Competenze

Skills Strategy, questi i punti di forza e deboli dell’Italia

Le imprese italiane si stanno muovendo per sviluppare una cultura digitale, ma per il momento si tratta ancora di interventi di formazione non sistematici e insufficienti per affrontare le nuove sfide, che richiederebbero investimenti più significativi da parte del sistema produttivo

Pubblicato il 01 Nov 2017

Enrico Martini

ministero dello Sviluppo Economico

Skills

Il Rapporto diagnostico OCSE per una “Skills Strategy” italiana, presentato a Roma il 5 ottobre dal Segretario Generale Ángel Gurrìa alla presenza dei rappresentati del Governo, identifica molto chiaramente i punti di forza e le criticità del nostro sistema, in un contesto globale caratterizzato da profonde e rapidissime trasformazioni. Esso contribuisce a delineare (e a mettere fra le priorità dell’agenda politica) una strategia nazionale sulle competenze multidimensionale e sistemica, che individua nella qualità del capitale umano un fattore chiave di sviluppo competitivo per il nostro Paese.

Le riforme implementate dagli ultimi Governi, dal Piano Scuola Digitale all’Alternanza Scuola Lavoro, dallo Jobs Act fino al Piano nazionale Industria 4.0, hanno messo al centro la modernizzazione del tessuto industriale e del mercato del lavoro e le misure necessarie su ricerca, investimenti, formazione e potenziamento delle conoscenze,fornendo un quadro chiaro della direzione verso cui lavorare e degli obiettivi di medio-lungo termine a cui mirare, soprattutto in termini di occupabilità di giovani e meno giovani.

Il Governo nell’ultimo anno ha operato con decisione per stimolare gli investimenti delle imprese in tecnologie altamente innovative, nella consapevolezza che l’utilizzo delle tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 possa costituire un volano per la competitività del nostro tessuto produttivo, soprattutto per le PMI, anche se la loro applicazione e diffusione è ancora limitata.

L’OCSE riconosce che il Piano nazionale Industria 4.0 può svolgere un ruolo decisivo nel rafforzare la domanda di competenze, aiutando soprattutto le piccole imprese a diventare più attente alle competenze.

Come è noto, infatti, la seconda direttrice del Piano Industria 4.0 prevede la diffusione di una cultura 4.0 lungo l’intero ciclo formativo, dalla scuola all’università, dagli istituti tecnici superiori ai corsi di dottorato, nonché il rafforzamento delle strutture di trasferimento tecnologico.

Ritornando al Rapporto OCSE, uno dei problemi chiaramente emersi, relativo al nostro mercato del lavoro,è legato al tema del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro particolarmente acuto per i giovani appena usciti dai percorsi formativi: il paradosso è che le aziende che si dicono pronte ad assumere fanno fatica spesso a trovare i giusti profili professionali.

Oggi la domanda di lavoro si sta trasformando a grande velocità e le abilità richieste sono sempre più articolate e complesse. Serve quindi diffondere a tutti i livelli una cultura più aperta e competente nel digitale e nel sapere scientifico (sulle competenze STEM), serve potenziare la formazione specialistica e tecnica (ad esempio l’analisi dei dati e le competenze nelle scienze computazionali), potenziando al contempo le cosiddette soft skills: creatività, managerialità, capacità di risolvere problemi in contesti tecnologicamente sempre più complessi.

Ciò comporta una revisione, anche profonda, dei nostri percorsi educativi a ogni livello e con particolare riguardo alla formazione terziaria professionalizzante dove scontiamo un ritardo molto significativo, per non parlare dell’esigenza di potenziare le politiche attive del lavoro, la formazione continua, il training on the job, e di costruire meccanismi di certificazione delle competenze per rafforzare la posizione del lavoratore in un mercato sempre più dinamico.

Un altro paradosso è quello che riguarda l’allocazione non ottimale delle competenze: il Rapporto giustamente evidenzia che l’Italia è il Paese tra i G7 con il più elevato utilizzo di persone altamente qualificate in attività di routine. Anche questo è un elemento di criticità che merita una riflessione perché vuol dire che anche laddove le competenze ci sono, non sono utilizzate in maniera ottimale.

Nell’immediato, è particolarmente urgente valorizzare la formazione che si svolge in azienda.

Le aziende italiane, soprattutto piccole e medie, devono attivare strategie adeguate ad accogliere e accompagnare il cambiamento. Se infatti all’interno delle aziende ormai si investe in tecnologie dell’Industria 4.0, anche grazie ai nuovi incentivi, è richiesto contestualmente ai dipendenti e collaboratori di acquisire nuove competenze. In tale ambito l’OCSE evidenzia tra le aree di intervento prioritarie: il riconoscimento di premialità ai lavoratori che si formano in maniera autonoma, e l’utilizzo di incentivi salariali o bonus collegati alla produttività dei lavoratori affinché questi ultimi siano stimolati a sviluppare le proprie competenze.

Le imprese italiane si stanno muovendo per sviluppare al proprio interno, tra i propri lavoratori, una cultura digitale, ma per il momento si tratta ancora di interventi di formazione non sistematici e insufficienti per affrontare le nuove sfide, che richiederebbero, per accelerare il cambiamento, investimenti più significativi da parte del sistema produttivo.

Negli anni della crisi si è registrata,invece, una riduzione piuttosto marcata delle ore di formazione aziendale, che ha interessato soprattutto i corsi in tecniche e tecnologie di produzione.

Per tale motivo il Governo ha lavorato a un incentivo fiscale per la prossima Legge di Bilancio dedicato al personale aziendale che ha sostenuto corsi di formazione su selezionate tematiche e competenze attinenti ad Industria 4.0.

Come è stato fatto negli ultimi anni e come è suggerito dall’OCSE, bisogna anche continuare a favorire un salario maggiormente basato sulla produttività e sulle prestazioni di ciascun lavoratore, aspetti collegati alla capacità dell’impresa di utilizzare al meglio le competenze.

Il Rapporto diagnostico ribadisce, infine, che l’andamento deludente degli ultimi decenni della crescita della nostra produttività è in buona parte ascrivibile a una struttura produttiva basata su piccole e medie imprese.

E’ anche vero che, data la distribuzione delle produzioni derivante dalla globalizzazione e da Industria 4.0, le PMI possono cogliere l’opportunità di interconnettersi e dunque collegarsi a catene del valore internazionali, recuperando produttività e quote di mercato.

In un’ottica di diffusione dell’innovazione e della conoscenza, si sta lavorando alla creazione di pochi e selezionati Competence Center nazionali su ambiti tecnologici specifici e complementari, con il forte coinvolgimento di poli universitari di eccellenza e grandi player industriali privati, in grado di esercitare una funzione di supporto alla sperimentazione e applicazione di soluzioni tecnologiche e di percorsi formativi a favore del tessuto di Piccole e Medie Imprese.

Tali centri saranno affiancati da una rete di Digital Innovation Hube Punti Impresa Digitale che copre l’intero territorio nazionale: una sorta di primo punto di contatto tra imprese, ecosistema della ricerca e dell’innovazione, con un ruolo di supporto nelle attività di valutazione tecnologica e di indirizzamento verso le più opportune competenze.

Il Rapporto OCSE per quanto diagnostico fornisce utili indicazioni per fare in modo che i diversi interventi messi in atto in questi anni in Italia possano trasformarsi in una vera e propria strategia Paese in grado di fare dell’investimento nelle competenze un leva di nuova competitività e avanzamento sociale.

Le politiche che riguardano i pilastri delle competenze analizzati dal rapporto possano avere un respiro ampio solo in presenza di una governance che coinvolga sempre di più in modo strutturato e sistematico tutte le Amministrazioni interessate, a livello nazionale e regionale, come auspicato anche dagli stakeholders che hanno partecipato al progetto.

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