le misure

Poca intelligenza artificiale nei programmi elettorali: le strategie per un vero cambio di passo

Nei programmi delle principali liste i riferimenti all’intelligenza artificiale sono piuttosto marginali quanto generici. Sono invece tante le misure che servirebbero per una strategia italiana per l’AI degna di questo nome. Ecco le tre principali

Pubblicato il 15 Set 2022

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

intelligenza artificiale ascani scuola

In una campagna elettorale poco concentrata sui contenuti, non sorprende che di intelligenza artificiale (AI) si sia parlato poco o nulla.

La boutade del Ministero per l’intelligenza artificiale a Milano

L’unica occasione nella quale l’AI è entrata nel dibattito politico del giorno è stata in occasione del convegno annuale organizzato da Ambrosetti a Cernobbio, quando il 4 settembre si sono confrontati i leader dei principali partiti e il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha proposto di portare a Milano il Ministero per l’intelligenza artificiale, l’innovazione e la digitalizzazione. Un Ministero che peraltro oggi non esiste, o meglio si chiama attualmente Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, e di intelligenza artificiale non si è poi occupato moltissimo finora.

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Dunque, ben venga immaginarne una ridenominazione, anche se non appare questo il problema principale. Maggiori perplessità induce lo spostamento da Roma, pur ancorandosi a motivazioni in apparenza sensate (in primis, la vicinanza alle imprese e alla ricerca industriale). Il Ministero non è infatti né un’authority indipendente né una società in house e deve necessariamente dialogare innanzitutto con le altre componenti di Governo e con il Parlamento. E per farlo efficacemente essere a Roma è certamente un vantaggio, pena essere considerato un Ministero di serie B. Per dirla alla romana, trasferire il Ministero a Milano vorrebbe dire, in termini pratici, rifilare alla capitale economica (ma anche ai destini dell’AI in Italia) una bella sòla.

La poca “intelligenza” dei programmi elettorali

Al di là delle boutade di inizio settembre, nei programmi delle principali liste ci sono riferimenti all’AI piuttosto marginali quanto generici.

Ruolo dei dati e ITS

Il Movimento 5 Stelle e il Terzo Polo e ipotizzano fondi di investimento per le tecnologie, tra le quali l’AI. Sul ruolo dei dati si soffermano sia il M5S che il PD ma più in una logica di tutela della privacy e dell’eventuale monetizzazione da parte degli utenti che di vere applicazioni AI. Più o meno tutti si dichiarano a favore del rafforzamento degli ITS per formare “più tecnologi del futuro” ma in generale senza fornire molti dettagli. Forza Italia propone l’introduzione del coding a scuola.

AI Act

Il PD fa un esplicito riferimento al regolamento europeo sull’AI attualmente in discussione a Bruxelles per enfatizzarne i possibili usi malevoli, da mettere al bando (dai software di sorveglianza e riconoscimento biometrico in luoghi pubblici ai sistemi di scoring sociale e all’impiego di sistemi di riconoscimento emotivo). Più in positivo, il Terzo Polo propone una sandbox normativa per semplificare le attività delle startup, senza riferirla esplicitamente all’AI. Ma è proprio rispetto al Regolamento sull’AI che ferve il dibattito sull’ampiezza delle sandbox, almeno a livello europeo (con buoni progressi in vista).

Use case dell’AI

Infine, rispetto ai possibili use case dell’AI, che ricordiamo si tratta di una famiglia di tecnologie trasversali a tanti possibili campi di applicazione, vengono citati l’agricoltura di precisione (Lega e PD), la smart mobility (Forza Italia e PD), nonché l’efficienza energetica (PD e Terzo Polo).

L’AI nella PA

La Lega propone con enfasi di introdurre l’uso dell’AI nella PA, per automatizzare i processi decisionali binari (del tipo si/no), applicandola in particolare ai contratti e agli appalti pubblici. Un modo per accelerare procedure massive spesso ferme al palo a causa dell’overload amministrativo. Si tratta di una buona idea, aggiungiamo noi, purché avvenga secondo garanzie di imparzialità e trasparenza, coerentemente con i contenuti del regolamento europeo in discussione e con i principi di funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Si potrebbe immaginare qualche prima sperimentazione controllata, nel caso da estendere successivamente in caso di successo.

La Strategia italiana per l’AI

Il Terzo Polo è tuttavia l’unica formazione a evocare esplicitamente la Strategia italiana per l’AI, chiedendo di darne piena implementazione, costituendo un’unità dedicata nel Ministero per l’innovazione tecnologica e prevedendo un coordinamento interministeriale.

Le misure prioritarie di cui ci sarebbe più bisogno (e che mancano nei programmi)

Sono tante le misure che servirebbero per un cambio di passo verso una strategia italiana per l’AI degna di questo nome. A mio avviso sono tuttavia 3 le principali, di cui purtroppo si trova poca traccia nei programmi elettorali.

La Piattaforma Digitale Nazionale Dati

Nel PNRR, che pure è stata finora una grande occasione mancata per accelerare l’attuazione di una strategia nazionale per l’AI, è contenuto il progetto di Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), che sarà gestita da PagoPA. Si tratta di un’occasione importante per valorizzare l’enorme patrimonio di dati in possesso della PA, grazie all’interoperabilità dei sistemi informativi e delle banche dati dei diversi enti. Perché esprima pienamente il suo valore, la grande sfida sarebbe quella di aprirla quanto prima (naturalmente, nel rispetto della privacy e della sicurezza) all’uso di soggetti esterni (anche a pagamento qualora questo avvenisse per fini commerciali). Inoltre, occorre che il vagone del PPND viaggi in parallelo con la creazione dei dataspace europei, previsti dalla Strategia europea dei dati, integrandosi con questi e anzi esercitando un ruolo proattivo.

Un Istituto nazionale per l’AI

Piuttosto che trasferire a Milano un Ministero per l’AI, per convogliare e coordinare le tante eccellenze presenti nel nostro Paese, rimane un’esigenza utile far nascere, perché no lontano da Roma, un Istituto nazionale per l’AI, sul modello dell’Alan Turing Institute britannico. Era questa una delle principali proposte della task force che lavorò anni addietro alla Strategia italiana ma, dopo che il Governo Conte II ne annunciò la sede a Torino, non se ne seppe più nulla. In questo caso, la vicinanza al mondo produttivo e della ricerca sarebbe certamente un plus e dunque una collocazione nel triangolo Milano-Bologna-Torino pienamente in linea, anche per evitare di farne un inutile carrozzone.

Infine, il PNRR, pur prevedendo molte risorse per le competenze, non mette in campo una vera e propria Strategia per le skill digitali, al contrario di un Paese come la Spagna (che pure riceve molti meno finanziamenti del nostro, avendo rinunciato ai prestiti). Per l’AI, serve certamente un disegno organico, che operi sia sulle competenze di base che su quelle specialistiche, in mancanza del quale appare difficile trasformare il sistema formativo adeguandolo alle nuove esigenze, a fronte dei tanti blocchi del sistema.

 

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