L'analisi

Processo civile telematico, serve una rivoluzione: ecco cosa non funziona

Il Processo civile telematico, nonostante l’obbligatorietà di legge e l’uso di strumenti tecnologici per attuarlo, è troppo legato al normale processo “analogico”: il rischio è mancare le possibilità offerte dalla digitalizzazione di dare sprint alla giustizia

Pubblicato il 16 Ott 2020

Claudio Castelli

Presidente Corte Appello di Brescia

Giustizia digitale

Abbiamo un Processo Civile Telematico evidentemente spurio. Nonostante la sua obbligatorietà dal 2014, il nostro tentativo quotidiano è quello di cercare di far rientrare le modalità telematiche in un processo che, pensato in tutt’altra epoca, rimane profondamente analogico. Per cui lo sforzo che viene fatto è quello di adattare o di far rientrare le modalità telematiche in un processo pensato sulla carta e per la carta. Serve un cambiamento culturale per fare davvero il salto: analizziamo la situazione.

Il contrasto tra PCT e rito analogico

Non vediamo grandi progressi relativamente al PCT, dato che anche le proposte di riforma del processo civile non partono dalla necessità di ripensare ad un processo che nasca e si sviluppi a livello digitale, ma spesso pare che ignorino il profondo cambiamento che il processo telematico impone. Questa ha sinora condizionato la stessa strutturazione degli atti, in quanto anche nel PCT a ben vedere gli stessi sono più frutto di una dematerializzazione che di una digitalizzazione. In questo modo si perdono le enormi potenzialità che una vera digitalizzazione, con campi obbligati e l’indicazione di meta dati utilizzabili, potrebbe rappresentare. Non solo, ma si riduce il problema della strutturazione degli atti a quello della loro sinteticità, chiarezza e organizzazione.

Problema reale che è esploso nell’ambito della crisi di funzionalità del processo civile, riscontrando come la prolissità e l’oscurità degli atti processuali potesse pregiudicare in modo sensibile un progresso verso una giustizia rapida ed efficace. Crisi che in parte è figlia della modernizzazione in quanto il superamento dell’utilizzo di atti bollati con il contributo unificato forfettizzato e la disponibilità di strumenti informatici dalle potenzialità infinite hanno incoraggiato l’esplosione della dimensione degli atti.

Sinteticità e chiarezza

Porre al centro la sinteticità e la chiarezza degli atti vuole consentire una più efficace modalità di rappresentare le ragioni delle parti e contenere i tempi delle decisioni. Il che rappresenta un passo in avanti indubbio, ma dobbiamo vedere in che modo questo passaggio si possa sposare con la trasformazione del processo in digitale. La riflessione sulla sinteticità e sulla chiarezza degli atti nasce nel processo amministrativo dove trova un riconoscimento legislativo dell’art. 3 del Codice del Processo Amministrativo ed espressione nel Decreto 22 dicembre 2016 del Presidente del Consiglio di Stato. Questo Decreto punta sui limiti dimensionali (art. 3), ma nel contempo fornisce preziosi criteri di redazione degli atti processuali di parte (art. 2) dando indicazioni su come gli stessi debbano essere organizzati (ripartizione distinta dei fatti e dei motivi, delle eccezioni di rito e di merito delle richieste pregiudiziali, istruttorie e processuali, numerazione dei motivi e delle domande, chiarezza delle conclusioni, possibilità di collegamenti ipertestuali, sintesi e sommario).

Necessità condivisa anche per la materia civile e tributaria in particolare negli uffici di legittimità laddove, al di là di alcune pronunce giurisdizionali che sanzionano con l’inammissibilità ricorsi che non rispettano questi canoni (vedi in particolare la sentenza 20 ottobre 2016 n.21297), si approda ad un Protocollo d’intesa del 17 dicembre 2015 tra Corte di cassazione e CNF che parte proprio dalla necessità di evitare il sovradimensionamento degli atti indicando tipo di fogli, caratteri e spaziatura da utilizzare, oltre che invitando ad una strutturazione dell’atto per capitoli preordinati: parte ricorrente, parte intimata, sentenza impugnata, oggetto di giudizio (da specificare con un massimo di 10 parole chiave), valore della controversia, sintesi dei motivi, svolgimento del processo (contenuto nel limite massimo di cinque pagine), motivi di impugnazione (contenuto nel limite massimo di 30 pagine), conclusioni, documenti allegati.

Un ulteriore passo, che riguarda anche direttamente i provvedimenti giurisdizionali, viene fatto con l’elaborazione e l’approvazione da parte del CSM delle Linee Guida in materia di esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti, nell’ambito di un protocollo d’intesa con il CNF stipulato il 15 giugno 2016. Con tali linee guida non ci si limita a indicare principi generali sulle modalità stilistiche e tecniche di redazione dei provvedimenti, ma si arriva ad elaborare modelli di redazione degli atti sia nel processo penale del processo civile. I suggerimenti che vengono posti sono particolarmente pregnanti: riguardando nel settore penale le modalità di redazione dei capi di imputazione (vedi Allegato 1) e le modalità grafiche di impostazione strutturale del testo della motivazione della decisione e nel settore civile le modalità di esposizione e di strutturazione (vedi Allegato2).

Non a caso vediamo come il Consiglio Nazionale Forense sia uno dei protagonisti di questo processo in quanto la parte più avveduta dell’avvocatura si rende conto come la superfetazione delle argomentazioni venga ad essere in realtà un danno per la facile comprensione e per l’efficacia delle tesi difensive, oltre che comportare inevitabili ritardi nelle decisioni. E altrettanto giustamente il C.S.M. ed il suo gruppo di lavoro si rende conto come vi sia un profondo nesso tra la struttura degli atti processuali e quello del provvedimento giurisdizionale che ne consegue, occupandosi quindi anche e principalmente delle sentenze e della strutturazione delle stesse fornendo addirittura dei modelli sintetici di sentenze base.

Le esigenze rappresentate dal CSM sono sacrosante, anche perché l’estrema differenza che esiste oggi, anche all’interno dello stesso ufficio, nell’utilizzo di moduli e schemi diversi per i provvedimenti comporta problemi di rapporti con le cancellerie (che spesso non sanno dove trovare il dato che a loro serve per l’esecuzione o per il semplice scarico del procedimento) e nella stessa presentazione degli atti. Purtroppo ciascun avvocato e magistrato è legato al proprio modello, spesso per motivi estetici (comunque da non disprezzare), e non vi è una capacità di introdurre una modulistica generale che semplifichi la lettura. Questi passaggi possono trovare ulteriore sviluppo e un salto qualitativo nella prospettiva del processo telematico.

Lo scenario futuro

Gli atti processuali del processo civile telematico sono in generale strutturati come atti cartacei, che poi vengono dematerializzati, ma questo fa perdere le potenzialità di accumulazione di rappresentazioni cognitive capaci di dare indicazioni su molteplici aspetti della causa o del processo in corso: rito, materia del contendere, valore del contenzioso, norme richiamate, fase del processo.

Tutti dati che oggi, anche se contenuti, vengono persi e non vengono valorizzati. Le prospettive verso cui inevitabilmente dovremmo muoverci vanno quindi in due direzioni. In primo luogo l’evidenziazione in campi obbligati di una serie di dati che poi possono essere facilmente estratti ed elaborati anche a fini che vanno molto oltre la semplice classificazione del processo e della decisione e del successivo inserimento nelle banche dati per la ricerca giurisprudenziale. Le prospettive che si aprono difatti sono molto più ampie e potrebbero consentire un case management per ognuno dei settori del processo telematico, sistemi di indicatori per tutti i soggetti del processo, sistemi sperimentali di valutazione delle diverse tipologie di contenzioso e del loro esito, analisi predittive che riguardino la giurisprudenza, ma anche le tendenze con cui i diversi uffici ed i professionisti dovranno misurarsi.

Questo tra l’altro consentirà una classificazione che potrà portare ad una standardizzazione per tipologie di affari, migliorando enormemente sia il funzionamento degli stessi uffici giudiziari, sia il comportamento dei professionisti che vi operano, sia la trasparenza degli atti processuali e delle decisioni, sia la stabilità delle stesse. In secondo luogo andrà posta l’introduzione di format in cui “costringere” gli atti processuali e le stesse decisioni. Format che faciliteranno l’evidenziazione di campi obbligati, che consiglieranno l’inserimento diretto degli scritti in forma digitale, che potranno prevedere limiti spaziali. So bene che questa prospettiva appare ostica ai più, ma già oggi abbiamo alcuni esempi. In campo puramente giudiziario i Mandati di Arresto Europeo, anche se in forma analogica, sono strutturati con format per campi obbligati che consentono una più facile lettura da parte di soggetti (magistrati, Polizia, Ministeri) provenienti da esperienze e Paesi del tutto diversi. In altri campi, come per la partecipazione a bandi, sono previsti format con limitazioni spaziali estremamente rigorose, per numero di battute, ed impossibili da sforare.

Si tratta di adottare una cultura diversa, che il digitale impone, anche se il punto centrale a mio avviso non è quello dei limiti dimensionali, ma quello dell’organizzazione degli atti, della loro strutturazione e leggibilità. È molto più importante che l’atto abbia una sintesi, un sommario, una chiara strutturazione con eventuali rimandi anche ipertestuali, rispetto al fatto che sia breve, ma magari confuso. Una prospettiva futuribile, ma su cui occorre lavorare subito, anche per impedire che la necessità della sinteticità e della schematicità diventi la scusa per non consentire il pieno dispiegarsi delle proprie ragioni e, per quanto riguarda il magistrato della motivazione della propria decisione.

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Note

Allegato 1 – Estratto da Linee Guida in materia di esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti – pag. 9

Circa le modalità di redazione dei capi di imputazione da parte del pubblico ministero (si tratta di un’attività preliminare che necessariamente ridonda sulle modalità organizzative del lavoro del giudice penale), si segnalano, quali misure opportune e utili, a titolo esemplificativo, quelle di:

  • adottare l’indicazione numerica e progressiva dei plurimi e diversi capi di imputazione (l’uso delle – limitate – lettere dell’alfabeto determina conseguenze di farraginosità e confusione, specialmente nei processi complessi, con rischio di errori materiali e dispersione di tempo);
  • evitare i capi di imputazione “narrativi”, ossia quelli che eccedono lo scopo di rappresentare i tratti della fattispecie concreta che riproducono la struttura del reato contestato, inglobando una serie di informazioni attinenti a profili inessenziali dell’addebito;
  • evitare i capi di imputazione cumulativi, cioè quelli nei quali viene data un’unitaria descrizione dei fatti in concreto contestati, ma con l’indicazione di più norme incriminatrici (nella prospettiva implicita, o dichiarata, del concorso formale o materiale della continuazione), provvedendo alla redazione autonoma di un capo di imputazione per ciascun reato;
  • individuare con precisione il tempo di consumazione e la natura istantanea o meno del reato.

Allegato 2 – Estratto da Linee Guida in materia di esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti – pag.11

In tal senso, con riguardo ai provvedimenti del giudice, è auspicabile che:

  • l’esposizione in fatto e in diritto sia breve ed essenziale, limitata a quanto strettamente necessario in funzione della decisione;
  • si riportino le questioni di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione in paragrafi contraddistinti da una numerazione progressiva, esponendo in modo ordinato il ragionamento giustificativo delle statuizioni. Potrebbe rivelarsi anche utile il ricorso a stringhe motivazionali per le questioni ripetitive, così come il riferimento a precedenti conformi;
  • si strutturi il periodo in modo snello, leggibile e comprensibile (stile sobrio e neutrale; linguaggio piano e non involuto);
  • si limiti il ricorso a parole straniere, da riportarsi in corsivo, ai soli casi in cui manca una equivalente e parimenti incisiva espressione in lingua italiana;
  • si utilizzi una grafica comune, con caratteri uniformi, per dimensione e tipologia. È utile porre in rilievo utilizzando il carattere corsivo le parti delle dichiarazioni testimoniali e delle dichiarazioni personali delle parti rese in sede di interrogatorio libero o formale.

L’obiettivo deve essere quello dell’elaborazione di un nucleo motivazionale che, pur sintetico nei contenuti e “conciso” nell’esposizione, si prospetti chiaro ed esauriente e abbia, quindi, adeguata “tenuta” per il caso di eventuale gravame.

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