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Social 3.0 e blockchain, è questo il futuro? Potenzialità e dogmi da scardinare

Le piattaforme hanno generato miliardi di fatturato e profitti con i contenuti degli utenti, che però vengono considerati come un prodotto. I social 3.0 hanno le potenzialità ma devono trovare soluzioni efficaci per creare alternative sostenibili ai modelli 2.0

Pubblicato il 22 Giu 2022

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

social net

Oggi creare un social network è molto più complicato di quanto non sarebbe se i dati e i contenuti degli utenti fossero agevolmente esportabili da una piattaforma all’altra. La regolamentazione è troppo lasca e non garantisce vera competitività.

I social 3.0 – ce ne sono e ne stanno nascendo diversi – basati su blockchain hanno gli ingredienti ma sembra che ancora non riescano ad allinearli nel modo corretto.

Ma quali sono le potenzialità del nuovo modello decentralizzato e in che modo la querelle tra Elon Musk e Twitter ha fatto da detonatore al dibattito?

Un social diverso è possibile? Le opportunità di web 3.0 e metaverso

La visione di Musk e i dogmi della rete

Il dibattito scatenato dalla proposta di acquisizione di Elon Musk su Twitter riguarda il ruolo che le piattaforme hanno nelle nostre vite (ruolo evidentemente molto importante, visto che lo stesso dibattito avviene per lo più all’interno dei social) e che si muove all’interno di quattro dicotomie:

  • libertà di espressione contro controllo,
  • centralizzazione contro decentralizzazione delle decisioni,
  • visibilità contro remunerazione,
  • modelli di business basati su advertising contro modelli basati sul pagamento di un abbonamento.

Se analizziamo i principali social (Twitter, Facebook, Instagram, YouTube) rispetto a queste dicotomie emerge chiaramente che la prima opzione di ciascuna dicotomia è quella dominante. I social oggi tendono ad esercitare un controllo e una supervisione sui contenuti pubblicati, prendono decisioni rilevanti negli headquarter, hanno modelli remunerativi per gli utenti e i content creator decisamente primordiali, preferendo erogare visibilità piuttosto che denaro. E infine sono senza eccezione basati sull’advertising dal punto di vista dei propri ricavi. La miccia di Musk è stata semplicemente il mettere in discussione questo dogma.

La vision che Musk ha di Twitter scombina gli elementi: dal punto di vista della circolazione dei contenuti, Musk sembra sostenere una politica maggiormente improntata al free speech e dal punto di vista del modello di business è fortemente scettico sulla dipendenza totale dall’advertising che invece caratterizza tanto Meta quando Alphabet (Google).

Intellettuali Dem, progressisti e democratici europei hanno attaccato Musk, accusandolo di prendere le parti del complottismo antitecnologico – lo stesso che aveva votato Trump. Ma probabilmente hanno omesso, o forse dimenticato, che la maggior parte dei punti sollevati da Musk sono alla base del nuovo web3.0, un arcipelago ancora confuso di teorie, piattaforme e tecnologie che vanno dalla blockchain alle criptovalute, dalle organizzazioni decentralizzate (DAOs) ai marketplace NFT. Ma che ambisce a sostituire il cosiddetto web 2.0

L’attacco ai social – così come sono ora – non è frutto delle bizzarrie di Elon Musk. Anzi l’imprenditore è una sorta di ponte tra il nuovo e il vecchio modello. Nel 2020, il docufilm The Social Dilemma aveva iniziato a scavare intorno ai meccanismi attraverso cui le multinazionali dei social generano dipendenza negli utenti. E solo due anni prima, la sociologa Shoshana Zuboff nel libro “Il Capitalismo della Sorveglianza” aveva aperto il vaso di pandora dell’economia dei Big Data. Possiamo discutere di tutto. Ma un fatto è certo, sui social il prodotto siamo noi. Questo può andarci bene o meno. Ma il fatto è di per sé evidente: agli inserzionisti, il prodotto che viene venduto, siamo noi, i nostri interessi e i nostri modelli di comportamento.

Il web 3.0 e la decentralizzazione dei social

Se scaviamo sotto qualche strato di ingenuità tecnologica e tanta-troppa speculazione finanziaria, il web 3.0 si sta equipaggiando per affrontare il grande tema dei social da un punto di vista completamente diverso, prediligendo le seconde opzioni delle 4 dicotomie.

Il web 3.0 nasce come progettualità sulla scorta della blockchain e quindi ha nel DNA la logica della decentralizzazione. Questo è dirompente nel mondo dei social. Qualche anno fa, Facebook aveva annunciato il “social graph” cioè la sua piattaforma di analisi dati che permette di analizzare l’albero sociale di ogni utente al fine raccomandargli sulla base di tale conoscenza contenuti, persone, pagine e prodotti promozionali. C’è voluto un po’ di tempo prima che ci si chiedesse: hey Marc, quei dati sono personali. Chi ti ha autorizzato a costruire, studiare e analizzare il mio albero sociale? Evitiamo subito le confusioni: sono gli utenti che hanno autorizzato quelle analisi.

Ma restano aperte le domande più generali: tutto questo è e dovrebbe essere lecito? Viene generato valore per la società e l’utente stesso?

Il tema della creazione di spazi pubblici di discussione è molto sentito nel mondo web 3.0. I social hanno privatizzato la sfera del pubblico (discussioni politiche, informazione sull’attualità, approfondimento). Hanno sostituito le piazze. Ma le piazze sono pubbliche, mentre i social sono privati e di proprietà nello specifico di pochi oligopoli.

Ecco perché è ambigua la pur interessante proposta di Elon Musk. Il fatto che un miliardario possa comprarsi un social e definire in autonomia le regole di discussione per centinaia di milioni di persone non rappresenta un passo in avanti nel percorso di democratizzazione e decentralizzazione che oggi stiamo aspettando con grandi aspettative: anche se le idee di Musk sembrano più promettenti di chi lo ha preceduto.

OriginalTrail, la blockchain per social distribuiti

OriginTrail è una startup slovena, che utilizzando tecnologia blockchain sta costruendo un “knowledge graph” distribuito. La blockchain non è nata per gestire i dati degli utenti e così OriginTrail sta aggiungendo un layer interessante a quello che si può fare con la blockchain. L’obiettivo è creare un database distribuito, ma sicuro e compliant dal punto di vista della privacy che permetta di costruire social network in cui gli alberi sociali degli utenti non vengono caricati sul server dell’azienda che realizza la piattaforma. La quale non può accedere alle informazioni personali. Ma allo stesso può continuare a fornire contenuti personalizzati e adatti alle caratteristiche dell’utente, tramite una forma decentralizzata di distribuzione dei contenuti. OriginTrail non è di per sé un social network, ma una sorta di blockchain su cui potranno essere costruiti social network decentralizzati, con codice sorgente open source, senza sorveglianza sugli utenti e ospitati su server distribuiti.

Minds il primo social network open source e pubblico

Lanciato nel 2015 Minds è il primo social network open source e pubblico. A differenza di altri social web 3.0, Minds non è un social basato su blockchain. Sebbene sposi pienamente la filosofia open source. Le pagine di Minds, al contrario di quelle di molti altri social alternativi, non sono vuote. Ma è difficile capire se la piattaforma possa crescere e raggiungere numeri interessanti.

Social 3.0: quale modello di business?

Non è chiaro il modello di business e non è nemmeno chiaro quale è l’incentivo degli utenti.

Questo è un grande tema per chi sviluppa progetti web 3.0. Da un lato gli alberi sociali e i contenuti risiedono nei server delle multinazionali digitali e di conseguenza per un utente l’attivazione di un nuovo social è una sorta di ripartenza da zero. Dall’altro i social network sono cresciuti grazie alla promessa di uno spazio di espressione completamente gratuito. Nel claim di marketing, mancava la scritta in piccolo: su tutti i dati e i contenuti che vengono pubblicati viene irrevocabilmente autorizzata la piattaforma a farne quello che vuole. Questa situazione, da un punto di vista tecnico, si può descrivere come una posizione di dominanza.

I token armi potentissime del web 3.0

Il web 3.0 dispone però di strumenti che una volta trovata la chiave giusta e l’interpretazione adeguata potrebbero trasformarsi in armi digitali potentissime: i token. I nuovi social, basati su blockchain, possono emettere token con specifiche caratteristiche. Alcuni potrebbero permettere agli utenti di venire remunerati in maniera proporzionale ai propri contenuti. Oppure di avere specifici diritti di voto su scelte del prodotto. Oppure infine la società potrebbe emettere token di proprietà, che permetterebbero agli utenti di avere piccole “quote azionarie” della piattaforma.

Steemit

Una delle piattaforme più avanzate da questo punto di vista è Steemit, un social network basato su blockchain in grado di emettere un criptovaluta (STEEM) e costruito come una DAO (decentralized autonomous organization). Gli utenti attraverso le loro azioni sul social guadagnano STEEMs che possono poi rivendere sugli exchange di criptovalute e poi convertirli in valute correnti. Ci sono oltre 1 milione di utenti registrati su Steemit, ma risultano soltanto 85.000$ girati alla community. In pratica il progetto non sta decollando. In effetti zigzagando sul sito ci si rende conto che la qualità dei contenuti è bassa. Si tratta perlopiù di foto e testi per contest. Qualcosa manca per trasformare Steemit in un progetto di successo. La logica degli incentivi è quella che fa la differenza. La blockchain nasce dall’intuizione di Satoshi Nakamoto che se si incentiva la community dei miners a validare solo le transazioni corrette, tramite lo sblocco di bitcoin, tutto il sistema ne trae vantaggio. L’inventore dei bitcoin aveva trovato un incentivo che allineava gli interessi del sistema all’interesse delle sue parti, favorendo in questo modo un circolo virtuoso di azioni positive.

Conclusioni

È evidente che la strada è segnata. Una volta scoperto l’inganno non si può tornare indietro. Le piattaforme hanno generato miliardi di fatturato e profitti con i contenuti degli utenti, ma allo stesso tempo proseguono a prendere decisioni in maniera centralizzata, continuando a considerare gli utenti come un prodotto e ad esercitare il diritto di proprietà sui contenuti creati e caricati dalle persone.

Il web 3.0 solleva questioni importanti. E ha tutte le ragioni per farlo. Ma deve trovare soluzioni efficaci per creare alternative sostenibili ai social 2.0

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