L'analisi

Privacy e segreto professionale dei legali, perché servono regole chiare

Segreto professionale dell’avvocato e utilizzo in giudizio di conversazioni, email e chat con in proprio legale: un nodo su cui è intervenuta una recente sentenza della Corte europea per i Diritti dell’Uomo che ha condannato la Norvegia

Pubblicato il 22 Feb 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

Giustizia digitale

Il segreto professionale dell’avvocato in materia penale tutela il cliente nei confronti dell’autorità giudiziaria che voglia utilizzare le informazioni riservate che intercorrono tra loro.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito, con una sentenza del dicembre 2020, ha ribadito il carattere privilegiato – cosiddetto legal privilege – del rapporto avvocato-cliente, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritto dell’Uomo. Ogni Stato aderente alla Convenzione, quindi, deve dotarsi di regole certe, in un contesto normativo chiaro e preciso, per tutelare il diritto alla riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente. Vediamo nel dettaglio cosa ha stabilito e perché la sentenza, che riguarda la Norvegia, è importante anche per l’Italia.

L’antefatto

A un cittadino norvegese era stato sequestrato lo smartphone nell’ambito di un procedimento penale relativo ad un tentativo di omicidio ai suoi danni. Il sequestro aveva come scopo cercare elementi di prova su eventuali contrasti intercorrenti tra lui e le persone indagate. Già all’atto del sequestro aveva però fatto presente che nel telefono erano presenti email e chat con i propri legali, relativi ad un altro procedimento penale in cui era stato imputato e, successivamente, assolto.

Posto che era evidente come la corrispondenza telematica tra cliente ed avvocato fosse coperta dal segreto professionale, l’autorità procedente, in un primo momento, ha rassicurato la persona cui era stato sequestrato il cellulare che quelle conversazioni non sarebbero state utilizzate. L’autorità giudiziaria norvegese, tuttavia, aveva disatteso la rassicurazione data e, uniformandosi ad un principi odi diritto espresso dalla Corte suprema norvegese, aveva incaricato la polizia giudiziaria di effettuare un esame preliminare del contenuto delle conversazioni per espungere solo successivamente quelle tra cliente ed avvocato nell’ambito della copia forense del contenuto del dispositivo.

La decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo

Il cittadino norvegese aveva, quindi, proposto ricorso alla CEDU, affermando che il vaglio preliminare della polizia giudiziaria, così come gatto effettuare dall’autorità giudiziaria norvegese, violava l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La norma convenzionale sancisce il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, della propria casa e della propria corrispondenza.

La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha confermato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, seguendo un filone interpretativo per cui il legal privilege presente nelle conversazioni, personali o telematiche, tra avvocato e cliente, è e resta conseguenza diretta del diritto di ogni persona a non incriminarsi.

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La situazione in Italia

Il Codice di procedura penale assicura l’inutilizzabilità delle intercettazioni delle conversazioni tra avvocato e cliente, in qualunque modo esse vengano captate, incluse quelle carpite per mezzo del trojan horse, ossia il malware utilizzato come captatore informatico ed oggetto di numerosi interventi della Cassazione. Vi sono però numerose deroghe a questo principio e, nella prassi, troppo spesso si rinvengono, nei fascicoli di procedimenti penali, trascrizioni di conversazioni tra avvocato e cliente.

In primo luogo, per esempio, sono pienamente utilizzabili le conversazioni tra familiari dell’indagato o imputato e l’avvocato di quest’ultimo: non è infrequente che un parente dell’indagato in custodia cautelare si metta in contatto con il legale del proprio caro sottoposto a misura. Se il telefono dei familiari, per qualunque ragione – anche perché, magari, sotto indagine essi stessi – è intercettato, quelle conversazioni saranno pienamente utilizzabili anche nel procedimento a carico della persona effettivamente difesa dal legale. Non solo: perché le conversazioni in qualunque modo intercettate siano inutilizzabili, è necessario che vi sia una preventiva nomina a proprio difensore del legale chiamato.

La pronuncia della Cassazione

Nel 2018, infatti, la Cassazione aveva ritenuto utilizzabili le conversazioni tra un imputato ed il proprio legale perché non vi era previa nomina e perché la conversazione, a parere dei Giudici, aveva avuto carattere amicale e non professionale e non rientrava, quindi, nelle ipotesi di tutela dello studio professionale dell’avvocato previste dall’articolo 103 del Codice di procedura penale.

Conclusioni

Il principio di diritto sancito dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo è noto e la sentenza si pone in sostanziale continuità con la giurisprudenza europea sul punto. È tuttavia da chiedersi se l’applicazione concreta della riforma delle intercettazioni telefoniche ed ambientali entrata recentemente in vigore nel nostro ordinamento terrà o meno: certamente, è stata scritta nell’ottica di non incorrere in violazioni dell’articolo 8 della CEDU.

È vero anche che il potere di intercettazione, nel nostro Pese, è molto ampio e le garanzie sono, di fatto, ridotte al minimo nelle ipotesi in cui le intercettazioni siano disposte nei procedimenti per criminalità organizzata. Abbiamo assistito, nei mesi scorsi, all’emanazione, da parte di numerose Procure della Repubblica di linee guida in materia: i prossimi mesi diranno se, all’atto pratico, vi sarà rispondenza o meno al diritto previsto dall’articolo 8 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.

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