L'approfondimento

NFT e diritti di proprietà intellettuale: amore e odio

Se da una parte gli NFT hanno ridato dignità alle opere d’ingegno, d’altro canto hanno favorito il sorgere di nuove forme di illecito: approfondiamo il tema del rapporto tra i non fungible token e la proprietà intellettuale

Pubblicato il 11 Mar 2022

Vittorio Colomba

Avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie e protezione dei dati personali

tassazione NFT

Il cyberspazio continua a vivere di evoluzioni tanto rapide quanto radicali, l’ultima delle quali probabilmente destinata a stravolgerne, non per la prima volta, il complesso rapporto con i diritti di proprietà intellettuale. Mi riferisco al mercato degli NFT.

Il tema della proprietà intellettuale rappresenta un esempio paradigmatico dei paradossi del cyberspazio, laddove le promesse di sviluppo sono spesso accompagnate dal pericolo di recessioni uguali e contrarie. Da un lato, la diffusione del sistema NFT ha riavvicinato il virtuale al reale e restituito dignità alle opere dell’ingegno, non più mortificate dalla ristretta dimensione di copie, mai equiparabili all’originale.

Per altro verso, la soluzione di quel problema ha spalancato le porte a nuove forme di illecito difficili da arginare e fornito ad una finanza immateriale, alimentata dalle criptovalute e da questi nuovi beni digitali, il terreno e la linfa per coltivare prodotti il cui reale valore sarà comprensibile solo tra diverso tempo.

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L’antefatto

Per comprendere quest’ultimo cambiamento nella sua pienezza, tuttavia, serve compiere un piccolo passo indietro nel tempo e spostarsi negli Stati Uniti, territorio, come noto, antesignano di ogni fenomeno – positivo o negativo – connesso allo sviluppo della rete. Da quelle parti, la normativa posta a tutela della proprietà intellettuale, sopravvissuta a più di duecento anni di cambiamenti della società civile, rischiò un crollo pressoché definitivo nel 1999, nel breve arco temporale che servì a Napster per diffondere il modello peer to peer.

Da quel momento in avanti, tutto ciò che si poteva tradurre in bit, ovviamente anche al di fuori del territorio statunitense, subì una forma di incontrollata diffusione, con gigantesche violazioni dei diritti degli autori. Alcune specifiche caratteristiche del progresso tecnologico favorirono quella rivoluzione, e riguardarono le economie della riproduzione, della distribuzione e della diffusione dell’informazione.

Si tratta di aspetti che potremmo così schematizzare:

  • l’informazione nella forma digitale cambiò l’economia della riproduzione;
  • le reti di computer mutarono l’economia della distribuzione;
  • il world wide web trasformò l’economia della diffusione pubblica.

In relazione al primo aspetto, appare evidente come l’informazione digitale abbia ridotto drasticamente le difficoltà e i costi di riproduzione. Divenne possibile e molto semplice creare copie perfette, identiche all’originale, e ogni riproduzione poté fungere da seme per la creazione di altre copie, altrettanto perfette. Il progresso tecnologico, in questo modo, erose alcune barriere naturali alla trasgressione che, un tempo, consistevano nell’incapacità di riprodurre copie fedeli agli originali e di riuscirci a costi contenuti.

L’evoluzione tecnologica e normativa

Le copie “pirata”, generate tramite altre copie, in altri tempi avevano una qualità progressivamente sempre più scadente, mentre i costi degli strumenti necessari per produrre le riproduzioni non erano certo sopportabili per chiunque. L’evoluzione tecnologica “sanò” questi gap. Il diritto di copia, copyright, espressione che nella normativa anglosassone definisce l’intera disciplina in materia di proprietà intellettuale, entrò quasi irrimediabilmente in crisi proprio a causa delle mutate tecniche di riproduzione del materiale digitale. Non solo.

Come anticipato, difatti, subirono una drastica evoluzione anche le modalità di distribuzione e diffusione dell’informazione. Attraverso il web ed il modello peer to peer, difatti, divenne possibile trasferire contenuti digitali in tutto il mondo, ad una velocità pressoché istantanea e sostenendo costi risibili. Servirono anni per trovare nuovi assetti e soluzioni tecnologiche in grado di difendere i diritti dei creatori dai rischi insiti nella smaterializzazione.

NFT, perché è un salto epocale

E dopo un lungo lasso temporale, raggiunto un assetto finalmente piuttosto stabile, ecco affacciarsi all’orizzonte un nuovo salto epocale. Tutte le considerazioni fin qui svolte sono state superate, semplicemente non valgono più: la smaterializzazione ha cessato di rappresentare un rischio ed è diventata il valore aggiunto trainante una nuova economia miliardaria, appunto quella degli NFT.

Si tratta di un sistema, per quanto recente già molto diffuso, in grado di attribuire ad un prodotto digitale una sorta di patente di unicità, perfino munita di adeguate garanzie di sicurezza ed integrità. Una specie di certificato di autenticità associabile a qualunque oggetto digitale, sia esso video, foto, GIF, testo, articolo, audio ecc.

In sostanza, tutto ciò che fino a non molto tempo fa valeva quanto un semplice agglomerato di bit – “beni” per definizione riproducibili all’infinito – si è potenzialmente riappropriato dell’infungibilità, che è caratteristica propria delle opere originali ed esclusive. Quando un oggetto digitale è certificato con un NFT, in sintesi, è come se sopra vi fosse apposta la firma dell’autore. Un miracolo reso possibile dalla blockchain, un registro digitale condiviso e immutabile in cui è possibile memorizzare transazioni di dati che non possono essere alterati, manipolati o eliminati. Sviluppata per garantire la tracciabilità dei trasferimenti, la blockchain ne accerta in modo sicuro e affidabile la trasparenza e verificabilità.

Il caso della Crypto art

Nata con altri scopi, è oggi il fondamento della cosiddetta crypto art, praticamente esplosa negli ultimi mesi, con un mercato di opere ed oggetti digitali venduti in tutto il mondo per cifre semplicemente folli. Il 13 maggio dell’anno scorso Christie’s ha battuto all’asta una serie di 9 rari CryptoPunks (immagini in pixel art generate da un algoritmo) per quasi 17 milioni di dollari.

Un altro CryptoPunk, tanto per intenderci una rudimentale immagine digitale raffigurante un omino verde acqua con cappellino e occhiali da sole che fuma una pipa, è stato venduto nel marzo 2021 per 7,57 milioni di dollari. John Legere, l’ex CEO di T-Mobile, ha speso quasi 900mila dollari per comprare l’NFT di un video musicale di 36 secondi realizzato dal musicista, stilista e imprenditore Steve Aoki in collaborazione con l’illustratore 3D Antoni Tudisco.

Il pezzo è noto semplicemente come “Hairy” (“Peloso”) e rappresenta una creatura blu e rosa con occhiali che balla sulle note di uno dei pezzi di Aoki. La lista degli “affari” conclusi solo nell’ultimo anno sarebbe ancora lunghissima. Se il mercato dell’arte tradizionale persegue logiche difficili da afferrare anche per chi se ne professa esperto, ed è caratterizzato per dalla difficile distinguibilità tra l’“affare” e la “fregatura”, quello dell’arte digitale presenta, probabilmente, incognite ancora maggiori. Nel replicare molte caratteristiche di quello reale, spesso enfatizzandone la portata, il mercato digitale sembra avere già assimilato alcuni tratti preoccupanti, per così dire opachi, in punto di (il)liceità di talune prassi.

NFT e illeciti

È notizia recente l’arresto di tre individui accusati di illeciti fiscali ed un maxi sequestro del valore di 1,4 milioni di sterline, disposto dalla Her Majesty’s Revenue and Customs (Hrmc), l’autorità fiscale britannica, per un sospetto caso di frode sull’iva. Attraverso un articolato rimbalzo di identità fasulle, un ginepraio di circa 250 società fantasma, l’utilizzo di telefoni non registrati e l’emissione di fatture false, i tre indagati avrebbero cercato di incassare dalla vendita di NFT (molta) più iva rispetto a quella effettivamente dovuta.

La disponibilità di notevoli quantità di NFT musicali, tra i più ricercati insieme alle opere d’arte digitali, ha già provocato una crescita esponenziale delle truffe: sottrazione di personalità di artisti, violazioni di copyright o di marchi registrati fino a vere e proprie operazioni di rug pull scam. La RIAA, l’associazione statunitense che rappresenta le case discografiche, ha di recente inviato una prima lettera di diffida alla piattaforma Hitpiece, che offriva NFT per i fan di noti artisti quali Taylor Swift senza alcuna autorizzazione.

In Italia, DcP (Digital Content Protection), ha inviato diverse richieste di rimozione alla piattaforma Opensea. Roblox, celebre piattaforma di gaming online, ha dovuto disporre la rimozione di una falsa “venue” virtuale creata a nome di Warner Music.

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