sedersi in prima fila, come fossero loro i guidatori, è scontata.

Intelligenza artificiale e nuove prospettive professionali

L’intelligenza artificiale creerà lavoro anche aprendo mercati completamente nuovi e soprattutto sarà una forza integrante, capace di offrire nuove prospettive professionali anche a chi oggi è escluso da molte possibilità, come i portatori di handicap, dando le stesse opportunità di carriera a chi, per esempio, ha disabilità nell’ascolto o nella vista.

I numeri sono a supporto di questi ragionamenti. Come disse Alessio Botta, partner McKinsey, a La Stampa del 12 settembre scorso: “L’Italia potrebbe sfruttare l’intelligenza artificiale per alimentare una crescita del PIL dell’1% annuo. È una opportunità unica. Imperdibile”

I risultati del report “The Future of Jobs 2018” del World Economic Forum (WEF), riporta come l’intelligenza artificiale potrebbe creare qualcosa come 58 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi anni.

Le aziende manifatturiere – che sono la spina dorsale del sistema produttivo italiano – sono tra le più interessate a ottimizzare i propri processi di produzione usando tecnologie di IA in grado di gestire la mole dei dati proprietari per trasformarli in vero e proprio valore.

Come ricordato da Satya Nadella durante la conferenza per sviluppatori Build, svolta a maggio 2018: “Abbiamo la responsabilità di assicurare che le tecnologie rafforzino tutti, utenti e aziende, e che creino lavoro”.

IA e robot al servizio delle persone

L’intelligenza artificiale e i robot devono essere al servizio delle persone per migliorare la loro qualità di vita, questo è il principale obiettivo.

Un esempio? Le app che già oggi consentono, tramite smartphone, di utilizzare la fotocamera per avere un’analisi in tempo reale di quanto è intorno e descrivere così ciò che osserva a chi ha problemi di vista.

Oppure, come ho fatto la settimana scorsa, il poter fare una telefonata (parlando e ascoltando in italiano) con un collega cinese (che parlava e ascoltava in cinese) sfruttando meccanismi di traduzione in tempo reale permettendoci di abbattere, di fatto, le nostre barriere linguistiche.

Sicuramente è un bene (continuare a) parlare di Intelligenza Artificiale e di tutti i temi correlati, forse per un semplice motivo: questa tecnologia (per semplificare – sarebbe meglio dire: questo insieme di tecnologie) non sostituirà le persone, ma piuttosto permetterà di ampliare la (nostra) ingegnosità. Proprio come qualsiasi altra tecnologia, ha l’obiettivo di permetterci di ottenere di più e di migliorare quello che facciamo ogni giorno.

Lavori che vanno e lavori che vengono

Secondo un altro studio del World Economic Forum, il 65 per cento dei ragazzi che oggi frequentano la scuola farà mestieri che non sono stati ancora inventati. Certamente potremmo provare a fare uno sforzo di immaginazione per pensarli, ma la realtà finirebbe sempre per battere la nostra fantasia.

Purtroppo, per nostra natura, è spesso più facile avere paura dei lavori che non avremo più, invece di ragionare e immaginarsi che cosa verrà creato, che ancora non conosciamo.

Mi verrebbe da chiedere chi, solo dieci anni fa, avrebbe potuto scommettere il suo futuro come: sviluppatore di app, professionista dei social media, pilota di droni, youtuber, esperto di stampa 3D, consulente di domotica e internet delle cose, architetto digitale per contenuti di realtà virtuale / mista / aumentata, data scientist.

Potremmo continuare a individuare professioni che pochi anni fa non esistevano per allungare questa lista.

Per il 2020 si stima che l’Italia avrà bisogno di più di 100.000 nuove posizioni con profilo tecnico mentre metà della forza lavoro esistente dovrà sviluppare o migliorare le proprie competenze digitali.

IA e formazione per accelerare la trasformazione digitale

Proprio per questi motivi sono diversi i progetti con i quali si vuole accelerare la trasformazione digitale nel nostro Paese, facendo leva proprio sull’intelligenza artificiale e sulla formazione avanzata: Ambizione Italia nasce proprio per dare un contributo concreto alle nuove e vecchie professioni e ai lavori del futuro che dovranno restare al passo con l’innovazione tecnologica.

Credo che, invece di temere la perdita di posti di lavoro, si dovrebbe essere ottimisti per il fatto di essere di fronte a una rivoluzione che proprio grazie all’intelligenza artificiale sta iniziando a vedere soluzioni a problemi che sembravano insormontabili.

Alla fine, abbiamo bisogno di queste nuove tecnologie e farle nostre – da un punto di vista di comprensione, sviluppo, implementazione – diventa strategico per sfruttarne il potenziale, per evitare il rischio di basare le future politiche di adeguamento e trasformazione tecnologica sulla fantasia o sulla paura, per ripensare settori o mercati (penso all’agricoltura, alle diagnosi cliniche, alla security e cyber security, …).

E comunque, pensandoci bene, mi chiedo: quando si arriverà ad avere una “guida turistica spaziale”?

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