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Il mondo dopo il Covid-19: quali lezioni (digitali) per prepararci al futuro

Il mondo, Italia compresa, va in una direzione di non ritorno al passato: dobbiamo abituarci, anche a emergenza passata, a cambiare abitudini personali, professionali e sociali. Oggi più che mai occorre perciò un netto cambio di visione strategica per superare ogni tipo di resistenza, culturale e burocratica, al cambiamento

Pubblicato il 01 Apr 2020

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

tomswallpapers.com-81201

Lo stato di pandemia causato dalla diffusione del Covid-19, pur nella sua già rilevata gravità emergenziale, non consente ancora di valutare appieno le ulteriori inevitabili conseguenze configurabili nel medio e lungo termine, non solo dal punto di vista sanitario, ma altresì in termini di ricadute sociali ed economiche che si verificheranno nel contesto di una presumibilmente difficile e lenta ripresa generale della vita ordinaria delle persone in condizioni di stabile “normalità”, dopo il superamento della fase critica di massima allerta che giustifica l’adozione – sia pure con un non sempre efficace tempismo comunicativo – di rigorose misure di contenimento generale applicabili su tutto il territorio nazionale a tutela della salute pubblica della collettività per evitare la diffusione epidemiologica del virus.

L’importanza del digitale nella gestione della quotidianità

Dal punto di vista delle nuove tecnologie, l’attuale emergenza Covid-19 ha messo in evidenza l’importanza di Internet nello svolgimento di svariate attività che molti settori sono stati “costretti” a (ri)organizzare in modalità digitale, ricorrendo, ad esempio, al lavoro agile come ordinaria forma di svolgimento della prestazione lavorativa nelle PA ex art. 87 DL 17 marzo 2020, n. 18, con l’ulteriore generale previsione della didattica a distanza, compreso lo svolgimento degli esami di profitto, verifiche intermedie, compiti ed esercitazioni per garantire la continuità dell’attività formativa erogata dagli istituti scolastici e dalle università ex art. 101 del Decreto “Cura Italia”.

La concreta prassi evidenzia, però, criticità nell’uso delle ICT che riflettono, innanzitutto, la mancanza di un piano strategico generale elaborato in largo anticipo, sperimentato in condizioni di normalità e implementato negli anni in una prospettiva di lungo termine in grado di fornire soluzioni efficienti già testate prima del verificarsi di situazioni straordinarie di necessità e urgenza.

I ritardi tecnologici e le lacune normative italiane

Mentre in molti Stati europei e nel resto del mondo, da anni esiste una consolidata strategia nazionale adottata sul piano operativo per preparare progressivamente l’apparato organizzativo degli enti pubblici, del tessuto imprenditoriale e del sistema educativo ai cambiamenti prodotti dal processo di trasformazione digitale, lo scenario italiano sembra caratterizzato da ritardi tecnologici e lacune normative che riflettono un quadro di incompiutezza del sistema generale in un perenne stato di aspettative da cosiddetto “anno zero” in attesa di interventi ulteriori che sembrano sempre sul punto di arrivare.

Malgrado gli sforzi, in parte compromessi da frequenti fattori di instabilità politica riscontrabili nel nostro Paese, volti a (ri)progettare strategie generali anche con l’intento ambizioso di perseguire la realizzazioni di indispensabili obiettivi di innovazione nell’ambito di una governance delineata a livello nazionale (per ultimo, è il caso della Strategia Italia 2025 elaborata dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione – MID), sembra, appunto, emergere la tendenza ad un approccio digitale ancora troppo legato a fronteggiare le esigenze contingenti dell’emergenza, cercando di “tappare i buchi” alle criticità esistenti seguendo una logica di pianificazione istantanea sul momento predisposta per l’inseguimento delle necessità che di volta in volta si presentano in una situazione di crisi, senza quindi sfruttare in pieno il potenziale della tecnologia.

Il nodo della privacy

Costituiscono poi rilevanti effetti collaterali del deficit segnalato le connesse ricadute sulla tutela di diritti fondamentali, come ad esempio, le implicazioni in materia di privacy connesse all’uso di piattaforme e-learning disponibili nel mercato per la didattica a distanza, largamente utilizzate dal sistema scolastico e universitario, probabilmente come scelta “obbligata” in mancanza di sistemi operativi “proprietari” sviluppati in anticipo, determinando una discutibile dipendenza tecnologica esterna che potrebbe esporre tali enti in qualsiasi momento all’imposizione di modifiche contrattuali unilaterali nell’erogazione dei servizi ricevuti, con l’ulteriore rischio di violare la privacy degli utenti mediante sofisticate attività di profilazione dei dati personali nell’ambito delle operazioni di trattamento effettuate dalle imprese private che gestiscono le piattaforme utilizzate.

Sempre per le medesime ragioni, inoltre, dovrebbe valutarsi con estrema cautela la prospettata introduzione di strumenti di geolocalizzazione per tracciare lo spostamento delle persone a fini di monitoraggio sulla diffusione dell’epidemia per esigenze di prevenzione e contenimento del livello di contagio, al pari di quanto già attuato in altri Paesi asiatici, ove sono stati utilizzati sistemi tecnologici collaudati – in contesti comunque digitalmente avanzati – sulla base di strategie elaborate nel tempo, che verosimilmente perseguono anche indirette finalità di controllo sistematico e sorveglianza di massa degli utenti conformi alle visioni politiche esistenti in tali aree del mondo.

La possibilità di introdurre in Italia analoghi sistemi di tracciamento basati sull’uso dei Big data e sugli strumenti di Intelligenza Artificiale, infatti, oltre ad evidenziare più stringenti profili di incompatibilità con il quadro normativo vigente rispetto ad altri ordinamenti giuridici – rendendo estremamente problematico sul piano pratico il bilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto alla salute, comporta il rischio di un affrettato utilizzo di metodologie applicative non adeguatamente testate, a causa delle condizioni di urgenza che ne giustificherebbero l’adozione, determinando incertezza sull’efficacia dei risultati prodotti e concreta entità del pregiudizio dei diritti fondamentali in termini di ricadute giuridiche.

Analfabetismo digitale ed esclusione sociale

Tale scenario è ulteriormente aggravato dall’endemico stato di divario digitale cognitivo che, secondo il Report DESI pubblicato dalla Commissione europea ogni anno, colloca l’Italia, rispetto all’indicatore che monitora il “Capitale umano”, al 26º posto fra gli Stati membri dell’UE: soltanto il 44% degli individui tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, ben al di sotto della media UE che si attesta al 57%.

In un momento in cui l’emergenza Covid-19 ha imposto un processo accelerato di digitalizzazione generalizzata dei servizi pubblici e delle attività economiche, nonostante gli irrisolti problemi infrastrutturali del Paese, l’esistenza di una così elevata percentuale di analfabetismo digitale può rappresentare una pericolosa forma di esclusione sociale in grado di provocare diffuse discriminazioni nell’esercizio di diritti fondamentali, provocando una profonda spaccatura tra cittadini di “serie A” (digitalmente inclusi) e cittadini di “serie B” (digitalmente esclusi), come nuovo fenomeno di povertà per mancato accesso alle tecnologie e scarsa consapevolezza nell’utilizzo dei relativi strumenti, soprattutto nelle aree geografiche del nostro Paese (come il Mezzogiorno) in cui le criticità legate al ritardo digitale cognitivo risultano più radicate.

Il mondo a un punto di non ritorno: le lezioni da trarre dal coronavirus

Poiché il mondo (Italia compresa), spinto anche da tali ultimi recenti eventi, sembra andare inesorabilmente in una direzione di non ritorno al passato, costringendo le persone a cambiare radicalmente le proprie abitudini nei rapporti personali, professionali, lavorativi e sociali (come riportato anche da uno studio pubblicato nella rivista del Mit Technology Review dal titolo “We’re not going to back to normal”), sembra giunto il momento di intraprendere nell’immediato futuro, seguendo una serie di fondamentali linee guida, efficaci strategie formative, professionali e occupazionali collegate alla conoscenza del settore ICT.

Anzitutto, come prima lezione, sul piano metodologico, sarebbe auspicabile evitare la corsa a interventi contingenti dettati dai tempi urgenti di una situazione di emergenza, comprendendo con anticipo e in condizioni ordinarie di normalità la centralità strategica del settore digitale mediante la progettazione organica e ponderata di piani operativi sviluppati in una prospettiva di lungo termine nell’ambito di una cabina di regia inclusiva e aperta alla collaborazione sinergica di tutti gli attori interessati a partecipare all’elaborazione di soluzioni innovative.

In secondo luogo, sembra non più rinviabile come priorità assoluta, la necessità realizzare l’aggiornamento integrale del sistema educativo delle scuole e delle università, per assicurare, mediante la progettazione didattica e formativa delle principali figure professionali richieste nei prossimi anni, una riqualificazione della forza lavoro in linea con quanto descritto dal Report “The Future of Jobs 2018” pubblicato dal World Economic Forum, secondo cui entro il 2022 cesseranno di esistere 75 milioni posti di lavoro, ma ne verranno creati altri 133 milioni, con un netto di + 58 milioni di nuove opportunità lavorative collegate al digitale.

Inoltre, sarebbe opportuno valutare la revisione generale delle procedure di selezione per il reclutamento del personale dipendente presso le PA, basato su metodologie generalmente obsolete che prevedono, come oggetto delle relative prove di esame, l’accertamento di contenuti nozionistici secondo un approccio di apprendimento generalista di stampo teorico poco orientato a stimolare capacità di problem solving e pensiero critico, nonché oltremodo distante dalle esigenze attuali del mercato del lavoro, ove si presuppone il possesso di competenze specialistiche ICT, praticamente marginali nel giudizio di valutazione delle procedure concorsuali, con la conseguente formazione di dotazioni organiche, costituite all’interno degli apparati amministrativi, in cui opera una ristretta “nicchia” di esperti specialisti ICT in una condizione di irrilevanza operativa nella concreta possibilità di incidere sui processi di trasformazione digitale.

Anche in considerazione del ragionevole prolungamento del termine di sospensione delle procedure concorsuali ordinarie per l’accesso al pubblico impiego, si potrebbe avviare un piano straordinario di assunzioni di personale qualificato, mediante procedure semplificate di selezione in modalità telematica, effettuata su basi curriculari che prevedano la valorizzazione del titolo di dottorato di ricerca e il possesso di competenze specialistiche ICT, per modulare una parte del fabbisogno di personale sulla base delle specifiche skills innovative delle risorse umane in grado di soddisfare le esigenze di digitalizzazione della PA.

In generale, occorre un deciso cambio di visione strategica che consenta di superare ogni tipo di resistenza – culturale e burocratica – al cambiamento, in un momento storico in cui, oggi più che mai, appare decisivo avviare un efficace percorso di innovazione nel nostro Paese.

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