La notizia del manager che ha cercato di assoldare sul dark web un sicario per far menomare la ex fidanzata è balzata agli onori delle cronache qualche giorno fa. Più che il fatto in sé (grave) è interessante capire come sia stata avviata l’indagine e come sia stato possibile, dal dark web, arrivare ad identificare il soggetto che voleva commissionare l’aggressione pagandola in bitcoin.
Il fatto e l’indagine
Un manager, non rassegnato all’idea che la propria relazione sentimentale fosse conclusa, aveva maturato il proposito di far menomare, in modo permanente, la propria ex fidanzata.
Per farlo voleva avvalersi di un “professionista”, che riteneva di poter reperire nel dark web, offrendo una ricompensa di 10.000 euro in bitcoin.
Fortunatamente “l’operazione” non è andata a buon fine, perché è sopravvenuta un’ordinanza di custodia cautelare che ha impedito la realizzazione del piano.
La Polizia Postale, infatti, avvisata dall’Interpol, ha iniziato a monitorare la situazione e, una volta raccolti elementi sufficienti, la Procura della Repubblica di Roma ha chiesto ed ottenuto la misura cautelare.
Killer hiring sul dark web
Al di là del successo dell’operazione, che ha certamente impedito – almeno – il tentativo di un grave atto di violenza, è interessante rendersi conto di come sia stato possibile impostare la ricerca del sicario, da un lato, e come sia stato reso vano il tentativo.
Il dark web è una specie di far west in cui si incontrano domanda e offerta di beni e servizi spesso illegali.
Nel caso dell’operazione Hitman, il manager si era connesso ad un gruppo, denominato – chiaramente – “Assassins”, dopo essersi connesso alla rete e, tramite un intermediario, aveva contattato il sicario, cui aveva dato indicazioni chiare circa la “commessa” ed il pagamento.
La transazione sarebbe verosimilmente andata a buon fine – si fa per dire – se l’Interpol non avesse acquisito delle conversazioni avvenute proprio in quel gruppo e l’Europol non fosse riuscita a seguire i flussi di denaro virtuale, di modo da “bloccare” il tutto.
I due passaggi di indagine sono entrambi molto interessanti.
Per quanto riguarda quello seguito dall’Europol, ciò che è avvenuto può apparire sorprendente.
Gli investigatori sono riusciti a ricostruire i passaggi del bitcoin nella blockchain (dal manager al killer) e sono, poi, riusciti a collegare il portafoglio da cui era stato emesso il pagamento alla persona fisica titolare dello stesso.
Evidentemente il livello di tecnologia e di decrittazione utilizzati sono di livello molto elevato, diversamente non sarebbe stato possibile ricostruire tutta la catena.
L’Interpol, invece, ha operato con strumenti di scansione del dark web che operano come degli spider comuni (quelli che vengono utilizzati da Google, per essere chiari) che, per esser efficaci sul dark web, necessitano di tecnologia il cui studio è stato avviato ormai anni orsono.
Conclusioni
Gli strumenti di indagine sono sempre più sofisticati ed il fatto che la blockchain possa essere in qualche modo trasparente è, in sé, una buona notizia.
La criptovaluta è troppo spesso utilizzata per vere e proprie truffe, per operazioni di riciclaggio o per transazioni del mercato illegale e gli strumenti di indagine sono assolutamente benvenuti.
Che, poi, sia possibile, per quanto a spot e, pare, solo per situazioni non ben congegnate, monitorare il Dark Web e risalire ai soggetti che operano transazioni illegali, è un dato di fatto.
Le indagini non sono efficaci come nel contesto “normale” e la tecnologia richiesta è, obiettivamente, di livello molto elevato, ma il Dark Web è, ormai, un po’ meno “oscuro”.