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Pedopornografia online, le nuove norme: ecco cosa cambia

L’accesso intenzionale a siti contenenti materiale pedopornografico è la novità più rilevante della nuova legge sulla pedopornografia, in vigore dal 17 gennaio 2022. All’approvazione si è arrivati dopo ben due procedure d’infrazione della Commissione. Vediamo i cambiamenti più rilevanti

Pubblicato il 25 Gen 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

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La nuova normativa sulla pedopornografia è in vigore dal 17 gennaio 2022. La nuova legge ha come finalità dichiarata porre rimedio a due procedure d’infrazione promosse dalla Commissione europea contro l’Italia per il vuoto di tutela penale nei confronti dei minorenni.

Nel contesto più ampio della repressione penale della violenza sessuale e dello sfruttamento dei minori, si colloca anche la riforma dei delitti di pedopornografia, in particolare online.

Pedopornografia online: la normativa e le modalità di indagine e prevenzione

La nuova disciplina della pedopornografia online

La novità più rilevante per quanto riguarda la pedopornografia online è certamente costituita dall’inserimento della nuova ipotesi delittuosa di accesso intenzionale a siti contenenti materiale pedopornografico.

La fattispecie è stata inserita dall’articolo 20, comma 1, lettera a), della legge 238 del 13 dicembre 2021, entrata in vigore il 17 gennaio 2022.

La nuova disciplina è stata inserita dopo il secondo comma dell’articolo 600-quater del Codice penale e punisce con la reclusione fino a due anni e la multa non inferiore a euro 1.000,00 la condotta di chiunque accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato con minori degli anni 18 mediante rete internet o con altri mezzi di comunicazione.

Perché si configuri il reato, quindi, è necessario un accesso intenzionale, ossia finalizzato alla fruizione del materiale pedopornografico.

Dal tenore letterale della norma incriminatrice dovrebbe intendersi esclusa ogni condotta finalizzata alla fruizione di materiale pornografico in difetto di consapevolezza, da parte di chi accede al sito internet, della minore o maggiore età delle persone coinvolte.

L’avverbio “intenzionalmente”, infatti, è utilizzato dal legislatore penale con molta parsimonia, ed è, di regola, impiegato per delineare in termini espressamente finalistici ogni azione compiuta dal reo: in altri termini, si richiede la piena consapevolezza, volontà e previsione di ogni elemento della condotta e della fattispecie perché sia integrato il reato.

Viene quindi data piena attuazione a quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 3, della Direttiva UE 2011/93, in cui si prescriveva agli Stati membri di adottare ogni misura necessaria a punire con almeno un anno di reclusione “l’accesso consapevole, a mezzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a materiale pedopornografico”.

La locuzione “senza giustificato motivo” prevede, in maniera implicita, la scriminante per chi, ad esempio, accede a siti contenenti materiale pedopornografico per finalità di indagine penale e, probabilmente, anche con finalità di inchiesta giornalistica.

Internet e temporary files

Il richiamo alla rete internet o con altri mezzi di comunicazione è una previsione ampia, finalizzata a non escludere, ad esempio, i social network o le chat di messaggistica e video “restringendo” il campo ai soli siti web.

La riforma sembra idonea anche gestire la problematica dei cosiddetti temporary files, la cui fruizione era stata ritenuta penalmente rilevante solo in virtù di un’interpretazione verosimilmente eccessiva del testo normativo precedente, attesa la punibilità della “detenzione” del materiale pedopornografico.

In chiave prospettica, sarà interessante capire se la fruizione dei temporary files verrà sanzionata ai sensi della novella legislativa – che pare finalizzata a “chiudere” anche questa questione – o se la giurisprudenza resterà ferma nell’interpretazione ante legge 238/2021.

Conclusioni

In Italia il legislatore penale opera troppo spesso in maniera disorganica e senza un piano di riforme programmato.

L’adeguamento alle direttive UE in tema di violenza sessuale e sfruttamento dei minori sono state emanate anni addietro: sono servite due procedure d’infrazione della Commissione perché si arrivasse all’approvazione di una legge di adeguamento.

Va tenuto presente che una parte delle misure imposte dalle direttive erano state inserite con la legge cosiddetto “Codice rosso”, praticamente una normativa emergenziale finalizzata alla repressione dei delitti di genere emanata sulla spinta “emozionale” e politica generata da fatti di cronaca.

Ovviamente una tutela frammentata è meglio di una tutela ristretta: va comunque dato atto della necessità di identificare le condotte – gravissime – in modo chiaro, perché il rischio di trovarsi indagati per reati ignominiosi per errore non è remoto.

Resta comunque il caso di sottolineare come, nell’ordinamento penale italiano, la violenza sessuale e delitti “satellite” siano stati inseriti solo di recente, come indica la sottonumerazione con i bis, i ter e i quater, non certo di immediata individuazione per il cittadino profano di materia penalistica.

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