smartworking

Lavoro agile: ecco come può diventare leva d’innovazione per la PA

Il lavoro agile può essere una modalità organizzativa che agisce come volano per l’innovazione delle PA, ma deve attivarsi con una procedura che miri ad una revisione dei processi all’interno delle amministrazioni con l’obiettivo principale di aumentare la competitività

Pubblicato il 21 Ott 2021

Antonio Naddeo

Presidente Aran

lavoro agile

Con il Dpcm del 24 settembre 2021 si è posto fine, a decorrere dal 15 ottobre 2021, al cosiddetto lavoro agile emergenziale nella Pubblica Amministrazione. Sull’adozione di questo provvedimento ed in particolare sul lavoro agile nella P.A. è nato un acceso dibattito che sembra focalizzarsi sulle percezioni soggettive e sulle opzioni ideologiche o culturali di ciascun osservatore.

Evitando di cadere da una parte o dall’altra degli schieramenti, pro e contro lo smartworking, è necessario fare alcune considerazioni sul tema del lavoro agile nella PA, partendo da una breve cronologia normativa.

PA, dopo lo smartworking bisogna cambiare i processi amministrativi

Lavoro agile nella PA: una breve cronologia normativa

Il lavoro agile nel pubblico impiego è stato inizialmente introdotto quale misura per la “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche” dall’articolo 14, della legge n. 124 del 2015 (c.d. legge Madia) e prevedeva «la sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa», individuando un obiettivo di diffusione tra il personale di ogni singola amministrazione del 10 %. Queste nuove modalità di lavoro dovevano, stante la presenza nella stessa disposizione di un esplicito riferimento, intendersi come diverse e ulteriori rispetto al telelavoro.

Già dalla rubrica si coglieva come la conciliazione vita-lavoro fosse il bene giuridico tutelato in misura preponderante pur lasciando un margine, tra i sistemi di monitoraggio interni, ad indicatori per la verifica dell’impatto sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati.

Successivamente con la legge n. 81/2017 si è data una disciplina di riferimento al lavoro agile, integrando, peraltro, l’originaria finalità di conciliazione vita-lavoro, bilanciata dalla previsione di sistemi di verifica del buon andamento dell’azione amministrativa e della qualità dei servizi, con quella della produttività.

L’accelerazione legata alla pandemia

L’emergenza pandemica è intervenuta a gamba tesa sui processi di graduale adozione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni e, stante l’esigenza di garantire il distanziamento fisico quale misura di tutela contro il contagio da coronavirus, tale modalità di lavoro ha avuto una improvvisa e forzata diffusione. A tal fine il legislatore è intervenuto per sopprimere il riferimento all’attuazione sperimentale del lavoro agile previsto dall’art. 14 della legge n. 124/2015 e trasformare il lavoro agile dall’essere una delle modalità possibili e da incentivare all’interno della pubblica amministrazione ad essere «modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa», in virtù dell’art. 87, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n 27, che al contempo prevedeva la sospensione dell’obbligo di stipulazione dell’accordo individuale (sulla falsariga di quanto previsto per il lavoro agile nel settore privato) e degli obblighi informativi previsti dalla disciplina di cui alla legge n. 81/2017. In quella fase, a risultare eccezionale era, infatti, la presenza in sede del personale, che poteva essere disposta soltanto in ragione di attività indifferibili che determinassero l’esigenza della presenza fisica del lavoratore.

Successivamente al termine del lockdown e del venir meno della stessa previsione di eccezionalità della prestazione in presenza – il legislatore apporta una modifica alla disposizione prevedendo che il lavoro agile non sia più “la” modalità ordinaria di svolgimento della prestazione, bensì una delle modalità ordinarie (decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con legge 13 ottobre 2020, n. 126).

Accanto a questi interventi e agli ulteriori che di volta in volta hanno introdotto soglie provvisorie di lavoro da remoto, il legislatore ha anche apportato delle modifiche alla disciplina ordinaria relativa alla adozione del lavoro agile nella pubblica amministrazione, ossia all’art. 14 della legge n. 124/2015. Lo ha fatto prevedendo un sistema di pianificazione su base annuale (POLA: Piano organizzativo del lavoro agile), fissando una misura minima di attuazione per i dipendenti. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11-bis del decreto-legge 22 aprile 2021 n. 52, convertito con legge 17 giugno 2021, n. 87, la percentuale minima è fissata nel 15% dei dipendenti che possono avvalersene, sia che il POLA venga effettivamente adottato sia che si proceda in mancanza della predisposizione di un POLA.

Una sperimentazione di massa senza organizzazione

Questa breve ricognizione normativa sul lavoro agile ci porta immediatamente ad alcune considerazioni.

Prima dell’emergenza sanitaria avevamo livelli di smartworking nella pubblica amministrazione molto bassi, inferiori al 10% del personale impiegato, destinato essenzialmente alla conciliazione vita lavoro. L’avvento della pandemia ha portato ad uno smartworking obbligato, senza norme, senza direttive, senza contratto di lavoro ed ha interessato una vasta area di amministrazioni e dipendenti pubblici. Ma come è evidente ci siamo trovati davanti ad una sperimentazione di massa senza un minimo di organizzazione, predisposizione di strumenti informatici, piattaforme tecnologiche, cloud ecc.

Quindi abbiamo avuto uno smartworking (in pratica un lavoro a domicilio) necessariamente e opportunamente adattato ad una essenziale finalità di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

I recenti provvedimenti del Governo

Occorre ora, al termine della fase emergenziale, ricondurre la modalità di lavoro agile alle sue originarie finalità di ripensamento dei modelli organizzativi del lavoro in termini di maggiore produttività e di maggiore rispondenza alle esigenze dei singoli lavoratori con particolare riferimento al nodo della conciliazione vita lavoro.

In questo contesto si inseriscono i recenti provvedimenti emanati dal Governo: dal 15 ottobre la presenza in servizio torna ad essere la modalità ordinaria della prestazione con obbligo per i lavoratori di avere e il Green pass. Molti commentatori sulla base di questi provvedimenti hanno decretato la fine dello smartworking e gridato ad un ritorno al passato (addirittura al “medioevo”). Ma in realtà leggendo il DM dell’8 ottobre, in corso di pubblicazione, non sembra sia così. Infatti il decreto stabilisce che “Nelle more della definizione degli istituti del rapporto di lavoro connessi al lavoro agile da parte della contrattazione collettiva della definizione delle modalità e degli obiettivi del lavoro agile da definirsi nell’ambito del nell’ambito del piano integrato di attività e organizzazione (PIAO), e tenuto conto che a decorrere dalla data del 15 ottobre il lavoro agile non è una modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, l’accesso a tale modalità, ove consentito legislazione vigente potrà essere autorizzata esclusivamente nel rispetto delle seguenti condizionalità:

  • Lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile non deve in alcun modo pregiudicare o ridurre la fruizione dei servizi a favore degli utenti;
  • l’amministrazione deve garantire un’adeguata rotazione del personale che può prestare lavoro in modalità agile, dovendo essere prevalente, per ciascun lavoratore l’esecuzione della prestazione in presenza;
  • l’amministrazione mette in atto ogni adempimento al fine di dotarsi di una piattaforma digitale o di un cloud o comunque gli strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore con lo svolgimento della prestazione in modalità agile;
  • l’amministrazione deve aver previsto un piano di smaltimento del lavoro arretrato, ove sia stato accumulato;
  • l’amministrazione inoltre mette in atto ogni adempimento al fine di fornire al personale dipendente apparati digitali e tecnologici adeguati alla prestazione di lavoro richiesto;
  • l’accordo individuale di cui all’articolo 18, comma uno, della legge 22 maggio 2017, numero 81, deve definire, almeno:
    • gli specifici obiettivi della prestazione resa in modalità agile;
    • le modalità e i tempi di esecuzione della prestazione e della disconnessione del lavoratore degli apparati di lavoro, nonché eventuali fasce di contattabilità;
    • le modalità e criteri di misurazione delle prestazioni medesima, anche ai fini del proseguimento della modalità della prestazione lavorativa in modalità agile;
  • le amministrazioni assicurano il prevalente svolgimento in presenza della prestazione lavorativa di soggetti titolari di funzioni di coordinamento e controllo, dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi;
  • le amministrazioni prevedono, ove le misure di carattere sanitario lo richiedono, la rotazione del personale impiegato in presenza”.

Smartworking nella PA: meno controllo più responsabilizzazione

Pertanto, nessuna pietra tombale sul lavoro agile, ma un ritorno a quelle che sono le condizioni essenziali già previste dalla legislazione ordinaria per attivare il lavoro agile nelle PA.

Lo smartworking, però, non va affrontato come una disposizione normativa da applicare, un mero adempimento (come lo è stato ad esempio durante il lockdown), ma deve essere concepito come una forma avanzata dell’organizzazione del lavoro, che si basa sullo scambio tra maggiore autonomia e flessibilità ai dipendenti e una maggiore responsabilizzazione dei risultati.

Vuol dire disegnare una struttura (tutta) orientata ai risultati, basata su fiducia, responsabilizzazione e flessibilità. Oggi la gestione della pubblica amministrazione è ancora improntata sul controllo e poco sulla responsabilizzazione del lavoratore. Quindi l’approccio con cui si dovrà affrontare la nuova fase, sarà quella di un profondo cambiamento culturale dell’intero management. Ovviamente non solo la dirigenza, ma anche la politica che in un certo senso è l’azionista di maggioranza.

Le caratteristiche di una organizzazine orientata allo smartworking

La dirigenza, elemento strategico, deve assumere quella cultura d’impresa per rendere tutta l’attività più efficiente, volta al risultato (vero, sfidante) e non al mero adempimento amministrativo. Si deve liberare di quella che molti definiscono la burocrazia difensiva. Il dirigente deve avere la capacità di gestire le risorse umane e risorse finanziarie prendendo decisioni rapide, finalizzate a soddisfare l’interesse dei cittadini e delle imprese. Deve avere la capacità di riconoscere fiducia ai lavoratori e renderli autonomi nello svolgimento delle loro mansioni lavorative.

Questi sono gli elementi soggettivi, poi si deve porre l’attenzione sull’organizzazione. Non si può pensare di introdurre lo smartworking nelle Amministrazioni pubbliche con organizzazioni pensate per il lavoro in presenza. Ecco questo è un problema rilevante. Molte riforme sono franate di fronte ad una organizzazione vecchia, poco incline all’innovazione. Si pensa alla norma, alla regola, all’adempimento, e non si lavora sull’organizzazione. Il lavoro agile può essere una modalità organizzativa del lavoro che agisce come volano per l’innovazione delle PA, ma deve attivarsi con una procedura che miri ad una revisione dei processi all’interno delle amministrazioni con l’obiettivo principale di aumentare la competitività delle stesse. Il lavoro agile non è un diritto del lavoratore, ma uno degli strumenti organizzativi dell’amministrazione.

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