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Un piano contro le future pandemie: le cinque linee d’azione

Una seconda ondata pandemica potrebbe colpire i paesi europei in autunno. Per contenere l’epidemia senza bloccare la società e migliorare gli esiti per gli infetti in termini sia di sopravvivenza, sia di prognosi va pianificato fin d’ora un piano pandemico 4.0. Vediamo con quali tecnologie e direttrici

Pubblicato il 09 Apr 2020

Domenico Marino

Università Degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

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I dati delle curve epidemiche al primo di aprile ci segnalano un rallentamento evidente del tasso di contagi per il Covid-19 in Italia. Pur facendo i debiti scongiuri, si può affermare che, se gli italiani manterranno il distanziamento sociale che è diventato la norma in questi ultimi giorni, l’obiettivo zero contagi potrebbe essere raggiunto in tutte le regioni nel giro di poco più di un mese.

A questo punto, quindi, appare opportuno pensare strategicamente al dopo, non solo in termini di riapertura e di rilancio dell’economia, ma anche riguardo delle misure per evitare o limitare una seconda ondata pandemica.

Ripensando la Sanità italiana, anche con la forza del digitale.

Di questo virus sappiamo ancora poco, ma conosciamo bene l’andamento stagionale degli altri coronavirus e dei virus influenzali. Se, quindi, anche questo virus rispetterà le caratteristiche della sua famiglia, è ragionevole pensare ad una seconda ondata pandemica che dopo l’estate tornerà a colpire i paesi europei. Di fronte a questa possibilità gli Stati, già teatro della prima ondata, potranno difendersi solo se saranno in grado di strutturare piani pandemici 4.0.

Affrontare la pandemia con le tecnologie

Fin dall’inizio del XXI secolo l’OMS aveva avvertito gli Stati della possibilità di eventi pandemici, invitandoli a dotarsi di piani di gestione della pandemia da rinnovare ogni tre anni. Nella quasi totalità degli Stati questi documenti sono stati redatti burocraticamente la prima volta e poi lasciati a dormire nei cassetti, ma la loro importanza si è evidenziata in questi giorni, perché, ad esempio, il piano pandemico della Germania, elaborato dal prestigioso istituto Koch nel 2012, aveva descritto in termini precisi ciò che stava per succedere, ma nessuno ha pensato all’inizio dell’epidemia di attenersi a quelle che erano le sue indicazioni.

Fino ad oggi, con l’eccezione della Corea del Sud, tutti i paesi interessati hanno affrontato la pandemia con misure drastiche di lockdown che si sono rivelate, almeno nel caso cinese ed italiano, molto efficaci nel fermare i contagi, ma a un costo economico e sociale che è ancora tutto da determinare. Quella del lockdown è però una one shot strategy, cioè una strategia che può essere usata una volta sola. Se in autunno si verificherà una seconda ondata pandemica misure drastiche come quelle attuali sarebbero difficilmente sostenibili per l’economia e per il contesto sociale. E poiché i tempi fisiologici per lo sviluppo di una cura e di un vaccino, ragionevolmente non possono essere inferiori ad un anno, a ottobre e novembre potremmo trovarci nuovamente esposti al contagio e ancora una volta senza strumenti di prevenzione o di cura.

È, quindi, imperativo dotarsi di un nuovo piano pandemico che questa volta utilizzi la tecnologia e gli strumenti avanzati dell’intelligenza artificiale per contenere i contagi. La quarantena era lo strumento che fin dall’antichità veniva usato per contenere le epidemie, uno strumento efficace, se rispettato, ma in fin dei conti appare abbastanza strano che tutta la tecnologia che possediamo nel XXI secolo non venga utilizzata per misure più efficaci ed efficienti di lockdown.

Le linee d’azione del piano pandemico 4.0

Questo piano pandemico deve, quindi, essere 4.0 e arruolare tutte le risorse tecnologiche a nostra disposizione in questa lotta al virus. Il piano potrebbe avere diverse direttrici di azione, legate a differenti strumenti tecnologici.

La prima linea di azione potremmo definirla con il termine tracciamento. Questo primo aspetto, in questo momento quello più evidente e più discusso, è la possibilità attraverso i sistemi di localizzazione gps, attraverso i dati della telefonia mobile e attraverso i dati delle transazioni digitali di tracciare potenzialmente ogni infetto e ogni contatto dell’infetto, potendo agire chirurgicamente per mettere in quarantena le persone, controllare il suo effettivo rispetto e interrompere velocemente le catene di contagio. Questa misura ha un costo sociale non banale, quello della limitazione del diritto alla privacy. Su questo punto bisogna indicare come criteri di gestione tre punti che rendono accettabile questa limitazione in presenza di un evento pandemico: la limitatezza temporale del provvedimento, la sicurezza dei big data conseguenti e la distruzione immediata degli archivi a epidemia conclusa.

La seconda linea di azione potremmo definirla prevenzione territoriale. Si tratta di addestrare un’intelligenza artificiale attraverso algoritmi di deep learning per prevedere l’evoluzione territoriale del contagio. Si tratta di raccogliere tutti i dati georeferenziati dei contagi che si sono avuti su base comunale e sub comunale in questa prima fase epidemica, collegandoli alle caratteristiche geomorfologiche del territorio, ai dati climatici, al sistema dei trasporti e alla struttura socioeconomica dell’economia. Addestrando un’intelligenza artificiale con questi dati saremo in grado, nel caso di nuovi contagi, di prevedere in anticipo le modalità di diffusione del contagio su base territoriale, potendo mettere in atto misure molto più soft di lock down e di mitigazione del rischio di propagazione del contagio. Avremo una mappa predittiva dello sviluppo dell’epidemia e potremo intervenire chirurgicamente sul territorio.

La terza linea di azione riguarda l’organizzazione territoriale dei servizi sanitari. I differenti tassi di letalità della malattia osservati nelle diverse regioni e anche l’efficacia delle misure di contenimento sono strettamente legate alla capacità di risposta della sanità territoriale.

Le differenze fra i tassi di letalità e i tassi di diffusione del contagio di Veneto e Lombardia possono spiegarsi solo con la diversa efficienza della sanità territoriale. In Lombardia vi è un sistema ospedaliero pubblico e privato molto forte che però di fatto ha diminuito il peso della sanità territoriale. Gli ospedali e le loro strutture di medicina di emergenza hanno di fatto sostituito la figura e il ruolo del medico di base. In condizioni normalità questo poteva anche essere un punto di forza e uno strumento per ridurre i costi della sanità, ma di fronte ad un’emergenza diffusa sul territorio, gli ospedali sono presto entrati in crisi e alcune volte, senza il filtro del territorio, sono diventati anche dei moltiplicatori del contagio. Ciò ha avuto come conseguenza un’impossibilità di fare un numero di tamponi sufficiente a individuare gli asintomatici o i pauci sintomatici e un grave pregiudizio per le possibilità di cura perché i pazienti con sospetto venivano ospedalizzati e riconosciuti come positivi solo quando la malattia era in fase avanzata, facendo così aumentare le probabilità di esito negativo e facendo aumentare i contagi di prossimità.

Il Veneto, utilizzando la struttura sanitaria territoriale, riusciva a fare molti più tamponi e a intervenire preventivamente migliorando la prognosi della malattia. I risultati sono apprezzabili numericamente. Un tasso di letalità nel Veneto circa del 4% a fronte di un tasso di letalità nella Lombardia circa del 15%, un tasso di ospedalizzazione del 52% in Lombardia contro il 25% in Veneto, un tasso di crescita dei contagi inferiore di almeno il 25% in Veneto. Riorganizzare la sanità territoriale è, quindi, una necessità per combattere il virus e questa riorganizzazione deve essere tecnologica e sfruttare tutte le potenzialità della telemedicina. Il monitoraggio dei pazienti attraverso sensori collegati con il medico di base può rendere più efficiente ed efficace la gestione del paziente e anche migliorare la prognosi della malattia, miglioramento della prognosi che significa anche un minor tasso di utilizzo della terapia intensiva.

La quarta linea di azione è quella legata all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la ricerca di nuove cure. In assenza di farmaci specifici non possiamo fare altro che tentare di utilizzare off label farmaci esistenti. L’intelligenza artificiale ci permette di fare velocemente ed efficacemente questo screening. Un progetto di questo di tipo si sta già realizzando con il supercomputer italiano Marconi. Sarebbe estremamente utile inserire nel processo di addestramento degli algoritmi anche le evidenze delle sperimentazioni sui farmaci fatte durante questa fase epidemica.

La quinta linea del piano pandemico è quella tradizionale, sulla quale non è necessario soffermarsi ulteriormente, basata sulla stima della domanda di respiratori, di posti di terapia intensiva e di presidi per la sicurezza del personale medico e dei malati, con indicazioni logistiche per un’efficiente gestione.

Conclusioni

I vantaggi di un piano pandemico 4.0 sono quelli di riuscire a contenere l’epidemia senza bloccare la società e di migliorare gli esiti per gli infetti sia in termini di sopravvivenza, sia in termini di prognosi, diminuendo nel contempo le pressioni sugli ospedali e sulle strutture di terapia intensiva. È un modo moderno di affrontare le pandemie che non possiamo non permetterci di utilizzare se i contagi dovessero ripresentarsi in autunno. Ma per essere pronti dobbiamo cominciare fin d’ora a pianificare queste azioni e costruire gli strumenti per poterle realizzare. Il virus, forse, ci ha dato una finestra di tempo prima di produrre nuovi danni, sta a noi cercare di sfruttarla!

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