Digital Identity

Selfie 0.5: cosa c’è dietro la nuova tendenza della generazione Z

Selfie scattati con il grandangolo, che mettono in luce particolari frutto del caso: la nuova moda social apre a sperimentazioni con il mezzo fotografico che pongono domande per nuovi orizzonti di senso. I dettagli e le caratteristiche

Pubblicato il 15 Ago 2022

Gianna Angelini

Direttrice scientifica di AANT

selfie - dismorfia digitale

La nuova tendenza fotografica della Generazione Z è il “point five selfie”[1]: si tratta di selfie scattati non frontalmente, ma usando la camera posteriore del telefono per mezzo di un obiettivo ultra-grandangolare, che genera un effetto distorto nell’immagine e, soprattutto, non permette al soggetto di guardarsi e mettersi in posa per lo scatto. Il risultato sono immagini per nulla fedeli alla realtà, bizzarre e sbilanciate, quindi spesso brutte.

Dentro i social network: così l’esperienza diventa merce

A cosa porta l’utilizzo del grandangolo per i ritratti

La distorsione propria del grandangolo, che generalmente viene utilizzato per ritrarre opere architettoniche e paesaggi non a caso, è legata, innanzitutto, all’accentuazione dell’effetto prospettico. Gli oggetti più vicini, cioè, appaiono molto più grandi rispetto a quelli più lontani e le distanze tra gli oggetti sono amplificate.

Nella rappresentazione di un paesaggio, questo effetto permette di enfatizzare gli oggetti in primo piano e di guidare lo sguardo dello spettatore che viene orientato nella lettura dell’immagine.

Per esempio, se inquadriamo un palazzo con un obiettivo grandangolare dal basso verso l’altro, le linee verticali del palazzo tenderanno a diventare oblique e quindi convergere in un unico punto, che è esattamente quello su cui si concentrerà il nostro sguardo.

In secondo luogo, il grandangolo allarga il nostro campo visivo, pertanto ci permette di vedere più dettagli all’interno di una cornice e di catturare più elementi relativi al contesto in cui lo scatto è stato effettuato.

Tutte caratteristiche che si rivelano preziose quando vogliamo offrire una visione il più possibile ampia di un paesaggio, ma che, se viene adottata per immortalare dei primi piani a portata di braccio, non ci restituiscono altro che: fronti enormi, occhi che si trasformano in dischi, nasi sporgenti e bocche praticamente invisibili. Dei ritratti a dir poco inquietanti.

Ma è proprio qui che risiede il divertimento e ciò che dà origine alla viralità del gesto.

Nel poter contrapporre una immagine non costruita e ridicola ad un selfie in posa con filtri che rendono ormai i ritratti tutti identici. Apparire “distorted and crazy”, come riportato dall’articolo del New York Times sul fenomeno, anziché ormai tutti uguali.

Che si tratti di una tendenza che cerca di prendere le distanze dal conformismo visivo a cui i social ci hanno abituato, mi sembra scontato. Come, in questo senso, e come per tutte le tendenze che diventano virali facilmente, non sarà facile dire quanto tempo andrà di moda.

Ma vorrei provare a prendere spunto da questa esperienza per provare a fare un discorso più ampio e che ci costringe a prendere una posizione sul ruolo della fotografia di domani.

Sperimentazioni per nuovi orizzonti di senso

Mauro Zanchi, nella sua ultima pubblicazione, “La fotografia come medium estensibile”, 2022[2], riflette sul futuro del medium fotografico; sulla lunga lista delle sue potenzialità ancora inespresse.

Nel testo, stimolante da più punti di vista, l’autore lamenta una stagnazione dell’evoluzione del mezzo fotografico che si è limitata, ad oggi, ad un continuo rinnovamento del linguaggio, ma non all’apertura del mezzo verso nuovi orizzonti di senso.

Scrive Zanchi (21-23): “Le nuove tecnologie hanno solo accelerato il processo di rinnovamento del linguaggio fotografico. […] Ma siamo ancora molto distanti da un’oltre-fotografia, ovvero da una via per comprendere più in profondità la nostra natura e i nostri sviluppi futuri. […] È necessario andare oltre la post-fotografia, oltre la furia delle immagini che già esistono – già scattate, prodotte, trovate, accumulate, ritagliate, classificate, archiviate -, e rivedere l’immagine, il suo potere evocativo, le sue latenze, ampliando i confini, dilatando le sue qualità profetiche, indagando anche le tracce di una realtà visibile e invisibile al contempo”.

Zanchi si riferisce al fatto che, ad oggi, nonostante i grandi cambiamenti avvenuti nello studio e nell’analisi delle immagini, usiamo e sfruttiamo la fotografia per lo più per testimoniare l’esistenza di referenti reali, mentre potremmo estendere il medium oltre le sue capacità essenziali e usarlo per comprendere ciò che non possiamo vedere e possiamo solo intuire.

La fotografia, estendendo le sue potenzialità anche grazie all’ibridazione con altri media, potrebbe (e dovrebbe, sembrerebbe suggerire Zanchi) farci addentrare nei meccanismi percettivi di una immagine e anche nel suo processo di produzione, a volte solo mentale ed intuitivo e, quindi, per molti versi enigmatico e casuale.

Il riferimento, nel testo, si spinge verso le trasmissioni telepatiche delle immagini e l’imagotelepatia, cose che non ci interessano qui, eppure non mi è sembrato essere del tutto sconveniente pensando all’uso del medium da parte della Generazione Z.

Cosa vogliono dirci questi ragazzi mostrandosi deformati, brutti e irriconoscibili nei gruppi e sui social? Di sicuro vogliono essere divertenti, ma questo lo fanno già mettendosi in pose improbabili e sfoggiando delle smorfie poco naturali all’obiettivo. Mentre fissano l’obiettivo.

Gli 0.5 selfie sono frutto del caso. I tratti delle persone rappresentate sono irriconoscibili, ma non per loro scelta. Spesso, per loro stessa ammissione, questi ragazzi dicono di controllare i loro selfies molto tempo dopo averli scattati. O addirittura a volte di pubblicarli senza neanche controllarli. Ciò che si vede non è reale, ma è qualcosa che il caso ha reso tale.

Come se la casualità dello scatto riuscisse a tirare fuori parti di loro, a loro stessi sconosciute e impossibili da conoscere perché rese visibile e quindi reali solo dal mezzo tecnologico. Ad assumere valore sono i dettagli, su cui il nostro sguardo punta perché amplificati dallo strumento.

Conclusioni

Gli 0.5 selfies ci restituiscono delle immagini il cui ordine di lettura non è imposto dal produttore, ma da un gesto fatto a caso. Essi ci impongono un nuovo punto di vista e di soffermarci su nuovi significati che non possono essere legati all’io di chi scatta, ma alla sua relazione con l’altro e con il contesto.

In questo senso, mi sembra colgano una scintilla di quella estensione del medium auspicata da Zanchi e sulla quale concordo. Nel loro forzare la percezione e nel mostrarci come reale qualcosa che invece va oltre. Ogni volontà e intenzione.

Che gli 0,5 selfie siano il preludio di qualcos’altro? Il segnale che la fotografia sia davvero un medium che ha ancora molti aspetti da esplorare?

________________________________________________________________________________

Bibliografia

R.Barthes, “La Chambre claire. Note sur la photographie”, trad.it., “La camera chiara. Nota sulla fotografia”, Torino 1980

R.Falcinelli, “Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram”, Einaudi, Torino 2020

Note

  1. “The rise of the 0.5 Selfie”, New York Times 23.06.2022 https://www.nytimes.com/2022/06/23/technology/0-5-selfie.html
  2. M.Zanchi, “La fotografia come medium estensibile”, Postmedia books, Milano 2022

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