la riflessione

La rabbia corre sui social: ecco perché ormai è normale “sfogarsi” online

In una società che ci costringe a reprimere la rabbia, è più facile scaricarsi sui social media, su soggetti estranei e privi di colpa. In questo modo riduciamo l’ansia prodotta dai continui stimoli negativi che, altrimenti, alla fine introietteremmo con esiti nefasti. Sarebbe meglio andare in palestra

Pubblicato il 25 Apr 2019

Enzo Kermol

PhD, psicologo, CTU e Perito presso il Tribunale

nohate

Perché è la rabbia il sentimento che sembra prevalere sui social network? Qual è il meccanismo che la scatena?

Facciamo un esempio: scriviamo un post su Facebook. Di tono magari allegro, che si rifà ad una notizia del giorno, con al massimo qualche garbato commento. Ed ecco, prima in sordina, poi sempre più forte, il diluvio di commenti sgradevoli, provocatori, denigratori, decisamente aggressivi. Siamo tentati di rispondere a tono e così, se lo facciamo, inneschiamo un’altalena di “botta e risposta” in cui si inseriscono altri soggetti con toni da tragedia greca.

Perché accade ciò?

Cominciamo col dire che l’essere umano ha una programmazione genetica che lo porta ad esprimersi attraverso le emozioni e proviamo, quindi, a esaminare quali sono le cause della rabbia e le motivazioni che spingono molti a scaricarla sui social network.

Bisogni fisiologici e espressione delle emozioni

Due sono le categorie di persone che utilizzano toni così negativi, gli psicopatici, i mentitori abituali, coloro che sono affetti da patologie innominabili…e gli altri.

Tralasciando i primi, per i quali probabilmente sarebbe utile un intervento clinico, per il secondo gruppo, cioè quello in cui ricadono per la grande maggioranza, gli utenti dei social media, valgono le regole della psicologia, in particolare di quella che studia le emozioni.

L’essere umano infatti ha una programmazione genetica che lo porta ad esprimersi attraverso le emozioni. Queste sono legate alla primitiva capacità di comunicazione dei lontani progenitori. Non esistendo un linguaggio, né scritto né orale, l’uomo esprimeva con movimenti del volto e gesti quanto stava accadendo, ad esempio per allertare il resto della tribù ad un pericolo imminente. Oppure per esprimere con un solo movimento dei muscoli del volto la tossicità di alcune bacche o frutta che stava raccogliendo. Nel corso dell’evoluzione tali segnali sono divenuti alle volte ridondanti rispetto al linguaggio, tuttavia continuiamo ad utilizzarli perché fanno parte del nostro imprinting.

A questo bisogna aggiungere quelli che Maslow definì come bisogni dell’uomo. Bisogni che stante la categorizzazione presentata raramente raggiungono una reale applicazione nel corso della vita del singolo individuo.

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Cosa ne deduciamo? Che nonostante sia trascorso molto tempo dall’apparizione dell’homo sapiens questo è fondamentalmente rimasto legato a quelle che erano le primordiali necessità di sopravvivenza, anche perché tolto il lucido spessore dell’apparenza, la società non è fondamentalmente mutata rispetto alle origini.

Bisogni fisiologici e espressione delle emozioni fanno tuttavia parte del quotidiano di tutti gli esseri umani, ovunque sparsi sul pianeta. Ogni emozione ha distinti parametri fisiologici che ne permettono il riconoscimento.

Ekman, Levenson e Friesen[2], indicarono la differenziazione delle emozioni in base alle attività del sistema nervoso autonomo. In particolare si sottolineava la marcata differenziazione fra rabbia, paura e disgusto, oltre ai parametri distintivi della tristezza.

In uno studio successivo[3] vengono indicati i parametri di attivazione fisiologica di un gruppo di soggetti nell’isola di Sumatra, i Minangkabau, in relazione alle stesse misurazione compiute su un gruppo di controllo statunitense. Nel 2010, Kreibig[4] ha raccolto la letteratura relativa ai parametri di misurazione delle attività fisiologiche che ritroviamo nelle emozioni. Nel suo saggio elaborato nel Dipartimento di Psicologia dell’Università di Ginevra e nello Swiss Center for Affective Sciences della stessa città, Krebing esamina una rassegna di 134 pubblicazioni che riportano i risultati di indagini sperimentali sugli effetti emozionali della risposta fisiologica periferica in individui sani.

Lo studio suggerisce una notevole specificità di risposta del sistema nervoso autonomo nelle emozioni quando si considerano i sottotipi di differenti emozioni. Krebing analizza l’importanza della terminologia degli stati affettivi studiati, nonché la scelta delle misure fisiologiche nella valutazione della reattività del sistema nervoso autonomo. L’attività del sistema nervoso autonomo è considerata la componente principale della risposta emotiva in molte recenti teorie dell’emozione.

Le posizioni teoriche, e le loro applicazioni laboratoristiche, sul grado di specificità dell’attivazione del sistema nervoso autonomo nell’emozione, però, si discostano notevolmente le une dalle altre, infatti vanno dall’innalzamento indifferenziato, al riconoscimento di idiosincrasie di risposta, alle previsioni altamente specifiche di modelli di risposta autonomi per ogni emozione.

La scomposizione emozionale porta Krebing a considerare sedici diverse categorie, la prima contiene sei emozioni negative: rabbia, ansia, disgusto imbarazzo, paura e tristezza; la seconda otto positive: affetto, divertimento, contentezza, felicità, gioia, anticipazione del piacere, orgoglio, sollievo; la terza due senza una chiara connotazione: sorpresa e suspance. Tuttavia, alla fine di questa corposa disamina sorge qualche dubbio sia sulla scelta della terminologia delle emozioni (che ogni autore interpreta in maniera disomogenea) che sulla concordanza delle misure fisiologiche, ben 61 (di cui alcune contraddittorie), anche se divise in 134 esperimenti.

Le cause della rabbia

Individuata con certezza l’emozione (su alcune concordano tutti gli autori, gioia, sorpresa, paura, disgusto, tristezza, rabbia) restava da individuare quale, durante il giorno, venisse utilizzata con maggiore frequenza. Ed ecco che la rabbia conquistò il posto d’onore mentre il disgusto quello di coda. Se per il disgusto vi sono varie spiegazioni, la prima più evidente è l’origine stessa dell’emozione, cioè segnalare il cibo guasto o velenoso, cosa che attualmente accade piuttosto di rado, per la rabbia rimaneva la curiosità di stabilire la motivazione alla sua massima frequenza di apparizione.

Varie ne sono le cause, la prima per la sua alta capacità di attivazione dell’organismo. La più alta in assoluto. Anche la paura e la gioia attivano, ma di gran lunga meno della rabbia e con motivazioni più complesse. Per cui fra stasi e attivazione la rabbia induce rapidamente una piacevole sensazione di percezione amplificata dell’ambiente e capacità di interagire con esso. Un altro fattore è dovuto al fatto che l’emozione della rabbia è quella che ha subito in maggior misura le costrizioni dalle “regole di esibizione sociale”, cioè l’inibizione della cultura. La risposta è che ciò che viene immotivatamente proibito genera maggior interesse.

In letteratura inoltre le ricerche svolte sul comportamento di specie animali confortano la tesi che la rabbia e la successiva aggressività sono provocate da cause direttamente connesse alla sopravvivenza dell’individuo e della specie. Gli animali aggrediscono in risposta a qualcosa che li spaventa, per espellere un intruso dal proprio territorio, per difendere la propria prole, perché vengono attaccati da predatori, per battere i rivali sessuali.

Infine, gli aspetti positivi della rabbia possono essere riassunti in inibizione della paura, attivazione delle risorse psicofisiche atte ad affrontare situazioni pericolose, l’aumento della motivazione ad agire, la riduzione dell’ansia, l’affermazione dell’io, della propria personalità e della visione del mondo.

Le reazioni fisiologiche caratteristiche sono quelle di attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, aumento della frequenza cardiaca, della frequenza respiratoria, del volume inspirato, della pressione arteriosa e quindi dell’irrorazione dei vasi sanguigni periferici, della tensione muscolare, della sudorazione, della conduttanza cutanea e della temperatura. Le sensazioni soggettive derivate sono la percezione di perdita di controllo, di irrigidimento della muscolatura, di irrequietezza e di calore.

Dal punto di vista verbale vi possono essere urla e parole che descrivono le mutazioni della rabbia, nel non verbale gesti simbolici, segregati vocali, variazioni basse del tono.

Rabbia e social media

Come si collega tutto ciò con i social media?

Semplicemente perché la possibilità di interagire in rapporti con l’ambiente che permettano l’uso e la manifestazione della rabbia sono sempre meno frequenti. Come esiste un dress code esiste l’adeguamento alle regole di esibizione sociale imposte dai gruppi in cui viviamo.

Le minacce sono sempre presenti, ma ad una tigre che entrava nel suo territorio il primitivo poteva rispondere con la rabbia e una mazzata sul cranio dell’animale, che lo riportava allo stato di tranquillità, oggi l’aggressione sarà perpetrata da un ente pubblico, da una multinazionale delle comunicazioni, da una compagnia fornitrice di energia, a cui dobbiamo rispondere con il sorriso (falso ovviamente) e sperare di non finire nel tritacarne dei tribunali che magari dopo 20 anni di udienze ci informano che non abbiamo ragione. Se attraversiamo la strada sulle strisce pedonali con il semaforo verde, e uno sciagurato con il cellulare all’orecchio quasi ci investe (solo perché siamo ancora in grado di compiere un balzo a lato scriviamo il quasi) e ci dice che noi dovevamo state attenti alle auto che sopraggiungono, una sana rabbia ci porterebbe a rovesciare il mezzo e il conducente, ma le regole di socialità ci impongono il solito sorriso falso.

Tuttavia, l’accumulo di tensione quotidiana, non potendo reagire nella maniera opportuna, comporta nel lungo periodo l’instaurarsi di fenomeni negativi, come la depressione. E allora? Seduti la sera alla tastiera del computer scateniamo l’uragano della rabbia accumulata, spostando semplicemente dal giusto obiettivo ad un altro del tutto estraneo, ma in tal modo riduciamo l’ansia prodotta dai continui stimoli negativi del giorno che, altrimenti, alla fine introietteremmo con esiti nefasti.

Se osserviamo ad esempio Facebook ogni frase, ogni parola postata può essere stimolo per qualcuno ad aggredire per scaricare la rabbia. Questo innesca una serie di reazioni a catena da parte di tutti coloro che nel giorno sono stati bloccati ad esprimere la propria rabbia e così come in un multilevel alla fine l’intera rete (o quanti sono i contatti) partecipano a questo festival della rabbia.

Per cui riassumendo, la rabbia è genetica, la società la inibisce ma al contempo pone ostacoli quotidiani che la fanno apparire. La mancanza di “distruzione” dell’oggetto che genera la rabbia porta ad uno spostamento pulsionale su un altro del tutto estraneo. Se ciò non accadesse riverseremo su di noi la rabbia portandoci alla depressione. I social media fungono da elemento “terzo” su cui senza pericolo possiamo “scaricare” la rabbia. Immotivatamente e gratuitamente su soggetti privi di colpa.

Inoltre, la rabbia aumentando tutti i parametri fisiologici dà la sensazione di maggior vitalità e presenza nell’ambiente. Meglio sarebbe andare in palestra, sparare al poligono, praticare un’arte marziale o uno sport competitivo, tante sono le alternative che non intaccano le opinioni altrui con aggressioni verbali sui social media. Purtroppo, la pigrizia prevale e ad attività salutari che attivano l’organismo e riducono la tensione derivata dalla rabbia molti preferiscono l’insulto gratuito dimostrando solo la loro appartenenza ai gradini bassi della scala di Maslow.

____________________________________________________________________

Bibliografia indicativa

Argyle M. (1975), Il corpo e il suo linguaggio, Bologna, Zanichelli.

Darwin C. (1872), L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Torino, Boringhieri.

Ekman P. (2003), Te lo leggo in faccia, Torino, Amrita.

Ekman P. (1985), I volti della menzogna, Firenze, Giunti.

Frijda H.N. (1990), “Teorie recenti sulle emozioni”, in V. D’Urso, R. Trentin (a cura di), Psicologia delle emozioni, Bologna, Il Mulino, pp. 19-43.

Kermol E., Iacono M. (2015), Le emozioni nella pratica psicologica, Padova, Cleup.

  1. Enzo Kermol, PhD, psicologo, CTU e Perito presso il Tribunale, è presidente nazionale dell’elenco non ordinistico degli Emotusologi, docente di Psicologia Generale presso l’Unicusano – Roma, ha pubblicato una ventina di volumi, tra cui Comunicazione e potere, Le strategie della comunicazione, La simulazione, Cinema moda pubblicità. Psicosociologia dell’estetica quotidiana, Violenza, mass-media e minori, Le emozioni nella pratica psicologica.
  2. Ekman P., Levenson R.W., Friesen W.V. (1983), “Autonomic nervous system activity distinguishes among emotions”, Science, 221, 1208-1210.
  3. Levenson R.W., Ekman P., Heider K., Friesen W.V. (1992), “Emotion and Autonomic Nervous System Activity in the Minangkabau of West Sumatra”, Journal of Personality and Social Psychology, Vol. 62, No. 6, 792-988.
  4. Kreibig S. D. (2010), “Autonomic nervous system activity in emotion: A review”, Biological Psychology, 84 (2010) 394–421.

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