Il ruolo della scuola nella formazione integrale è cruciale, fin dalla primissima infanzia, ma serve un processo ben strutturato e assume particolare importanza in questo contesto l’alternanza scuola-lavoro.
Tutto questo alla luce del fatto che le soft-skill, o competenze trasversali, e le competenze digitali sono ormai riconosciute come fondamentali nel mercato del lavoro (lo sottolineano anche molte raccomandazioni dell’Unione europea), al pari delle competenze di base (hard skill).
Cosa sono le hard skill
Le hard-skill rappresentano quelle conoscenze e competenze tecniche necessarie per svolgere una determinata mansione lavorativa. Molti esperti suddividono le hard-skills in due macro categorie:
- Le competenze di base;
- Le competenze tecnico-professionali.
Alle competenze di base sono associati gli elementi fondamentali per ogni essere umano, quali l’alfabetizzazione numerica e quella matematico-scientifica.
La digitalizzazione della società ha comportato un ampliamento in relazione alle tecnologie informatiche e alla comunicazione nelle lingue straniere (entrambe definite spesso key skill).
Le competenze tecnico-professionali, di contro, sono quelle che mettono nelle condizioni di svolgere uno specifico lavoro; esse si acquisiscono essenzialmente nei percorsi di studio ma soprattutto tramite l’esperienza sul campo.
Le soft skill, o competenze trasversali
Le soft-skills (life skills, nel mondo anglosassone), al contrario delle hard-skills, non sono immediatamente osservabili e misurabili, in quanto determinano le caratteristiche intrinseche della persona: il talento, la capacità di interazione, la personalità, il problem solving, l’attitudine al lavoro di gruppo, lo spirito di iniziativa e così via.
Nelle competenze trasversali rientrano quindi non solo le doti relazionali, ma anche e soprattutto le capacità di gestire le varie situazioni in maniera adeguata, professionale e responsabile.
Esse rappresentano, paradossalmente, un nodo critico del mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro.
Per fortuna, secondo molti studiosi, tali competenze di tipo non cognitivo non sono blindate nel nostro io, ma sono il frutto di esperienze di vita e, soprattutto, possono essere sempre apprese anche in contesti formativi.
La Commissione Europea in uno studio sulle soft skills nel mondo del lavoro, le ha suddivise in 5 categorie:
Skills di efficacia personale
Self control, resistenza allo stress, autostima, flessibilità, creatività, apprendimento permanente.
Skills relazionali e di servizio
Comprensione dei rapporti interpersonali, orientamento al cliente, cooperazione con gli altri, comunicazione.
Skills relative a impatto e influenza
Capacità di coaching (sviluppo degli altri), capacità persuasive, consapevolezza organizzativa, leadership.
Skills orientate alla realizzazione
Orientamento al risultato, interesse per l’ordine e la qualità, spirito di iniziativa e approccio proattivo, ricerca e gestione delle informazioni, pianificazione e organizzazione, problem solving, autonomia.
Skills cognitive
Capacità di analisi, capacità di pensiero astratto.
Soft-skill e scuola
Considerato che lo sviluppo delle soft-skills può avvalersi anche di contesti educativi, quale può essere il compito della scuola? Dotare ogni alunno di tali competenze per affrontare in primis la vita “di fuori”, e poi, ma non in subordine, comprenderle e utilizzarle al meglio in funzione delle future occasioni provenienti dal mondo del lavoro.
Molte raccomandazioni a livello di Unione europea hanno sottolineato come queste soft-skill siano fondamentali nel mercato del lavoro e hanno suggerito agli enti formativi di puntare alla formazione “integrale” della persona.
Tuttavia, come indicato da diversi studiosi, formare alle soft-skills, soprattutto all’università, potrebbe essere troppo tardi. Occorre iniziare prima: nel primo ciclo di istruzione e, addirittura, nella primissima infanzia.
Tale aspetto era già stato messo in evidenza dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione del 2012: “Le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline concorrono a loro volta alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale, orientate ai valori della convivenza civile e del bene comune”.
Nelle prove Invalsi già sono normalmente inserite domande atte a misurare tali competenze; in particolare si fa riferimento a:
- abilità organizzative;
- strategie cognitive e metacognitive;
- concetto di sé e motivazione intrinseca ed estrinseca;
- attribuzioni causali di successo o insuccesso.
Nelle Linee guida alla certificazione del gennaio 2018 viene consigliata una strategia valutativa che si fonda su tre elementi fondanti:
- compiti di realtà;
- osservazioni sistematiche;
- autobiografie cognitive.
L’importanza di un processo di formazione strutturato
Verso la conclusione della propria esperienza scolastica, anche ai fini dell’orientamento, è bene proporre agli studenti un bilancio delle proprie competenze personali per rendersi consapevoli di quanto ci si sente preparati ad affrontare ulteriori studi o entrare il mondo del lavoro.
E’ quindi necessario che il processo di formazione, nel suo complesso, sia ben strutturato soprattutto nel periodo dell’adolescenza e della prima giovinezza.
A tale proposito, è importante che il sistema formativo, in maniera responsabile, si prenda carico anche di queste competenze, verificandone nel corso degli anni i progressi. Occorre, con l’aiuto del corpo docente, elaborare quindi, nel corso dell’intero periodo educativo, uno scheletro di prospettiva di vita, in sintonia con progetti a più breve termine di studio e di preparazione al lavoro.
In conclusione, i continui processi di trasformazione della società impongono di soffermarsi sullo sviluppo di quelle competenze che possano consentire di affrontare nuove sfide, di operare negli svariati contesti lavorativi e con modalità flessibili e collaborative.
E qui entra in gioco l’alternanza scuola-lavoro, grazie alla quale è possibile progettare percorsi di apprendimento utili a creare ponti tra teoria e pratica, tra saperi disciplinari e, soprattutto, saperi trasversali, sempre più spendibili nei contesti reali di vita e di lavoro. In quest’ottica, le competenze generiche sono ormai ritenute essenziali in quanto trasferibili tra contesti diversi.
Il digital skills gap
La costante e irreversibile digitalizzazione, ormai pervasiva, nel tessuto sociale e produttivo (Internet of Things, Cloud Computing, Additive Manufacturing, Big Data Analytics, Robotica Avanzata, Realtà Aumentata e Cyber security) sta determinando la nascita di nuove figure professionali, e soprattutto, la rimodulazione, in chiave generale (soft-skill) di professionalità già esistenti.
Tale fenomeno, noto come digital skill gap, rappresenta ormai una problematica sociale per la quale anche l’Unione europea ha intrapreso politiche “di recupero”, non solo in relazione alle competenze digitali avanzate, ma anche rispetto a quelle di base e trasversali, indispensabili al nuovo cittadino europeo digitale.
Scuole e università, in Italia più in altri Paesi, faticano purtroppo a rendere la propria offerta formativa appetibile e consona alle nuove esigenze per colmare quel “deficit umano” di risorse, con conoscenze, abilità e competenze digitali e metodologiche adeguate.
Se non si correrà ai ripari, il rischio è quello di “sfornare” tecnici e laureati senza strumenti adeguati e, di conseguenza, non pronti ad accogliere le sfide del mercato del lavoro e, principalmente, dell’industria 4.0.