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PNRR, il Governo punta su PA digitale: luci e ombre del piano

L’attenzione del Governo alla digitalizzazione, alla semplificazione, alla qualità dei servizi della PA è alta nel Piano Nazionale italiano per la Ripresa e Resilienza. Ma manca ancora una definizione chiara delle missioni-Paese e un forte investimento su aumento delle competenze digitali della PA

Pubblicato il 14 Dic 2020

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In questi giorni sta prendendo forma il Piano Nazionale italiano per la Ripresa e Resilienza (PNRR). Un intenso e, a volte, teso dibattito politico accompagna, come per altro è naturale, questo parto che necessariamente condizionerà la vita politica, sociale ed economica del Paese per i prossimi decenni. Per ora abbiamo potuto leggere solo una prima bozza di 125 pagine, che è quella che è entrata nel Consiglio dei Ministri del 7 dicembre, Consiglio che è stato poi sospeso a causa della presunta positività al covid-19 della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

I numeri del Piano Nazionale italiano per la Ripresa e Resilienza

Non c’è dubbio che, già a questa prima lettura, risulta evidente che la transizione del Paese al digitale ha un posto centrale nel Piano. Per capire che vuol dire facciamoci aiutare da qualche numero:

  • 196 sono i miliardi del “Recovery & Resilience Facility” (RRF) che vanno investiti attraverso il PNRR, gli altri 12,6 miliardi per arrivare ai 208,6 miliardi di Next Generation EU derivano dallo strumento “ReactEU” che è un pacchetto che comprende 55 miliardi di € di finanziamenti aggiuntivi che saranno resi disponibili per il periodo 2014-2020 a titolo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), del Fondo sociale europeo (FSE) e del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD). Questi finanziamenti aggiuntivi saranno erogati nel 2021-2022 nel quadro di Next Generation EU.
  • 20% è il minimo di risorse che devono essere investire nella Trasformazione digitale, ma la bozza del Piano prevede di investire circa il 23%, per un po’ più di 40 miliardi
  • 14 miliardi sono destinati all’innovazione e al Digitale nel Quadro Finanziario Pluriennale dell’usuale ciclo di programmazione europea 2021-2027
  • 70% è la percentuale dei fondi che devono essere impegnati entro il 2022 mentre il restante 30% deve essere impegnato entro il 2023 e il 100% dei fondi deve essere speso entro il 2026
  • 94 volte appare la parola “digitale/i” nel piano, mentre la parola “digitalizzazione” compare 72 volte; tanto per fare un paragone ambiente/ambientale/i compaiono 42 volte e green 21 volte.
  • 10 sono i progetti esplicitamente dedicati al digitale divisi in tre componenti che costituiscono la prima missione del Piano “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura. Ma il digitale è un fattore chiave per moltissimi altri progetti del Piano: per la mobilità sostenibile, per il monitoraggio digitale di strade viadotti e ponti, per la logistica portuale e aeroportuale, per l’istruzione e formazione, per la promozione dell’imprenditoria femminile, per l’agricoltura di precisione e, ovviamente, per la sanità digitale, con la telemedicina, la teleassistenza e il telemonitoraggio che garantirebbero quel presidio territoriale che ci è così tragicamente mancato.

Bene, ma questa centralità cosa comporta? Insomma, quali sono gli obiettivi degli investimenti in digitale, soprattutto quelli contenuti nella prima missione?

La bozza a nostra disposizione non ci consente un esame di dettaglio, ma un quadro generale emerge chiaramente: un investimento importante, pari a oltre 10 miliardi, sarà dedicato alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, mentre la parte maggiore della missione sarà dedicata alla componente “Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione” con un investimento (non tutto dedicato esplicitamente alla transizione digitale) di circa 35,5 miliardi, mentre una parte residuale, pari a 3,1 miliardi sarà dedicata alla componente “Cultura e turismo” che comprende anche l’uso strategico del digitale da parte delle istituzioni culturali.

Con il programma Cultural Heritage for Next Generation si vuole avviare infatti una profonda digitalizzazione del patrimonio culturale (con l’uso di tecnologie digitali avanzate si procederà al completamento di archivi e cataloghi informatizzati), per promuovere un accesso diffuso e inclusivo ad una vasta platea di soggetti: cittadini, studenti, ricercatori, industrie culturali e creative, etc.

Le componenti principali della missione “digitalizzazione PA”

Ma veniamo alle componenti principali di questa missione partendo dalla digitalizzazione della PA. La tabella riassuntiva che possiamo leggere nella bozza del Piano, alla fine del capitolo dedicato alla prima missione, riporta per questa “componente” (così sono definite le suddivisioni delle missioni) 4 progetti:

  • Modernizzazione e digitalizzazione della PA
  • Innovazione organizzativa, lavoro agile e capitale umano della PA
  • Innovazione organizzativa della Giustizia
  • Tecnologie e pagamenti digitali

I progetti non hanno l’indicazione dell’investimento, ma solo una descrizione qualitativa. Vediamo come si compongono.

Quattro aree compongono il primo progetto dedicato all’infinito processo di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica.

  • La prima attiene alle infrastrutture digitali e si basa sulla convinzione che per dotare la PA di infrastrutture affidabili e accompagnare le amministrazioni centrali verso una nuova logica di conservazione e uso dei dati e di fornitura dei servizi occorre innanzitutto un sistema cloud efficiente e sicuro. C’è qui un’accelerazione importante verso un cloud nazionale della PA.
  • La seconda area d’intervento parla di dati e interoperabilità perché per dare effettiva e completa attuazione al principio del once only, occorre rendere interoperabili le basi dati e renderle accessibili attraverso un catalogo di API che consenta alle Amministrazioni centrali e periferiche, secondo vari livelli di autorizzazione, di attingere ai dati del cloud, di elaborarli e di fornire servizi a cittadini e imprese, che potranno così fornire un’informazione “una sola volta” all’Amministrazione.
  • Una ulteriore area è poi dedicata allo sviluppo e all’uso di servizi e piattaforme, tema non certo nuovo, ma che viene rilanciato sottolineando che è necessario sviluppare e diffondere piattaforme abilitanti quali: identità digitale, firma elettronica, strumenti di pagamento digitale, fascicolo sanitario elettronico, etc., implementandone l’uso attraverso standard comuni.
  • Infine, la quarta e ultima area riguarda la cybersecurity che vede qualche importante novità. Il Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica (PSNC), unitamente all’attuazione della Direttiva NIS e delle Misure Minime AGID, sono infatti progetti di riforma di ampio respiro che hanno l’obiettivo di migliorare la capacità di resilienza del sistema paese. Per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni tecnologiche nazionali di sicurezza, da utilizzare all’interno del PSNC e della NIS, il Piano si propone inoltre di istituire un centro di sviluppo e ricerca sulla Cybersecurity, che opererà attraverso la costituzione di Partenariati Pubblici-Privati (con i campioni nazionali e le università) e il lancio di spin-off/startup.

Accanto a queste azioni specificatamente dedicate alla trasformazione digitale delle amministrazioni pubbliche il Piano prevede, senza però indicare precisamente dove e come dovranno essere destinati gli investimenti, un progetto di “innovazione strategica della PA” articolato in tre direttrici, certo importanti, come certamente non nuove.

  • La prima parla di una PA competente e prevede il rafforzamento e valorizzazione del capitale umano attraverso politiche mirate di reclutamento del personale con le competenze necessarie e interventi di formazione per il personale attualmente impiegato. Tema quanto mai importante su cui FPA, Forum Disuguaglianze Diversità (l’associazione coordinata da Fabrizio Barca) e Movimenta (l’associazione politica presieduta da Alessandro Fusacchia) hanno presentato recentemente una articolata proposta e che avrebbe senz’altro bisogno di una più dettagliata trattazione.
  • Poi vediamo l’obiettivo di una PA semplice, connessa e al servizio dei cittadini attraverso la semplificazione delle procedure amministrative, la digitalizzazione dei processi e la velocizzazione delle procedure. Anche qui il punto non è la definizione di un obiettivo che innumerevoli Governi hanno perseguito da almeno mezzo secoli, ma come farlo. Vedremo. Certo è strano che il Piano dedichi 10 pagine dettagliatissime sul pur essenziale tema della riforma della Giustizia e quattro righe al tema dei temi: come rendere la PA semplice, vicina e veloce. Ma tant’è.
  • Ultimo obiettivo di questo mega progetto è una PA capace, tema gigantesco, che viene però assai ridotto perché alla fine si parla solo di uso di spazi di co-working e di lavoro agile. Due progetti verticali fanno da contorno a questi due progetti principali: l’innovazione organizzativa della Giustizia con l’introduzione della figura dell’assistente giudiziario e l’ormai nota diffusione dell’uso di tecnologie e pagamenti digitali nella popolazione.

Il progetto “Transizione 4.0”

Ma, come dicevamo, la prima missione del Piano indirizza la parte prevalente delle risorse (35,5 miliardi su un totale di 48,7) alla componente “Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione”. La parte del leone la fa il progetto “Transizione 4.0” che prevede incentivi per agevolare la transizione digitale e green.

Si tratta di due interventi principali che sostituiscono la disciplina precedente: a) credito di imposta 2021/2026 per investimenti in beni strumentali (subentra anche a ammortamento e superammortamento) e b) Aggiornamento dei macchinari per i quali le imprese possono vantare un beneficio fiscale (Nuova Sabatini). Questo progetto non è definito meglio nel Piano, ma sembra essere la continuazione, potenziata, delle politiche già in atto. A questo si accompagnano poi altri sette progetti (ma non saranno troppi?) dedicati al potenziamento del regime opzionale di tassazione “Patent box” per i redditi d’impresa derivanti dall’utilizzo di software e di brevetti tutelati; all’agricoltura digitale, all’editoria 5.0; al potenziamento delle azioni per la Banda Ultralarga e il 5G (indiscrezioni ci suggeriscono che a questo progetto sarebbero assegnati solo meno di 4 miliardi).

C’è poi una citazione di mezza riga su “microprocessori” su cui, per ora, non si dice nulla. Difficile giudicare questa parte del Piano, importantissima per le risorse previste, ma per or solo abbozzata. Vedremo. Certo, anche se come abbiamo detto questa è una bozza, seppur largamente circolata, stupisce una volta di più la mancanza di approfondimento quando si esce dal perimetro della PA.

Le aggiunte della ministra Paola Pisano alla Camera

Fin qui la bozza del Piano, ma successivamente alla divulgazione in forma “grigia” di questo, la Ministra Paola Pisano, nel question time alla Commissione Trasporti della Camera lo scorso 10 dicembre, rispondendo a una domanda relativa all’uso dei fondi di Next Generation EU che sarebbero stati di sua competenza, ha dato delle risposte interessanti. Ha detto che il suo Dicastero e le amministrazioni di cui lei si avvale (ossia il Dipartimento della trasformazione digitale e l’AgID) stanno lavorando a cinque progetti:

  • Infrastrutture digitali, cloud,
  • Dati e interoperabilità, once only
  • Servizi e piattaforme abilitanti
  • Sicurezza e privacy
  • Competenze digitali

I limiti del piano del Governo

Ancora una volta, quindi, è alla digitalizzazione della PA, alla sua semplificazione, alla qualità dei suoi servizi che si rivolge l’attenzione del Governo. E questo è certamente un bene perché senza una buona PA non ci sarà né ripresa né resilienza, ma purtroppo dell’ultimo e più importante dei progetti citati dalla Ministra, l’azione per accrescere le competenze digitali sia degli impiegati pubblici sia dei cittadini, potenziali fruitori dei servizi online, non c’è traccia nel Piano, tranne nel breve cenno sulla qualificazione del “capitale umano” interno alla PA, né vediamo per esso stanziamenti di risorse.

Sono certo che non si tratti né di una dimenticanza né di una volontaria omissione, ma è un segno di quello che, in ultima analisi, mi sembra il difetto principale di tutto il PNRR: una frammentazione eccessiva e una non sufficiente ambizione per ciascuno di essi.

Vediamo infatti una lista di molti (troppi) progetti divisi per categorie, che, a prima vista, rispecchiano più l’attuale suddivisione dei dicasteri di Governo, con le rispettive sfere di influenza dei partiti, piuttosto che una definizione chiara delle missioni-Paese che dobbiamo affrontare.

Ci saremmo aspettata la proposta di pochi obiettivi strategici il cui raggiungimento portasse, nel prossimo decennio, perché è questo l’orizzonte temporale a cui dobbiamo guardare, ad un sostanziale riorientamento dello sviluppo.

Certamente la transizione al digitale è uno di questi obiettivi, così come è altrettanto importante l’investimento sulla PA che costituisce la piattaforma abilitante per qualsiasi altra politica. Si tratta però di focalizzare gli sforzi su poche e sfidanti politiche che facciano ricordare questo turbolento periodo come l’inizio di un nuovo sviluppo equo, sostenibile, inclusivo.

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