l'analisi

Strategia italiana sull’IA, l’impatto su Università e Ricerca

La strategia per l’Intelligenza Artificiale presentata dal Governo solo formalmente sembra ispirata dalla necessità di dare gambe nazionali alle politiche UE. C’è il rischio di una allocazione opaca dei fondi. Un esempio è dato dalle modalità di destinazione dei fondi al mondo dell’Università e della ricerca. Vediamo perché

Pubblicato il 10 Dic 2021

Franco Pizzetti

professore emerito diritto costituzionale all'Università di Torino, ex Garante Privacy

L'AI rende funzionale il lavoro senza violare la privacy

Se prendiamo in considerazione il Programma strategico sull’intelligenza artificiale adottato dal Governo italiano, non possiamo non constatare che esso si presenta molto generico e basato essenzialmente su un impianto metodologico molto datato.

La stessa parte che più avrebbe potuto essere approfondita, e cioè quella relativa all’implementazione delle conoscenze digitali e delle discipline STEM, indicando e sviluppando programmi di formazione e di ricerca innovativi, è affermata come uno degli obbiettivi da raggiungere ma senza specificare né in che modo, né attraverso quali iniziative concrete, né con quali costi.

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Strategia italiana sull’IA: una metodologia da modificare con urgenza

In sostanza, e questa è già una critica di fondo che pare di poter fare al Programma in questione, siamo in presenza di un documento ancora essenzialmente metodologico, basato su un approccio di tipo programmatico, certamente utile per far capire la direzione nella quale il Governo intende muoversi nell’uso delle ingenti risorse assegnate all’Italia per incrementare la conoscenza digitale, la ricerca scientifica nelle materie STEM, la cooperazione tra centri di ricerca e anche l’evoluzione tecnologica e produttiva nel campo della IA. Tuttavia, e questo è il punto importante, si tratta sempre e soltanto di un Programma metodologico che dedica troppa poca attenzione alla indicazione di azioni concrete di attuazione degli obbiettivi indicati.

Il compito di passare dalla fase metodologica a quella operativa sembra affidato al Comitato Interministeriale per la transizione tecnologica più ancora che al Consiglio dei ministri.

In sostanza, se vogliamo indicare con chiarezza gli effetti del Programma italiano possiamo dire che su un punto essenziale come quello relativo all’intelligenza artificiale, e in generale all’incentivo dell’utilizzazione delle tecnologie digitali nella nuova “data driven economy” l’Italia si è per ora dotata, anche per corrispondere alle richieste che accompagnano l’assegnazione degli ingenti quantitativi di risorse del Recovery fund in materia digitale, di un piano essenzialmente di metodologia generale, privo di indicazioni concrete e operative, che istituisce nuove sedi di governance concorrendo alla moltiplicazione e, forse, anche alla sovrapposizione delle sedi decisionali italiane in materie di utilizzazione delle risorse europee in un settore essenziale quale è la modernizzazione digitale del Paese e del suo sistema economico, di istruzione e di ricerca.

Questa metodologia appare rischiosa e forse da modificare con urgenza.

Il rischio di una allocazione opaca delle risorse del PNRR

Il rischio maggiore e più pericoloso è quello di rendere inevitabilmente opaca la allocazione delle risorse relative al Recovery fund nei settori indicati.

Si tratta peraltro di un rischio che, per un verso, coinvolge una parte ampia e importante delle risorse a disposizione e che, per un altro verso, sembra riguardare un metodo che forse minaccia di essere adottato anche in altri settori.

Quello che è certo è che questo sistema, che comporta un grado elevato di opacità proprio per la complessità della governance che richiede, allo stesso tempo, anche per la genericità della metodologia dottata nell’analisi delle necessità alle quali si vuole far fronte e delle modalità che si vogliono adottare a tale scopo, rischia di accentuare le difficoltà del Governo di costruire un rapporto chiaro col Parlamento e con la sua stessa maggioranza rispetto all’uso delle risorse assegnate dal Recovery fund accentuando così le difficoltà del governare in un momento così delicato.

A questo si deve poi aggiungere che il metodo qui ricostruito comporta inevitabilmente un grado elevato di rinvio a cascata dei processi decisionali necessari per la allocazione concreta delle risorse con la conseguenza ulteriore di facilitare, o comunque di lasciare il campo aperto a, un’attività di lobbying di grandi dimensioni, sostenuta anche dagli ingenti mezzi a disposizione delle imprese interessate soprattutto nell’ambito degli OTT e dei Gatekeeper telematici, con la ulteriore conseguenza di esasperare il dibattito politico, di accrescere le difficoltà di governo complessivo delle ingenti risorse a disposizione, e di accrescere la diffidenza degli operatori di settore nell’operato delle istituzioni con evidente e conseguente distacco del rapporto tra sistema economico e produttivo, operatori della ricerca, formatori delle nuove generazioni e decisori politici.

La destinazione dei fondi al mondo dell’università e della ricerca: le linee guida del Miur

Un primo esempio di quanto si sta segnalando è dato dal modo col quale si è operato per la destinazione al mondo universitario e della ricerca dei fondi da destinare appunto sia alla ricerca che alla formazione degli studenti nelle materie STEM.

La vicenda ha avuto inizio con le Linee Guida definite dal MIUR con il contributo consultivo di un “Supervisory board” non previsto nel Programma sull’Intelligenza Artificiale ma istituito ad hoc dal Ministro Messa.

Queste Linee Guida hanno fornito alle Università informazioni chiave per partecipare a bandi o presentare manifestazioni di interesse rispetto a investimenti per 6 miliardi di euro nei prossimi 5 anni, finalizzati a finanziare gruppi di ricerca in filiera.

Le Linee Guida di cui si parla riguardano finanziamenti per circa 60 progetti.

Si tratta dei finanziamenti relativi ai trasferimenti delle risorse PNRR dalla Commissione europea ai destinatari finali che si snodano, secondo quanto chiarito dalle Linee guida, attraverso numerosi livelli decisionali che coinvolgono a cascata la Commissione, lo Stato membro, le Amministrazioni titolari di interventi PNRR, i soggetti attuatori e i soggetti realizzatori.

I pagamenti sono previsti su base semestrale e durano fino al 2026. Essi sono subordinati a indicatori specifici che le Linee Guida considerano “trasparenti”.

Tali indicatori riguardano quelli che sono definiti i “milestone” e cioè i traguardi, che devono essere risultati oggettivamente verificabili, associati a scadenze temporali specifiche e individuati e verificati in modo affidabile, fattuale e preciso. Accanto ai “milestone” devono essere indicati i target, e cioè gli obbiettivi. Questi, a loro volta, devono indicare risultati quali-quantitativi basati su indicatori che consentano la verifica e la prova di progressi continui.

Quelle richiamate sono, secondo le Linee Guida, le Misure della Componente 2 “Dalla ricerca all’impesa” che, a loro volta, fanno parte della Missione 4 “Istruzione e ricerca” del PNRR.

Requisiti generali di queste misure sono che le attività programmate non comportino danni significativi all’ambiente; che promuovano “transizioni gemelle” quali la transizione verde e quella digitale; che abbiano come obbiettivo anche superare la disparità territoriale (40% delle risorse devono essere destinate al Mezzogiorno), superare la disparità di genere (40% del personale a tempo determinato deve essere di genere femminile e il 40% delle borse deve essere destinato a ricercatrici), mentre deve essere garantito il coinvolgimento di ricercatori/ricercatrici che hanno il dottorato da meno di dieci anni e l’attrazione di giovani ricercatori di Paesi UE e non UE.

Sempre secondo queste Linee Guida, inoltre, sono previsti i cosiddetti “partenariati estesi” ai quali possono essere destinati da 80 a 160 milioni di euro per programma.

Rientrano tra i “partenariati estesi”, che possono essere proposti, le “reti diffuse” di Università, enti pubblici di ricerca e altri soggetti pubblici e privati nel campo della ricerca che siano riconosciuti come altamente qualificati. Questi soggetti, per poter essere coinvolti in “partenariati estesi”, devono essere organizzati in consorzi secondo il modello “Hub & Spoke” (una tipologia organizzativa prevista dalle medesime Linee Guida) e devono riguardare almeno 10 grandi programmi di ricerca fondamentale o/e applicata trasversale. Per ogni programma devono essere previsti tra gli 80 e i 160 milioni di euro.

I partenariati, a loro volta, devono avere come oggetto una tra le tematiche indicate nelle stesse Linee Guida. Si tratta di 15 tematiche che vanno dall’Intelligenza Artificiale fino alle Attività spaziali e comprendono gli “Scenari energetici per il futuro”, i “Rischi ambientali e antropici” le “Scienze e tecnologie quantistiche” e altri 11 sotto-settori di molto varia denominazione.

Sono poi previsti, sempre nelle Linee Guida in esame, i “Centri Nazionali” ai quali possono essere destinati dai 200 ai 400 milioni di euro per programma. Anche i Centri Nazionali sono “reti diffuse” di Università, enti pubblici di ricerca, altri soggetti pubblici o privati impegnati in attività di ricerca che siano riconosciuti come altamente qualificati.

Anche questi Centri devono essere organizzati in fondazioni e consorzi secondo il modello “Hub & Spoke” e per ogni programma può essere previsto un finanziamento tra i 200 e i 400 milioni di euro.

I Centri Nazionali devono sviluppare la loro ricerca intorno a 5 tematiche individuate dalle Linee Guida che vanno dalla “Simulazione, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni” fino alla “Mobilità sostenibile” e alla “Bio-diversità”.

Vi sono poi gli “Ecosistemi dell’Innovazione” definiti come “reti diffuse di Università, enti pubblici di ricerca, enti pubblici territoriali e altri soggetti privati impegnati in attività di ricerca e riconosciuti come altamente qualificati”.

Anche questi Ecosistemi devono essere organizzati in Consorzi secondo il metodo “Hub & Spoke” e possono arrivare fino al numero di 12. Per ciascuno di essi è previsto un finanziamento tra o 60 e i 120 milioni di euro e devono garantire di svolgere un “ruolo cruciale nella redazione e promozione del territorio”. Per questi centri le Linee Guida non indicano tematiche predefinite, limitandosi a chiedere che essi operino secondo un approccio “orientato alle grandi sfide, alla creazione di innovazione di impatto e a promuovere l’imprenditorialità”. Solo vincolo è che il 40% delle spese sia orientato al settore digital.

Infine, sono previste le “Infrastrutture di ricerca e Tecnologiche di Innovazione” anche se rispetto a queste non si definisce un investimento previsto. Ci si limita a dire che queste Infrastrutture potranno essere fino a 30 e dovranno essere organizzate nella forma del Partenariato Pubblico/Privato. L’investimento per ciascuna iniziativa può arrivare fino al 40% dell’investimento totale e dei costi di esercizio. Lo scopo deve essere quello di “aumentare le competitività nella attività di ricerca e sviluppo tecnologico dell’industria e dei servizi di pubblica utilità”.

Le procedure di selezione

È chiaro che rispetto a queste Linee Guida, anche per il modo col quale sono organizzate, diventano essenziali le procedure di selezione previste.

A questo tema è dedicata, infatti, molta attenzione ma, in sostanza, ci si limita a specificare che le selezioni devono avvenire su base competitiva e che i criteri per la selezione dei progetti, da specificare nei bandi, devono essere ispirati a: qualità scientifica, coerenza e ambizione dei progetti; qualificazione scientifica dei soggetti proponenti; massa critica dei gruppi proponenti; prospettiva di impatto a lungo termine; ricadute nazionali sul sistema economico e produttivo sociale e culturale del Paese; chiarezza del piano di attività, credibilità della scansione temporale prevista e cantierabilità.

Si precisa, inoltre, che la procedura di selezione deve avvenire in due fasi: a) manifestazione di interesse; b) proposta integrale. La manifestazione di interesse deve contenere una progettazione di massima e comporta una verifica formale, una valutazione di merito e, infine, la selezione delle manifestazioni di interesse invitate alla fase successiva.

La fase successiva riguarda la proposta integrale e consiste in una valutazione definitiva che individua le proposte con punteggio più alto da finanziare.

Infine, le Linee Guida precisano che per ogni bando Università/EPR e altri soggetti pubblici proponenti possono presentare una sola candidatura per tematica.

La procedura di selezione deve definire i criteri di valutazione relativi alla qualità scientifica, alle caratteristiche e alle modalità di realizzabilità e controllo, all’impatto del programma.

Inoltre, le Linee Guida specificano che deve esse istituito un “Servizio centrale presso il MEF con compiti di coordinamento, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR”. Questo Servizio si interfaccerà con il Servizio centrale per il PNRR per fornire flussi informativi adeguati in merito allo stato di avanzamento fisico e finanziario degli interventi e al fine di attivare i circuiti finanziari per il trasferimento delle risorse ai soggetti attuatori.

Per il supporto delle attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo delle componenti del Next Generation EU, il MEF istituirà e renderà disponibile un ennesimo “Apposito Sistema Informatico: il ReGIS”.

Sono poi definiti i circuiti finanziari di cui si è già detto che prevedono in modo scalare l’intervento della Commissione verso lo Stato membro, del MEF verso le Amministrazioni titolari degli interventi del PNRR e, infine, il rapporto tra il MUR e i soggetti attuatori.

Gli effetti delle Linee Guida e delle modalità di attuazione del PNRR sul mondo universitario

Non è difficile immaginare gli effetti che queste Linee Guida e le modalità di attuazione del PNRR nel mondo universitario comportano, piombando su un sistema che ha già le sue modalità per organizzare la ricerca interna, la formazione dei ricercatori e la ripartizione delle risorse e che si trova ora a mediare tra leggi e vincoli di settore da tempo vigenti e nuove Linee Guida, accompagnate dall’istituzione di nuovi centri di controllo senza che siano sufficientemente specificate le modalità di attuazione e di controllo e, soprattutto, il rapporto tra la legislazione precedente, peraltro tuttora in vigore, e queste nuove linee metodologiche che in larga misura sembrano rimettere alle Università stesse la scelta di come darvi attuazione.

Il risultato allo stato attuale, per quanto è dato sapere, sembra essere quello di determinare impressionanti fenomeni di accentramento e, soprattutto, di verticalizzazione delle decisioni: il contrario dell’elasticità dei programmi e della responsabilità dei ricercatori che invece le Linee Guida e il PNRR sembrava voler promuovere.

In tanta incertezza non stupisce poi che il PNRR e la sua attuazione diventino nuova fonte di tensione e di scontro nell’ambito delle nostre tradizionali strutture di ricerca scientifiche e universitarie: il che certo non favorisce la collaborazione pubblico/privato, né aumenta e vitalizza la disponibilità delle imprese a farsi coinvolgere nella progettazione e nella attuazione dei nuovi piani di ricerca.

Non può stupire, dunque, che in un contesto siffatto, sia le pressioni lobbistiche che le diffidenze del mondo scientifico e imprenditoriale siano destinate ad aumentare non agevolando certamente un’efficiente e pienamente positiva attuazione del PNRR e uso delle ingenti risorse in settori assolutamente strategici per la UE e per l’Italia.

Conclusioni

Si tratta ora di trarre alcune provvisorie conclusioni di quanto sin qui detto. Proprio l’esame di quanto sta avvenendo nel mondo della ricerca e della formazione universitaria, condotto attraverso l’esame dei documenti ufficiali del MIUR e dei soggetti istituiti dal Governo per dare attuazione all’uso delle risorse in questi settori, consente di dare ancora più fondamento alla preoccupazione, dalla quale siamo mossi, che il Programma strategico per l’Intelligenza Artificiale presentato dal Governo italiano solo formalmente sembra ispirato dalla necessità di dare gambe nazionali alla politica sull’Intelligenza Artificiale promossa dalla UE a partire dal Libro bianco del 19 febbraio del 2019 e, in generale, alle ambizioni e alle speranze che l’UE ha riposto nel lancio del PNRR per accelerare la capacità della UE di competere a livello globale nell’epoca digitale e nell’economia dei dati.

Diventa, invece, sempre più concreto il rischio, giù delineato in premessa, che proprio il Recovery fund, e le sue modalità di gestione, anche tenendo conto delle ingenti somme previste per l’Italia, rischi di aumentare le difficoltà del Governo e di rendere sempre più difficile un corretto rapporto non solo tra Governo e Parlamento, ma anche tra il Governo e la sua maggioranza parlamentare.

Forse sarebbe il momento giusto per una riflessione più approfondita sul Recovery fund e le sue modalità di gestione nel nostro Paese, anche in considerazione del rilievo che esso ha sia per l’Europa che per l’Italia.

Quanto poi all’intelligenza artificiale, è certo giunto il momento di andare oltre i documenti puramente esplicativi e metodologici per passare alla fase dei documenti operativi, che definiscono anche le modalità di attuazione della nuova tecnologia e indicano in questo modo anche un concreto e solido terreno di sviluppo per il nostro sistema imprenditoriale e produttivo.

Non poco tempo è già stato speso nel moltiplicare gli enti e le strutture giuridico-amministrative e nel programmare sempre nuove piattaforme e centri di calcolo, dei quali peraltro non abbiamo ancora indicazioni circa la realizzazione. Ora sembra davvero venuto il momento di un necessario e rapido “cambio di passo”.

Un cambio di passo che consiste nel passare dal prospettare e promettere, al progettare e fare, individuando anche le nuove strutture amministrative e di governo eventualmente necessarie per la nuova epoca.

Da questo punto di vista, è necessario che piani e progetti, nel cercare di approdare a una concretezza che finora sembra un poco mancare, sappiamo dare anche il necessario spazio alle riforme istituzionali e della Pubblica Amministrazione.

L’Intelligenza Artificiale così come la digitalizzazione della PA non richiedono solo nuove tecnologie ma anche un ridisegno delle strutture e delle relazioni tra i diversi soggetti coinvolti, a partire dagli utenti/consumatori per passare attraverso un sano e trasparente rapporto pubblico/privato e approdare, infine, a un ridisegno delle modalità e delle regole che presidiano i processi decisionali che l’Amministrazione digitale comporta e sulla base dei quali vanno progettate nuove procedure, nuove regole, e coerenti risorse tecnologiche e informatiche.

L’augurio è che tutto questo sia compreso rapidamente e tradotto in linee operative nuove ed efficaci perché in qualche modo ormai è la nostra stessa democrazia e la civiltà di matrice europea che è in ballo.

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