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Servizi digitali al palo nei piccoli Comuni: tanta forma, poca sostanza

Le PA, a tutti i livelli, hanno fatto notevoli sforzi per la digitalizzazione dei processi e per l’attivazione di servizi in rete, ma la PA Centrale, le Regioni ed i grandi Comuni mostrano ancora una maggiore capacità di attivare servizi in rete rispetto ai Comuni più piccoli. E’ il caso di PagoPA e fattura elettronica

Pubblicato il 28 Set 2017

Gianpiero Zaffi Borgetti

Fondazione IFEL

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Il processo di efficientamento ICT della pubblica amministrazione si sta sviluppando attorno ad una serie di progetti nazionali abilitanti e attraverso il potenziamento di alcune infrastrutture centrali esistenti con le quali i Comuni devono colloquiare. Alcuni di questi progetti riguardano specificatamente la finanza pubblica che il Piano Triennale per l’Informatica nella pubblica amministrazione 2017-2019 caratterizza come ecosistema, ossia come ambito tematico dotato di regole proprie necessarie per il suo funzionamento, di basi dati e piattaforme abilitanti di riferimento. Fra queste, citiamo il sistema per i pagamenti elettronici (PagoPa), le piattaforme per fatturazione elettronica e per la certificazione crediti, la Banca Dati Amministrazioni Pubbliche (BDAP) e l’evoluzione del Sistema Informativo sulle Operazioni degli Enti pubblici, SIOPE in SIOPE+.

Per fotografare lo stato di attuazione delle iniziative elencate e tracciare un avanzamento che davvero misuri la crescita digitale bisogna far luce sull’effettiva capacità della PA, anche locale, di cogliere le innovazioni in corso e di contribuire fattivamente al circuito virtuoso di crescita. Infatti, se da un lato tutti i livelli di Amministrazione hanno fatto notevoli sforzi per la digitalizzazione dei processi e per l’attivazione di servizi in rete, dall’altro la Pubblica Amministrazione Centrale, le Regioni ed i grandi Comuni mostrano ancora una maggiore capacità di attivare servizi in rete rispetto ai Comuni di minori dimensione che, di tale capacità, sono spesso sprovvisti.

Guardiamo al fenomeno dei pagamenti digitali verso la PA. Sicuramente, anche grazie ai cambiamenti nel contesto normativo europeo e italiano ed all’obbligatorietà di adesione a PagoPa già a partire dal 2013, si è attivato un trend positivo rispetto al passato. E, infatti, il monitoraggio permanente ci dice che, a luglio 2017, ben 15.780 amministrazioni pubbliche hanno aderito al nodo e che fra queste, 11.651 enti, cioè il 74% degli aderenti, sono attivi per un numero di transazioni che supera abbondantemente i due milioni. Ma cosa fanno i Comuni? Hanno aderito in 6.925, ma sono in meno di 2.700 ad essere attivi. Quindi scende al 38% il rapporto fra chi ha aderito e chi si è attivato, come dire che la pianificazione si è tradotta in operatività in poco più di un terzo dei casi. La forma prevale sulla sostanza.

Se poi guardiamo alla fatturazione elettronica scopriamo che anche in questo caso forma e sostanza non vanno di pari passo, ma questa volta con un significato particolare. Dal 31 marzo 2015 i Comuni si sono resi identificabili in quanto destinatari di fattura elettronica e si sono attrezzati per ricevere il documento digitale. Tuttavia molti di essi, specie i piccoli meno strutturati sotto il profilo organizzativo e tecnologico, hanno adottato la soluzione di rispondere formalmente alla cogenza normativa, scegliendo la posta elettronica certificata come canale di comunicazione e rinunciando a parte dei benefici della dematerializzazione.

I numeri del monitoraggio complessivo dicono che la fatturazione elettronica è un progetto a regime, perché le amministrazioni la adottano e si rapportano con il Sistema di Interscambio in conformità con la normativa vigente. Tuttavia, dal punto di vista dell’effettiva crescita digitale gli enti locali hanno parecchia strada da fare.

Morale? La “messa a terra” delle piattaforme condivise fa emergere il quadro di una PA locale che:

  • adotta soluzioni di minima, laddove consentite, pur di adempiere agli obblighi normativi (è il caso dell’utilizzo della pec per la fatturazione elettronica)
  • registra un gap infrastrutturale per il raccordo con le piattaforme centrali e con gli altri enti se l’unica interlocuzione consentita è in cooperazione applicativa e, quindi, il canale è il SPCoop (pagamenti elettronici).

Il monitoraggio registra le criticità dei pagamenti elettronici, ma non coglie i problemi e le contraddizioni della fatturazione elettronica, che pure ci sono visto che nei Comuni l’integrazione con altre importanti innovazioni (conservazione sostitutiva, raccordo automatico dei flussi di rendicontazione restituiti dal nodo con i sistemi gestionali e, in generale, dematerializzazione) è tutt’altro che scontata.

Elementi diversi, ma, comunque, interessanti emergono se si guarda ad un altro degli assi portanti dell’ecosistema Finanza Pubblica, vale a dire la BDAP, la Banca dati delle operazioni contabili delle Pubbliche amministrazioni.

L’implementazione di una banca dati unitaria attraverso l’acquisizione dei nuovi bilanci è, fuori dubbio, un elemento positivo per la conoscenza della finanza locale. È tuttavia evidente che l’innovazione in questione potrebbe non tradursi in un reale innalzamento delle funzioni della BDAP se non verranno rimosse completamente le duplicazioni nella trasmissione di dati contabili a soggetti istituzionali diversi. Gli enti, infatti, sono stati finora chiamati a trasmettere le informazioni contabili ad una pluralità di soggetti istituzionali: Ministero dell’economia e delle finanze, Corte dei Conti, Ministero dell’interno, in momenti temporali diversi e spesso a ridosso di scadenze fondamentali per la gestione finanziaria comunale.

Sempre in ambito finanza locale uno sguardo al SIOPE+ induce riflessioni interessanti.

Rispetto al SIOPE, che rileva le informazioni su pagamenti e incassi dai tesorieri, SIOPE+ ha l’obiettivo di migliorare il monitoraggio dei tempi di pagamento dei debiti commerciali della PA attraverso l’integrazione delle informazioni rilevate da SIOPE con quelle delle fatture passive. Per fare ciò la rilevazione coinvolge gli enti, si sposta sui mandati di pagamento e prevede una serie di regole tecniche stringenti. Fra queste l’obbligatorietà dell’ordinativo informatico, che di per sé richiederà uno sforzo di adeguamento ai Comuni visto che oltre un terzo degli enti utilizza ancora il mandato cartaceo. Ci sono poi i requisiti sulla connettività e le regole per la registrazione, fino ad arrivare alla cooperazione applicativa, canale esclusivo per il colloquio fra enti e SIOPE+, che avverrà attraverso l’utilizzo di web services REST. Insomma, un gran lavoro.

E’ in corso una sperimentazione che misurerà gli impatti dell’innovazione sul versante organizzativo e tecnologico, ma che -da subito- lascia emergere elementi di novità, anche sorprendenti. I Comuni, che potrebbero demandare ad un soggetto terzo l’implementazione del colloquio tecnico con il SIOPE+, scelgono di valutare la possibilità di collegarsi direttamente all’infrastruttura centrale senza ricorrere ad intermediazioni. Mentre per PagoPa è successo che le Regioni più attive hanno assunto un ruolo guida rispetto ai Comuni col risultato di un coinvolgimento locale disomogeneo, SIOPE+ sembra offrire un terreno in cui il “comune medio” riesce a guardare alla cooperazione applicativa come ad una delle opzioni “alla sua portata” e quindi percorribile direttamente. E’ la prima volta che accade. Sulle motivazioni si potrebbe a lungo discutere, esaminando le peculiarità dello standard REST rispetto al protocollo SOAP o analizzando le ricadute di una diversa logica di sussidiarietà, questa volta giocata a livello nazionale da Ragioneria dello Stato, ma di sicuro l’elemento che salta all’occhio è che il Comune non rinuncia in partenza ad essere artefice del proprio percorso innovativo verso un modello di interoperabilità sostenibile.

In ogni caso va ribadito che il successo delle piattaforme di riferimento per la finanza pubblica passa per la soluzione di due questioni fondamentali. Primo: oltre al finanziamento delle infrastrutture condivise, occorre prevedere risorse per i meccanismi di interlocuzione con il territorio e per l’innalzamento della capacità di back office dell’amministrazione locale che rischia, altrimenti, di non ottenere i benefici della digitalizzazione e di non riuscire ad attivare i servizi in rete. Secondo: è necessario un maggiore coordinamento fra le diverse iniziative, sia per gli aspetti tecnologici che sul versante organizzativo e delle dinamiche inter-istituzionali, cosi da evitare che lo stesso ente locale sia sottoposto ad una pluralità di adempimenti, gravosi, ma non sempre sinergici e convergenti.

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