l'approfondimento

Lavoro agile, le norme da conoscere: come si attua, le tutele, diritti e doveri del lavoratore

Cos’è il lavoro agile, come viene introdotto nel rapporto di lavoro, quali sono i diritti e i doveri dei lavoratori, le tutele, il rispetto della privacy, le misure legate all’emergenza covid-19. Tutto quello che c’è da sapere

Pubblicato il 18 Mar 2020

Victoria Parise

Avvocato giuslavorista in Firenze, DPO e Consigliere ASSODATA, Partner dello studio The Legal Match

Mario Petrocelli

Avvocato in Lucca, esperto in Diritto del Lavoro e Diritto d’Impresa

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Nel corso dell’emergenza dettata dal coronavirus, il lavoro agile è stato ripetutamente preso in considerazione dal Governo come “strumento” di gestione dei rapporti di lavoro subordinato e di mantenimento dell’operatività aziendale.

In particolare, il DPCM 11.3.2020, al fine di prevenire possibili contagi in azienda e di limitare la mobilità delle persone, “raccomanda” alle imprese il “massimo utilizzo” del lavoro agile per tutte quelle attività che possono tecnicamente essere svolte fuori dai locali aziendali.

Per le medesime finalità, il DPCM 8.3.2020 prevede poi che per tutta la durata dello stato di emergenza disposto dal Consiglio del Ministri il 31.1.2020 (e cioè fino al 31.7.2020) il lavoro agile possa essere applicato dai datori di lavoro anche in assenza degli accordi individuali”, con “obblighi di informativa” in materia di salute e sicurezza sul lavoro assolti “in via telematica” anche attraverso l’apposita documentazione predisposta sul sito dell’INAIL.

Forniamo di seguito un approfondimento su che cos’è il lavoro agile, come viene introdotto nel rapporto di lavoro, quali sono i diritti e i doveri dei lavoratori, le tutele, il rispetto della privacy, le misure legate all’emergenza covid-19.

Cos’è il lavoro agile

Dopo una ricca esperienza basata su accordi collettivi (specie aziendali) il lavoro agile è stato ufficialmente introdotto nel nostro ordinamento dagli artt. 18 e ss. L. 81/2017, come adeguamento e risposta a due fenomeni sociali:

  • da un lato, la trasformazione del modo di produrre delle imprese legata al massivo impiego di strumenti informatici e, in particolare, di digital device di ultima generazione;
  • dall’altro, il radicarsi della convinzione che il lavoro svolto in un contesto di benessere psico-fisico incrementi i livelli di produttività, conciliando la vita professionale e la vita privata dei lavoratori e portando a positive ricadute sull’ambiente (riduzione del traffico nelle città e degli spostamenti, ecc…).

Come chiarito dallo stesso legislatore, il lavoro agile non è una particolare tipologia di rapporto giuridico, ma solo una possibile modalità di esecuzione di un “normale” rapporto di lavoro subordinato tra le parti.

In particolare attraverso il lavoro agile una porzione temporale della prestazione lavorativa continua ad essere svolta, come di norma, all’interno dei locali aziendali, mentre un’altra porzione viene svolta al di fuori di tali locali, senza precisi vincoli di orario o di luogo e attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici (utilizzo che la legge inspiegabilmente definisce come soltanto “possibile”, ma che in realtà pare una modalità “obbligata” di resa della prestazione al di fuori dell’azienda: anzi, si può dire che l’utilizzo di strumenti digitali “portatili” e connessi distingue il lavoro agile da altre figure contigue, quali il lavoro a domicilio e dal telelavoro).

L’introduzione della suddetta modalità di lavoro è compatibile sia con il lavoro a tempo indeterminato che con quello a tempo determinato, sia con articolazione full-time che part-time. Sussistono invece alcune incertezze per quanto riguarda la sua compatibilità con alcune tipologie “speciali” di lavoro subordinato: mentre la soluzione è ragionevolmente positiva per la somministrazione di lavoro e il lavoro intermittente, maggiori perplessità si hanno con l’apprendistato (per il quale il lavoro agile è forse teoricamente possibile, ma non facilmente attuabile per quanto riguarda l’adempimento degli obblighi formativi).

L’introduzione della modalità agile nel rapporto di lavoro

Secondo la disciplina “ordinaria” la modalità di lavoro agile viene introdotta nel rapporto di lavoro attraverso un accordo volontario tra datore di lavoro e lavoratore (da fare per scritto a fini di prova e regolarità amministrativa), stipulabile all’inizio del rapporto o nel corso dello stesso, con il quale viene stabilito che una determinata parte della prestazione lavorativa abbia esecuzione (o possa avere esecuzione) fuori dall’azienda. La materia può ovviamente essere regolata anche dalla contrattazione collettiva (anche aziendale) che stabilisca i criteri di applicazione dell’istituto in azienda ai quali i datori di lavoro aderenti sono tenuti ad attenersi.

Ai sensi degli artt. 18 e ss. L. 81/2017 l’accordo per lavoro agile deve individuare:

  • la porzione della prestazione eseguibile o da eseguire fuori dall’azienda;
  • la sua collocazione temporale (nella settimana, nel mese, ecc…) o i criteri per determinare tale collocazione (mediante coordinamento con i superiori gerarchici, a scelta del lavoratore, mediante programmazione per reparti o funzioni, ecc…);
  • gli eventuali criteri di individuazione dei luoghi extra aziendali di esecuzione della prestazione (in positivo, per tipologie, oppure in negativo, per divieti, questi ultimi quanto mai opportuni al fine di rendere possibile l’effettiva tutela datoriale della salute e sicurezza del lavoratore e l’indennizzabilità da parte dell’INAIL di eventuali infortuni);
  • l’eventuale organizzazione della prestazione per “fasi, cicli e obiettivi” di lavoro;
  • le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro per quanto riguarda le attività svolte fuori dall’azienda;
  • le modalità di controllo datoriale sullo svolgimento del lavoro fuori dall’azienda, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 4 L. 300/1970 e dalla normativa in materia di tutela dei dati personali;
  • l’individuazione delle condotte, connesse all’esecuzione della prestazione fuori dai locali aziendali, che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
  • l’indicazione dei tempi di riposo del lavoratore e delle modalità tecniche ed organizzative per assicurare la sua “disconnessione” dagli strumenti di lavoro durante i riposi; l’accurata determinazione di tali elementi è molto importante, in quanto è essenziale che il datore di lavoro possa dimostrare di aver attuato strumenti e politiche idonee a scongiurare, secondo le “best pratice” applicabili, il rischio di “burn-out” lavorativo del dipendente;
  • la disciplina di utilizzo degli strumenti informatici per rendere la prestazione fuori dall’azienda;
  • l’eventuale durata di applicazione dello strumento; in mancanza, esso deve intendersi convenuto a tempo indeterminato, con facoltà di ciascuna delle parti di recedere dal patto (tornando alla modalità “tradizionale” di svolgimento della prestazione per intero in azienda) con preavviso di almeno 30 giorni (nel caso di lavoratori disabili il recesso dal patto del datore di lavoro deve avvenire con un preavviso di almeno 90 giorni). In presenza di un “giustificato motivo” (che le parti possono “tipizzare” nell’accordo) è consentito alle parti recedere in anticipo dal patto di lavoro agile a tempo determinato e recedere senza preavviso dal patto di lavoro agile a tempo indeterminato.

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Diritti e obblighi del lavoratore in modalità agile

Il lavoratore che opera in modalità agile ha diritto a un trattamento normativo ed economico non inferiore a quello praticato, sulla base dei contratti collettivi applicabili, ai colleghi che svolgono le medesime mansioni solo all’interno dell’azienda; sono tuttavia ovviamente esclusi, in relazione alle prestazioni rese in modalità agile, quegli istituti che presuppongono l’osservanza di un orario normale o comunque alcune situazioni connesse alle modalità “classiche” di resa della prestazione (es. compenso per lavoro straordinario, indennità di mensa, buoni pasto, indennità di trasferta).

Come detto, elemento naturale del lavoro agile è la possibilità per il lavoratore di autogestire e distribuire anche in modo irregolare la propria prestazione nell’ambito delle giornate lavorative “agili”, senza un ben preciso orario; ciò non esclude tuttavia che il lavoratore debba rispettare (e il datore di lavoro debba far rispettare, attraverso apposite misure di verifica) i limiti massimi di orario giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dai contratti collettivi.

Il datore di lavoro deve poi tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore anche in relazione alle prestazioni rese in modalità agile, fornendo con cadenza annuale al lavoratore e al RLS un’informativa scritta sui rischi generali ed i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione della prestazione; è tuttavia espressamente richiamata anche a livello normativo (art. 22 c. 2 L. 81/2017) la necessità di una pregnante “collaborazione” e autoresponsabilizzazione del lavoratore per quanto riguarda i rischi connessi all’ambiente domestico e ad altre situazioni sulle quali il datore non è in grado di esercitare la benché minima “signoria”.

Gli adempimenti amministrativi

L’attivazione del lavoro agile deve di regola essere preceduta da una comunicazione amministrativa da effettuare tramite l’utilizzo di un’apposita sezione del portale del Ministero del Lavoro “ClickLavoro” accessibile previa registrazione dell’utente; analogamente, devono essere trasmesse in via telematica le eventuali modifiche e cessazioni dell’efficacia del patto di lavoro agile.

Il diritto di precedenza per determinate categorie di lavoratori

La legge stabilisce in via generale che una volta che il datore di lavoro abbia deciso di offrire ai suoi dipendenti la possibilità di effettuare prestazioni di lavoro agile, nel caso di pluralità di richieste deve essere data priorità a due categorie di prestatori, e cioè le madri nei tre anni successivi alla fine del congedo per maternità ex art. 16 D.Lgs. 151/2001 e i genitori con figli in condizioni di disabilità grave ai sensi della L. 104/1992.

La tutela contro gli infortuni sul lavoro

Durante le prestazioni di lavoro agile i lavoratori beneficiano dell’assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro, che copre anche i cosiddetti infortuni in itinere (e cioè nel tragitto tra l’abitazione e l’eventuale diverso luogo prescelto e consentito per l’esecuzione della prestazione). Ovviamente, al fine di consentire il riscontro dell’indennizzabilità dell’evento da parte dell’Istituto ai sensi delle norma vigenti, è quanto mai opportuno che l’accordo di lavoro agile specifichi il luogo o i luoghi di possibile esecuzione della prestazione, in modo compatibile con la tutela della salute e della sicurezza del prestatore.

Il lavoro agile e il diritto alla riservatezza (privacy) dei lavoratori

Il lavoratore che rende la prestazione lavorativa in modalità agile tramite strumentazione informatica messa a disposizione dal datore di lavoro – personal computer, tablet, pc, smartphone, etc. – deve essere reso edotto circa le modalità di impiego degli stessi[1] e le possibili modalità di controllo datoriale poste in essere (verifica presenza, controllo email, etc.).

La normativa in materia di controlli a distanza, art. 4 L. 300/1970, si applica a qualsiasi strumento dal quale possa derivare un controllo a distanza sui lavoratori, compresi quelli “smart”, e prevede a tal proposito – ultimo comma art. 4 St. Lav. – che il lavoratore riceva un’informativa idonea e trasparente relativa ai possibili controlli. Pena per le mancate informazioni: le sanzioni in materia di privacy e l’inutilizzabilità delle informazioni apprese da parte del datore di lavoro. Per quanto qui interessa il legislatore ha previsto che: “le informazioni raccolte ai sensi dei comi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti ed effettuazione dei controlli e nel rispetto del D.Lgs. 196/2003”, ossia della normativa in materia di privacy.

L’obbligo di informativa non è ridotto alle semplici istruzioni sull’utilizzo dei dispositivi e i controlli che ai sensi dell’art 4 L. 300/1970 il datore di lavoro potrà svolgere a distanza, bensì, in ragione del richiamo alla normativa in materia di riservatezza dei dati personali il datore di lavoro deve provvedere a rendere una informativa completa ai sensi dell’art 13 del GDPR, esaustiva di tutti i trattamenti di dati del lavoratore.

La normativa in tema di privacy, nell’ambito dei rapporti di lavoro, non si ferma qui, sono infatti tutt’oggi applicabili i provvedimenti e codici deontologici del Garante, nonché le prescrizioni per la corretta gestione della posta aziendale, delle password di accesso, dei tempi di conservazione delle immagini in video sorveglianza o delle altre registrazioni in genere della medesima autorità che non possono essere tralasciate. Anche i dati statistici sull’utilizzo della strumentazione affidata necessitano di un vaglio privacy a cui il datore di lavoro è inevitabilmente chiamato.

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Il lavoro agile e l’emergenza COVID-19

Ciò posto in via generale, si osserva che il lavoro agile è stato ripetutamente preso in considerazione dal Governo come “strumento”  di gestione dei rapporti di lavoro subordinato e di mantenimento dell’operatività aziendale nell’attuale periodo di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-19.  Questo anche nel recente decreto “Cura Italia” (D.L. 17.3.2020, n. 18).

In particolare attualmente il DPCM 11.3.2020, al fine di prevenire possibili contagi in azienda e di limitare la mobilità delle persone, “raccomanda” alle imprese il “massimo utilizzo” del lavoro agile per tutte quelle attività che possono tecnicamente essere svolte fuori dai locali aziendali, con sospensione dell’attività di tutti quei reparti aziendali “non indispensabili” per la continuazione da produzione di beni o servizi.

Per le medesime finalità, il DPCM 8.3.2020 prevede poi che per tutta la durata dello stato di emergenza disposto dal Consiglio del Ministri il 31.1.2020 (e cioè fino al 31.7.2020) il lavoro agile possa essere applicato dai datori di lavoro “anche in assenza degli accordi individuali”, con “obblighi di informativa” in materia di salute e sicurezza sul lavoro assolti “in via telematica” anche attraverso l’apposita documentazione predisposta sul sito dell’INAIL.

Il Ministero del Lavoro ha pertanto predisposto una procedura semplificata per l’invio “massivo” delle comunicazioni di attivazione del lavoro agile connesse all’emergenza COVID-19, basata in estrema sintesi sulla trasmissione telematica tramite il portaleweb delle sole generalità del datore di lavoro e dei lavoratori interessati (in apposito file exel), nonché della durata della misura, con predisposizione e conservazione presso l’impresa di una “autocertificazione” in cui si da formalmente atto di aver applicato la misura per uno o più dipendenti.

Infine, il decreto “Cura Italia” (D.L. 18/2020) ha stabilito:

  • che fino al 30.4.2020 i lavoratori disabili ai sensi dell’art. 3 c. 3 L. 104/1992 (situazione riconosciuta di handicap grave), o che hanno nel proprio nucleo familiare persone con disabilità ai sensi del medesimo art. 3 c. 3 L. 104/1992 hanno “diritto” di svolgere la prestazione  lavorativa in modalità agile, a condizione che tale modalità sia “compatibile” con le caratteristiche della prestazione stessa (art. 39 c. 1);
  • che fino al 30.4.2020 ai lavoratori affetti da “gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa” è riconosciuta la “priorità” (rispetto ai colleghi) nell’accoglimento delle richieste di lavoro agile (art. 39 c. 2);
  • che per tutta la durata dello stato di emergenza (o fino alla precedente data eventualmente stabilita con D.P.C.M.) il lavoro agile costituisce la “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (e, tendenzialmente, delle autorità amministrative indipendenti), salva la sola presenza negli uffici del personale individuato come necessario per assicurare attività “indifferibili” anche per la gestione dell’emergenza. Le pubbliche amministrazioni possono inoltre ricorrere al lavoro agile senza necessità di stipulare un accordo con i dipendenti e sono esentate da ogni obbligo informativo nei loro confronti. Infine potrà essere previsto che i lavoratori pubblici in modalità agile utilizzino strumenti informatici nella loro disponibilità personale, con esenzione in questo caso dell’amministrazione da ogni obbligo di garantirne la sicurezza e il buon funzionamento (art. 87).
  • che per la durata dello stato di emergenza le amministrazioni aggiudicatrici e le autorità amministrative indipendenti, anche al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile, potranno acquistare beni e servizi informatici e di connettività con procedure semplificate rispetto a quelle ordinarie previste dal Codice degli Appalti (art. 75);

Le recenti misure e pongono alcuni importanti interrogativi, cui si cercherà di dare qui di seguito una sintetica orientata all’operatività.

ogativi, cui si cercherà di dare qui di seguito una sintetica risposta orientata all’operatività.

L’individuazione delle prestazioni che possono essere oggetto di lavoro agile

In primo luogo, pare ovvio che l’applicazione del lavoro agile potrà in ogni caso riguardare soltanto quei rapporti di lavoro le cui mansioni siano oggettivamente compatibili con un utile svolgimento delle attività caratterizzanti fuori dall’impresa, mediante collegamenti informatici.

A tal fine, è opportuno che il datore di lavoro privato effettui una motivata (e documentata) “mappatura” delle posizioni aziendali, per definire:

  • quelle astrattamente suscettibili di essere coperte mediante lavoro agile, alla luce della loro natura e del loro contenuto materiale;

tra le precedenti posizioni, quelle suscettibili di essere coperte mediante lavoro agile in virtù dell’indispensabilità o meno della presenza fisica del dipendente al fine di garantire un’ordinata, efficace e sicura prosecuzione dell’attività di produzione di beni/erogazione di servizi propria dell’impresa.

In particolare, ove il lavoro agile sia materialmente compatibile con l’oggetto della prestazione, l’esclusione della misura potrà essere determinata solo da una valutazione di indispensabilità della presenza in loco in funzione dell’ordinata e sicura prosecuzione dell’attività di produzione di beni o di erogazione di servizi propria dell’impresa.

In ogni caso di presenza fisica, ovviamente, il datore di lavoro dovrà curarsi di approntare (e documentare) tutte le misure di prevenzione e sanificazione suggerite dal Governo , dalle Istituzioni specializzate e dal protocollo sottoscritto il 14 marzo 2020 tra le Parti sociali tra cui:

  • l’allestimento dei luoghi di lavoro con distanza interpersonale di almeno un metro;
  • la sanificazione straordinaria degli ambienti e degli strumenti di lavoro;
  • la messa a disposizione di soluzioni disinfettanti in adeguato numero;
  • l’adeguata pubblicizzazione delle regole di comportamento;
  • l’assidua vigilanza datoriale sul rispetto delle regole, con applicazione di sanzioni disciplinari fino al licenziamento ai trasgressori.

Per quanto riguarda i datori di lavoro pubblici, la “mappatura” di  cui sopra dovrà condurre all’applicazione del lavoro agile come “regola”, nel senso che le uniche attività legittimamente esercitabili in persona sono quelle riconosciute come “indifferibili” (anche per la gestione dell’emergenza) e che non possono essere svolte da remoto.

La necessità o meno dell’accordo

In secondo luogo, si pone la questione se a seguito delle attuali misure sia ancora necessario un accordo, ancorché informale, tra datore di lavoro e lavoratore per l’attivazione della modalità di lavoro agile.

Al riguardo si ricorda che l’art. 2087 c.c. sancisce il generale obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore; e questo non solo osservando gli obblighi, i divieti e le prescrizioni legali, ma anche compiendo quelle scelte che corrispondono a standard di prudenza e best pratice applicabili, tutelando il lavoratore anche contro suoi comportamenti colposamente inosservanti.

Ora, in un contesto in cui:

  • il Governo espressamente “raccomandaalle “imprese” il “massimo utilizzo” del lavoro agile, per motivi di tutela della salute dei dipendenti e della collettività (art. 1 c. 1 n. 7, punto a) DPCM 11.3.2020);
  • la normativa da la facoltà al “datore di lavoro” di “applicare” il lavoro agile “anche in assenza degli accordi individuali” previsti dagli artt. 18 e ss. L. 81/2017 (art. 2 c. 1 lett. r) DPCM 9.3.2020 per il lavoro pubblico art. 87 D.L. 18/2020);

a mio avviso il datore di lavoro dovrà unilateralmente disporre (e se del caso imporre) la prestazione di lavoro agile ai propri dipendenti in tutti i casi in cui ciò sia possibile alla luce della “mappatura” dei posti di lavoro di cui sopra, con comportamento proattivo diretto a scongiurare le conseguenze pregiudizievoli della permanenza in azienda e della connessa mobilità sul territorio.

La mancata adozione di tale comportamento è suscettibile di esporre il datore di lavoro a conseguenze pregiudizievoli (civili-risarcitorie o addirittura penali) nel malaugurato caso di contagi da COVID-19 avvenuti in occasione dello svolgimento delle prestazioni lavorative che abbia determinato per il lavoratore l’esposizione a un rischio specifico o “generico aggravato” rispetto a quello del contesto sociale in cui vive.

Coerentemente, con quanto procede il datore di lavoro dovrà accogliere tutte le richieste di lavoro agile dei propri dipendenti (stipulando appositi accordi, che nell’attuale situazione potranno essere anche al limite orali), nei limiti in cui siano compatibili con la “mappatura” di cui sopra. Va da se che l’eventuale rifiuto dovrà essere adeguatamente motivato con la corrispondente incompatibilità rispetto alla mappatura “effettuata” (e, per i datori di lavoro pubblici, anche con il più severo requisito l’“indifferibilità” dell’attività che richiede la presenza fisica del lavoratore in ufficio).

Nel caso di pluralità di richieste e di impossibilità di loro contemporanea soddisfazione, varranno i criteri di priorità stabiliti dall’art. 18 c. 3 bis L. 81/2017 (lavoratrici madri nei tre anni dalla fine del congedo; lavoratori genitori di figli disabili, v.sopra) e dall’art. 39 c. 2 D.L. 18/2020 (“gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa”, v. sopra). Non è stata stabilita una “gerarchia” tra le varie ipotesi di priorità, ragion per cui l’ordine di accoglimento potrà ragionevolmente essere quello “cronologico”.

Come visto sopra, esiste oggi un unico caso di “diritto” del lavoratore a svolgere le sue prestazioni in modalità agile, vedendo disposta tale misura o accolta la sua richiesta con il solo limite della materiale compatibilità della mansione con la suddetta modalità. Si tratta dei lavoratori disabili o con membri del proprio nucleo familiare in condizioni di disabilità grave riconosciuta, ai sensi dell’art. 3 c. 3 L. 104/1992. In questi casi, la mancata attivazione del lavoro agile potrà essere giustificata solo alla luce dell’incompatibilità materiale delle mansioni, senza che sia possibile addurre ragioni di tipo organizzativo e/o connesse alla funzionalità dei servizi o della produzione.

Infine, il lavoratore non potrà unilateralmente auto-attivarsi il lavoro agile; nel caso di richiesta formulata al datore di lavoro e di rifiuto di quest’ultimo, il lavoratore – ove ritenga illegittimo tale rifiuto per via della compatibilità del lavoro agile con le proprie mansioni e per la non indispensabilità della sua presenza fisica per la continuazione della produzione in condizioni di sicurezza – potrà scegliere se esercitare l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., rifiutandosi di rendere la prestazione lavorativa “in presenza”.

Poiché l’eccezione ex art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento) è esercitabile senza alcun preventivo controllo giudiziale, è ovvio che il lavoratore si dovrà assumere il “rischio” della sua scelta: infatti, ove il suo rifiuto non sia ritenuto giustificato (per incompatibilità del lavoro agile con le sue mansioni o per ragionevole indispensabilità della prestazione, con allestimento da parte del datore di lavoro di tutti i presidi di sicurezza necessari) l’interessato potrà subire le conseguenze disciplinari dell’assenza ingiustificata e dell’insubordinazione alle direttive datoriali.

Come detto, il rifiuto della prestazione “in presenza” potrà avvenire anche in caso di mancato allestimento delle idonee misure di sicurezza e prevenzione da parte del datore, anche qui con l’avvertenza che, in caso di controversia, se il datore di lavoro riuscirà a dimostrare che l’ambiente lavorativo, per le iniziative adottate, non determinava alcun rischio specifico o generico aggravato di contrazione del SARS-CoV-19, il lavoratore sarà esposto alle conseguenze disciplinari della sua iniziativa.

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L’ “autocertificazione” ed i suoi contenuti

Infine, nel caso di accordo informale con il dipendente il datore di lavoro dovrà riportare nella “autocertificazione” eccezionalmente sostitutiva dell’accordo scritto la precisazione che il lavoro agile è stato attivato, d’intesa con il dipendente, in relazione alla dichiarazione da parte del Governo dello stato di emergenza nazionale, inserendo tutti gli altri elementi concordati tra le parti (come sopra visti). Tali elementi dovranno ovviamente essere compatibili con le restrizioni vigenti in materia di emergenza COVID-19.

Nel caso di assenza di accordo (così come qualora l’accordo informale con il lavoratore non copra tutti i possibili contenuti di dettaglio dell’istituto), l’“autocertificazione” potrà invece essere articolata partendo dal seguente fac-simile:

_______________________________________________________________________

  1. ad esempio se sono utilizzabili solo per finalità legata all’esecuzione della prestazione di lavoro o possono essere utilizzati anche per fini personali (in tal caso sarà necessario coinvolgere il dipendente in caso di controllo, a tutela delle informazioni personali non pertinenti all’attività lavorativa)

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