CASE study

La PA risparmia con la PEC e ottimizza i processi: il caso Arpat

Una pubblica amministrazione che dal 2014 ha il 90% dei documenti interamente digitali, ha messo a punto un regolamento interno sugli atti giudiziari via PEC quando ancora non c’era giurisprudenza, racconta la ricetta del successo e i vantaggi della digitalizzazione

Pubblicato il 17 Lug 2018

Monica Caponeri

Responsabile gestione documentale e conservazione dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana

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La storia della digitalizzazione della gestione documentale in Arpat è culminata con la Pec ma inizia molto tempo fa. Sono infatti quasi 15 anni che lavoro in Agenzia su questo progetto (prima ancora del CAD), sono stata assunta per questo, perché ne avevo le competenze, e sono grata all’Agenzia che mi ha permesso di portarlo avanti per un tempo così lungo, raggiungendo risultati davvero insperati. Questo è importante, a mio avviso: valorizzare le competenze, dare loro risorse e tempo per attuare progetti che necessariamente hanno bisogno di un lungo respiro. Perché nelle PPAA le competenze ci sono, ma i tempi del cambiamento sono sempre molto lunghi.

Il software per la gestione dei documenti

Oggi Arpat ha un software proprietario, sviluppato e customizzato internamente ed è una PA senza carta: i nostri documenti sono prodotti in originale digitale, gestiti e conservati a norma, e se è necessario averne una copia cartacea, il nostro sistema ci consente di produrla in modo che sia conforme all’originale digitale (e quindi con la stessa validità giuridica). Abbiamo la PEC dal 2009, integrata con il sistema di protocollo e gestione documentale, e su quasi 700 dipendenti, oltre 400 hanno la firma digitale.

E’ importante sottolineare che la PA italiana non è sempre, e necessariamente, indietro in tema di digitalizzazione, anzi. Spesso questo è un luogo comune e non si deve generalizzare. È vero però che digitalizzare i processi della PA e le modalità di lavoro dei pubblici dipendenti è impresa ardua, anche se, come abbiamo fatto noi, si sceglie di seguire sempre e “semplicemente” il dettato normativo, che in questo ambito ha davvero una funzione di faro illuminante. Ci vuole tempo e soprattutto la possibilità reale di valorizzare le competenze, che ci sono, ma che raramente vengono premiate come meritano.

Per quanto riguarda il nostro sistema, la storia è lunga: parte nel 2003-2004 con la sensibilizzazione sul tema del protocollo informatico e della gestione documentale e l’acquisto di un software di protocollo. Poi, approfittando della chiusura dell’azienda sviluppatrice del codice, ne acquisimmo i diritti di modifica e distribuzione, e quindi siamo proprietari del codice, dal 2007. Questo ci ha consentito di modellare il sistema con precisione sulle esigenze dell’Agenzia, con evidenti vantaggi. Ora stiamo lavorando sul fronte interoperabilità fra sistemi, interni ed esterni, ma anche qui le criticità non mancano, prima fra tutte la mancanza di standard, e anche se il recente piano triennale per l’informatica nella PA fornisce indicazioni sulle modalità di comunicazione fra sistemi, sarebbe davvero importante un’opera di semplificazione e di coordinamento fra gli enti.

Documenti digitali: le cifre

I risultati della digitalizzazione, comunque, si vedono: i documenti in arrivo, dal 2014, sono in maggioranza via PEC e hanno raggiunto l’anno scorso il 90% del totale. Considerando anche i documenti ricevuti via email e fax (sempre di documenti informatici si tratta), siamo a quota 94%. I dati sui documenti inviati sono anche migliori: dal 2013 inviamo la maggioranza dei documenti via PEC. L’anno scorso si è raggiunto il 91% e considerando anche email e fax si arriva anche per gli invii 2017 al 94%.

Considerando che nel 2017 la percentuale di digitalizzazione dell’Italia è stata appena superiore al 40%, direi davvero che è un ottimo risultato. Quindi l’anno scorso solo il 6% dei nostri flussi documentali è stato cartaceo: si tratta per lo più di documenti scambiati con i cittadini, per i quali non vige l’obbligo di trasmissione telematica come per le PPAA, i professionisti e le aziende. Fermo restando il fatto che se dobbiamo mandare ad un privato un documento cartaceo, noi lo produciamo comunque in digitale e poi ne facciamo una copia cartacea conforme.

I numeri della PEC

La PEC conta 9 milioni di caselle attive tra aziende, privati e PA, 4 milioni di messaggi scambiati al giorno che significa 1,45 miliardi di messaggi al mese.

Stando a quanto dichiara Aruba, principale Gestore Accreditato PEC, circa il 40% del mercato è costituito da soggetti privati. Dato significativo, per dimostrare il valore dello strumento. Non essendo i privati obbligati per legge ad avere la PEC, infatti, l’attivano solo perché la ritengono utile per i propri scopi.

PEC e firma digitale

Dal 2009 abbiamo una casella PEC, unica per tutta l’Agenzia, con provider Aruba, e usiamo la firma digitale dal 2010. Abbiamo iniziato a dotare l’organico di firma digitale, partendo dai dirigenti, e attualmente, su 680 persone, 419 hanno la firma digitale, quindi siamo ben oltre la fascia dirigenziale. Sulla firma digitale, rilevo una sorta di “problema culturale”, che andrebbe affrontato meglio fra i dipendenti pubblici. Mi riferisco a una sorta di reticenza nell’usare lo strumento, determinata non tanto dalla difficoltà, quanto dalla sensazione che in qualche modo la firma digitale sia maggiormente responsabilizzante. Come se avesse una validità giuridica maggiore. Un atteggiamento che, razionalmente, è inspiegabile: la firma digitale è una penna, nel senso che ha lo stesso, identico, valore giuridico. Forse bisognerebbe fare qualche forzatura, per consolidarne l’utilizzo. Scherzosamente, a volte dico che bisognerebbe levare tutte le penne dal tavolo. Concretamente, ci sono esperienze che mi sembrano interessanti: ad esempio, una Asl di Lucca ha cambiato il badge con cui si timbrano entrate e uscite fornendone uno che ha anche il chip per la firma digitale. Comunque, in generale è importante fare azioni di sensibilizzazione per il personale alle prese con i nuovi strumenti digitali: penso ad iniziative che vanno al di là della formazione, per questo uso il termine sensibilizzazione. Servono anche a superare ostacoli di natura culturale, determinati da abitudini.

Sembrano banalità, ma non lo sono per un ente che produce documenti che richiedono precise caratteristiche di sicurezza e validità, come sanzioni amministrative o addirittura notizie di reato. Noi infatti ci occupiamo di amministrativo e di penale. E produciamo tutti i documenti in digitale, con l’unica eccezione dei verbali di sopralluogo, che facciamo sul campo.

I vantaggi della digitalizzazione

I vantaggi della scelta di digitalizzare si possono misurare in termini di efficienza, risparmio, organizzazione. Innanzitutto, c’è un completo controllo dei flussi documentali. La direzione, i settori che si occupano di rendicontazione, di controllo, monitoraggio attività, hanno attraverso l’accesso a un unico sistema il controllo di tutti i flussi documentali, e quindi dei procedimenti. Il nostro sistema non gestisce solo il protocollo, che è una fase, ma l’intera gestione del fascicolo procedimentale. Siccome quest’ultimo contiene i dati del procedimento, di fatto abbiamo il controllo sullo stato dei nostri procedimenti in tempo reale.

La digitalizzazione degli atti diminuisce i tempi di risposta in modo considerevole. Ci arrivano in tempo reale richieste di parere da altri enti (esempio: un parere ambientale sull’apertura di un nuovo stabilimento), rispondiamo a stretto di giro di posta (certificata), sempre nel rispetto dei tempi di legge, abbiamo il controllo di tutti i procedimenti, paghiamo i nostri fornitori anche a 30 giorni.

Per quanto riguarda i risparmi, per alcuni anni abbiamo fatto un bilancio di sostenibilità che li ha quantificati con precisione. Un esempio: prima inviavamo molte raccomandate con ricevuta di ritorno e atti giudiziari. Usare la PEC comporta un risparmio fino a 8-9 euro per ogni atto.

PEC e atti giudiziari

Per predisporre gli atti giudiziari via PEC abbiamo un regolamento interno, che abbiamo iniziato a mettere a punto quando ancora non c’era giurisprudenza in materia. Ci siamo dati un regolamento cautelativo, che tiene conto di sentenze, pareri, comportamenti di altre agenzie. Oggi, notifichiamo sanzioni amministrative in cartaceo solo al trasgressore (che è sempre una persona fisica) e solo se non è un professionista o non ha eletto domicilio presso l’azienda o il difensore o un altro domiciliatario dotato di PEC. Ma alle imprese inviamo tutto via PEC. Solo in casi residuali, o particolarmente delicati, facciamo notifiche cartacee. E in ogni caso, il nostro documento originale è sempre digitale, archiviato e mandato in conservazione a norma. Per fare la notifica cartacea, ne produciamo una copia conforme.

Qualche difficoltà esiste ancora per le procure, alle quali inviamo le comunicazioni di notizia di reato. Spesso, almeno in Toscana, non hanno un sistema documentale che consente loro di gestire un procedimento in digitale, così ci chiedono la carta. E’ un caso un po’ particolare quello delle Procure: il comparto Giustizia non rientra nell’ambito di applicazione del CAD, ma c’è stato un decreto ministeriale che ha ribadito il concetto che anche per la Giustizia valgono i principi del CAD. Poi, il processo telematico ha risolto il problema, almeno per il civile o l’amministrativo. I rapporti con il TAR, il tribunale amministrativo regionale, sono digitalizzati, ma con le procure, ripeto, ci sono ancora delle difficoltà.

Ma, lo sottolineo volentieri, con tutte le altre amministrazioni pubbliche, ad esempio i Comuni o la Regione Toscana, normalmente comunichiamo via PEC e lavoriamo in digitale. Forse la nostra situazione non è lo specchio del paese ma nemmeno un caso isolato o estremamente raro. L’anno scorso su oltre 17000 documenti ricevuti dai Comuni, poco più di 200 erano cartacei: ovvero l’1%! Quindi non siamo soli.

Quest’articolo è parte di un’attività editoriale congiunta che Agendadigitale.eu sta sviluppando con Aruba 

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