proprietà intellettuale

Produzione scientifica, open science e diritto d’autore: le sfide normative

Società ed «economia della conoscenza» comportano un aumento sul mercato della domanda di prodotti culturali e scientifici. L’intero sistema pertanto necessita di un adeguamento ai tempi e agli strumenti di diffusione portati dallo sviluppo della “new economy”. In questo contesto una sfida da cogliere è quella di rinnovare la normativa sulla proprietà intellettuale con particolare riferimento alla legge sul diritto d’autore.

Pubblicato il 25 Giu 2021

Giovanni Modafferi

Tecnologo ENEA

digital economy

Viviamo nella società e nell’«economia della conoscenza». La società e l’economia della conoscenza a loro volta si fondano su tre grandi pilastri tra loro connessi: l’istruzione, la scienza e la comunicazione.

La società e l’economia della conoscenza richiedono persone sempre più qualificate. Per questo motivo nei Paesi maggiormente evoluti assistiamo a uno sviluppo senza precedenti dell’intero sistema formativo: educazione primaria, secondaria e terziaria ed educazione permanente. Tutto ciò non solo indica una diffusione sempre più vasta dell’istruzione di massa ma segnala una domanda economica e sociale crescente di lavoratori con alta qualificazione, di prodotti culturali, di prodotti scientifici.

Riformare il diritto d’autore per sostenere l’open science: dalla pandemia opportunità unica

Che relazione c’è tra potere e prodotto scientifico? Che rapporto esiste fra scienza e politica? Come si conciliano controllo e libertà? Quali sono i diritti dei lavoratori altamente qualificati? Quali diritti ha l’autore? Quali diritti ha il «consumatore»? Chi li protegge?

In primo luogo diviene importante esaminare come l’ordinamento tuteli gli «autori» rispetto all’«industria» che svolge la parte determinante nell’offerta dei prodotti verso i destinatari, i quali assumono il ruolo di fruitori, ovvero nella logica mercantile, di «consumatori».

In origine lo sfruttamento economico delle creazioni intellettuali veniva garantito attraverso il mezzo giuridico del privilegio, un trattamento riservato a favore di un singolo o un gruppo che valeva a sottrarlo al diritto comune applicato alla generalità dei cittadini.

Già in passato autorevolissima dottrina evidenziava con particolare chiarezza il sistema tuttora vigente: “Il sistema economico del capitalismo vuole che le idee creative siano partecipate alla collettività, per consentirne un rapido e completo sfruttamento, ma deve assicurare allo stesso tempo all’autore un adeguato compenso della creazione intellettuale e glielo assicura col proteggerlo contro la concorrenza” (Pietro Rescigno).

Secondo questa logica il privilegio viene accordato non già all’autore in quanto tale ma piuttosto a chi utilizza l’idea sul piano commerciale. Ancora oggi chi utilizza l’idea sul piano commerciale/industriale è solitamente una persona diversa dall’autore e ciò finisce col confermare il carattere strumentale della protezione accordata dalla legge a favore dello sfruttamento economico.

La modalità di sfruttamento, l’esclusiva di cui ancora oggi parlano le leggi (artt. 2577 e 2578 c.c. sul diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, o ancora artt. 2586, 2592, 2593) o diritto di esclusività (art. 2584 sul diritto di brevetto per invenzioni industriali) ovvero il d.lgs. 30/2005 (cd. Codice della proprietà industriale) o la l. 633/1941 cd. legge sul diritto d’autore (artt. 12, 13-19) riproducono nei contenuti i tratti salienti di quell’antico privilegio. E ciò accade in particolare all’interno del Codice civile dove tale riproduzione avviene all’interno di un “sistema” abitualmente fermo a una visione dei beni ristretta alle “cose materiali”.

Ma la situazione non cambia se ci si pone dal lato dell’ente pubblico che si occupa di innovazione, laddove si preferisce il valore di scambio al valore d’uso della risorsa. In questo caso, data l’assenza di un contratto tipico per il trasferimento di tecnologia, la normativa di base è costituita dagli articoli 63 e 138 del d.lgs. 30/2005 e dagli artt. 2584 e 2589 c.c.

Nel Codice civile la materia è disciplinata nel Libro Quinto (“Del lavoro”). Il motivo si evidenzia nell’art. 2576 che riconduce il titolo originario dell’acquisto del diritto d’autore alla “creazione dell’opera” quale particolare espressione del «lavoro intellettuale». Con queste caratteristiche l’opera è protetta dalla legge anche quando essa si realizza nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato.

Il diritto d’autore ha quindi due aspetti preminenti e caratteristici dell’ordinamento, uno relativo alla paternità dell’opera, l’altro alla possibilità di sfruttamento economico, con netta separazione tra diritto d’autore e i diritti patrimoniali.

I contenuti del diritto d’autore si sostanziano nella possibilità di rivendicare la paternità dell’opera in ogni momento; nella possibilità di opporsi a modifiche che possano risultare pregiudizievoli all’onore o alla reputazione dell’autore; nel cd. “diritto di inedito” ossia la facoltà di differire il momento in cui rendere l’opera accessibile al pubblico, decidendo quando pubblicare ovvero lasciare l’opera per sempre inedita, od opporsi alla prima pubblicazione; o ancora nella possibilità di disconoscere un’opera che venga arbitrariamente attribuita al soggetto. Il potere di difendere tale prerogativa dopo la morte dell’autore spetta ai familiari, indipendentemente dalla successione nei diritti patrimoniali relativi all’opera creativa (art. 23, l. 633/1941).

I diritti sulle opere d’ingegno e le invenzioni industriali benché classificati come “beni immateriali” sono pertanto del tutto estranei al Libro Terzo (“Della proprietà”) del Codice civile, poiché hanno un proprio modo d’essere, di circolare e di venire goduti. L’immaterialità ovviamente si riferisce all’ «idea» che successivamente “prende corpo” come oggetto che può essere riprodotto ‘infinite volte’ ma è sempre destinato a portare in sé e a realizzare l’originaria idea creativa.

Nella materia concorrono interessi di natura patrimoniale e interessi strettamente personali legati alla “personalità”. La confluenza di interessi così eterogenei ha spinto l’ordinamento a proteggere diritti e aspettative di autori e imprenditori, benché in maniera a volte contraddittoria, con una certa ampiezza e sollecitudine.

Invece non sempre l’ordinamento ha saputo proteggere il “consumatore” di cultura e di scienza, che spesso si trova impotente rispetto a offerte di prodotti che di culturale o scientifico hanno poco. Al “fruitore” di cultura/scienza l’ordinamento non accorda tutela diversa da quella normalmente accordata al “consumatore” nonostante la specificità del prodotto che in questo caso gli viene offerto, e questo è un vulnus al quale dover porre rimedio.

Open science e riforma del diritto d’autore

La caratteristica dell’immaterialità si incontra oggi con un’altra dimensione “immateriale” che tende a far aumentare l’elenco e forse l’ampiezza dei diritti e delle facoltà riconosciuti all’autore.

Buona parte degli articoli scientifici è frutto oggi di una collaborazione internazionale. Questo significa che la comunità scientifica è sempre più transnazionale avendo gli stessi interessi, gli stessi valori, persino la stessa lingua in tutto il mondo. In quest’ottica i nuovi obiettivi, in primis europei, sono l’Open innovation, l’Open science e l’apertura al mondo, in cui giocano un ruolo fondamentale l’informatica scientifica e l’accesso aperto alle pubblicazioni. Anche nel nuovo PNR (Programma Nazionale per la Ricerca 2021-2027) non si è mancato di sottolineare tale importanza essendosi previsto un apposito Piano Nazionale per la Scienza aperta, con una serie di azioni da realizzare (accesso aperto agli strumenti di produzione, archiviazione, pubblicazione, sostegno all’open-source, ecc.) e pieno sostegno allo European Open Science Cloud (EOSC).

Anche per tali motivi, da più parti, si è sostenuta la necessità di intervenire sulla l. 633/1941 in modo da riconoscere all’autore il diritto, anch’esso irrinunciabile e inalienabile, di ripubblicazione dell’opera o messa a disposizione del pubblico in modalità Open Access, ovvero garantendo sufficienti diritti di proprietà intellettuale, per conformarsi alla politica di accesso aperto già prevista e attuata in altri Paesi europei come Germania, Olanda, Francia e Belgio.

Un traguardo importante anche in ottica di Open innovation, dove alle imprese è richiesta l’adozione di un modello di business aperto che lasci fluire idee e tecnologie, non solo attraverso attività di “inbound” e “outbound” da realizzare attraverso acquisto e vendita di licenze, brevetti e in genere proprietà intellettuale, ma anche e soprattutto attraverso un nuovo modello di business a rete o di sistema.

E’ appena il caso di accennare che in un contesto industriale come quello italiano, caratterizzato dalla prevalenza di realtà aziendali piccole o medie (PMI), un approccio più “open” può costituire una notevole fonte di vantaggio.

Certamente il rapporto relativo allo sfruttamento economico dell’opera o dell’invenzione tra diritti e interessi in gioco è potenzialmente conflittuale, e non è stato ancora risolto. Si potrebbe (rectius, dovrebbe) iniziare risolvendo proprio il rapporto giuridico.

La proprietà intellettuale resta, comunque, uno dei temi cui il legislatore europeo sta dedicando maggiore attenzione, allo scopo di armonizzare la disciplina dei singoli stati membri.

Le maggiori divergenze non riguardano soltanto i diritti riconosciuti all’autore, ma ineriscono soprattutto il regime delle misure cautelari e d’urgenza, le prove, il risarcimento del danno e il regime sanzionatorio penale. Certamente l’intenzione dell’UE sarà quella di tutelare maggiormente gli autori, adeguandosi ai tempi e agli strumenti di diffusione portati dallo sviluppo della “new economy”.

La l. 633/1941 d’altronde è stata integrata con diversi successivi aggiornamenti. Nella categoria delle “opere letterarie”, ad esempio, sono stati a suo tempo ricompresi i programmi informatici a proposito dei quali si è a lungo dibattuto in ordine al modo migliore di tutelarli.

Essi furono assimilati dapprima alle invenzioni industriali, consentendone pertanto la brevettazione (patent) e successivamente alle opere letterarie, con riconoscimento del diritto d’autore (copyright) essendo prevalsa a livello comunitario la seconda opzione (direttiva 2001/29/CE).

Mentre risulta sostanzialmente agevole l’applicazione della normativa in tema di “diritto di riproduzione” (art. 13), per quanto riguarda i dati immessi nel software e, in ipotesi, trasmessi tramite reti, è tuttora in corso un vivo dibattito sull’applicabilità a internet delle normative in materia.

La maggiore difficoltà, come noto, consiste nella individuazione di un’origine geografica certa e del percorso dei dati trasmessi. Si è parlato delle possibilità che nascano “paradisi dei dati” dove le informazioni trovano fittizia collocazione al fine di aggirare gli accordi sovranazionali in materia, oltre le leggi nazionali.

L’intelligenza artificiale e i nuovi software

Un capitolo a parte, sempre più rilevante della storia della rivoluzione digitale (in futuro potrebbe essere una civiltà digitale, se sapremo trarre le migliori applicazioni), è quello che riguarda l’Intelligenza artificiale (IA) o Artificial intelligence (AI).

Si tratta di nuovi tipi di software fondati su algoritmi che imparano da sé (self-learning) ad analizzare grandi masse di dati, da cui realizzare in tempi molto rapidi, ovviamente non “umani”, nuovi risultati (tecnologici o artistici), non “predisegnati” nella concreta realizzazione finale da mani umane e tuttavia rispondenti all’obiettivo funzionale dettato dai creatori dell’algoritmo.

Fin qui tutto bene (parafrasando l’incipit de La Haine, di M. Kassowitz). Il problema potrebbe ravvisarsi nel momento in cui il suddetto “creatore” dell’algoritmo dovesse essere un non-umano, ossia la macchina stessa.

La creatività artificiale è un esempio di moderna frontiera della creatività umana. Una frontiera enorme, che abbraccia la realizzazione di opere di tipo scientifico, artistico, prodotti e processi di uso pratico (per esempio l’internet delle cose), strumenti di ottimizzazione di servizi pubblici, sociali e che in campo giuridico arriva fino alla formazione di decisioni giudiziali “servita” da un’enorme mole di dati e precedenti.

Una questione decisiva per lo sviluppo della IA è quella, assai dibattuta, della titolarità dei diritti di proprietà intellettuale sulle opere prodotte direttamente da algoritmi “pensanti” (selfthinking).

Una tesi sostiene che se l’opera possiede oggettivamente i requisiti della protezione brevettuale ovvero di copyright secondo le norme generali – che l’opera sia nuova, “non ovvia”, sufficientemente creativa, lecita – il brevetto o il copyright dovrebbe essere attribuito all’autore dell’algoritmo che ha realizzato l’invenzione o l’opera artistica, ovvero nel caso di invenzioni o opere create in ambito “aziendale”, al suo datore di lavoro, oppure condivisa tra detti soggetti. Altra tesi è che si possa attribuire un diritto d’autore o un brevetto solo a creazioni di persone fisiche.

Altra questione è chi dovrà rispondere dei danni causati dall’attivazione del robot nel caso in cui il prodotto dannoso sia stato “disegnato” dall’algoritmo, considerando che il creatore umano ha dettato l’obiettivo funzionale di quest’ultimo. L’IA non immagina infatti, in questa prima fase, fini diversi da quelli “prescritti” dall’uomo, i quali solitamente corrispondono alle stesse funzioni tradizionalmente richieste a persone e/o macchine con compiti meramente esecutivi.

Rispetto a questa problematica si dovranno quindi essenzialmente applicare, adattandoli, i principi, derivanti dal diritto romano, della legge comune in materia di risarcimento di danni derivanti da “attività pericolose” o causati da “cose in custodia” (artt. 2050, 2051 c.c.).

Come per gli strumenti tradizionali creati o usati dall’uomo per realizzare certe attività, chi ha creato il robot intelligente, oltre al diritto di sfruttare economicamente i risultati leciti, frutto delle azioni dello stesso, dovrà parimenti rispondere delle conseguenze delle azioni medesime.

Di sicuro, fra una tesi e l’altra, c’è la velocità con la quale la digitalizzazione avanza nella vita umana. Nel momento in cui l’IA, in sinergia con le “scienze della vita” – medicina, farmacologia, genomica, biotecnologie, ecc. – accelererà talmente tanto le prospettive di progresso diagnostico e terapeutico, da far attendibilmente sperare in giganteschi passi in avanti, per realizzare metodi terapeutici e farmaci capaci di prevenire e curare malattie invalidanti o mortali, nessuna concezione etica particolare potrà fondatamente contestare i nuovi risultati, allorché gli stessi si dimostreranno realmente capaci di lenire sofferenze altrimenti inevitabili.

Il problema starà nel saper regolamentare adeguatamente – anche a livello internazionale – l’utilizzo finale della nuova tecnologia. Un’impresa titanica, in considerazione del fatto che i maggiori provider e detentori di dati non risiedono legalmente in Europa.

Questo però non deve far temere per il futuro, ma stimolare le migliori menti a “sviluppare” in primis, una maggiore consapevolezza nell’utilizzo dei mezzi scientifici e tecnologici al servizio dell’umanità.

In un noto saggio Norberto Bobbio si soffermava sulla “politica degli uomini di cultura in difesa delle condizioni di esistenza e sviluppo della cultura” (Politica e cultura). La difesa del prodotto culturale, di chi lo crea e di chi ne usufruisce, si inserisce in quest’ultima ipotesi teorizzata anni fa. E questo vale anche per il prodotto scientifico, frutto di una scoperta, compreso quello relativo alla digitalizzazione della società.

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