La situazione

Smart working dopo l’emergenza, ecco come sarà: possibili scenari per le aziende

La possibilità di svolgere lo smart working è stata prorogata fino a fine anno, ma già si ipotizzano le strade da intraprendere una volta passata la fase di emergenza: ecco quali sono le ipotesi

Pubblicato il 09 Ott 2020

Chiara Ponti

Avvocato, Privacy Specialist & Legal Compliance e nuove tecnologie – Baccalaureata

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Il termine per la comunicazione semplificata dello smart working è stato prorogato fino a fine anno. I datori di lavoro dunque potranno continuare a utilizzare i modelli semplificati, già in corso di diffusione, così come l’applicativo informatico. Ma intanto già si pensa al dopo, delineandosi una linea sempre più chiara e netta verso una riforma decisiva.

Smart working tra proroga e prospettive di riforma

Fino al 31 dicembre 2020, il datore di lavoro può disporre l’attività in smart working, unilateralmente senza cioè ancora la necessità di un accordo individuale con il dipendente utilizzando la procedura semplificata per la relativa notifica al Ministero del Lavoro. Altra novità del citato DL pressoché contestuale alla Delibera del Consiglio dei Ministri anch’essa emanata in data 7 ottobre 2020 con la quale viene prorogato lo stato di emergenza al 31 gennaio 2021.

Ancora, sempre in tema di smart working, i genitori lavoratori con figli under 14 posti in quarantena per un contatto con un positivo avvenuto a scuola o durante l’attività sportiva o ricreativa, hanno diritto di lavorare da remoto senza limitazione alcuna fino a fine anno, per tutta la durata della quarantena (fiduciaria), anche in caso di proroga o ripetizione della stessa nel tempo e per figli differenti.

La successiva conversione in legge del D.L. n. 125/2020  (nei sessanta giorni) dovrebbe estendere fino al 30 giugno 2021, il diritto allo smart working per i genitori di figli con disabilità grave. Dal 16 ottobre 2020 e fino al 31 dicembre 2020 per i lavoratori “fragili” lo smart working sarà la regola.

Attualmente, i lavoratori positivi asintomatici non possono essere messi in alcun modo, forma e misura, in smart working, pur stando bene poiché asintomatici, in quanto la sola contrazione del virus senza incidere — fortunatamente per loro — sulla salute, li pone comunque in uno status di malattia impeditivo, a rigore, di lavorare da casa. A stabilirlo sono il Decreto Cura Italia e il Decreto Rilancio. Questo salvo eccezioni particolarissime: si faccia il caso di una struttura che ha un piccolo ufficio di Centro Elaborazione Dati (CED) retto da un solo dipendente. Quest’ultimo se costretto a stare in quarantena (obbligata o fiduciaria) non può smettere di lavorare e bloccare il funzionamento del CED.

Al di là di queste rare ipotesi, il problema in termini di disciplina resta dal 16 ottobre quando si dovrà capire se, per continuare ad operare in smart working, si debba ricorrere alla procedura ordinaria di cui alla L. 81/2017 o ad altre formalità, come parrebbero in arrivo con un importante progetto di riforma.

L’ipotesi di una riforma

Tanti sono i punti in discussione sui tavoli tecnici che vorrebbero condurre lo smart working ad una svolta decisiva, legislativamente parlando. Anzitutto, la centralità del ruolo della contrattazione in particolare sul tema del diritto alla disconessione al fine di garantire un bilanciamento equo tra la necessità di conciliare i tempi di vita e di lavoro, specie delle donne/mamme lavoratrici sulle quali, evidentemente, gravano maggiori carichi familiari. Se così fosse confermato, verrebbe messo conseguentemente in discussione l’esclusivo meccanismo dell’accordo individuale da redigere per iscritto. L’apertura ad una contrattazione collettiva significherebbe anche poter normare, in quella sede, aspetti come la disconnessione o la conciliazione su temi delicati come ad esempio l’erogazione o meno dei buoni pasto, in regime di smart working. Allo studio sono molteplici le ipotesi di riforma che intendono sostanzialmente garantire:

  • Una riserva, a livello di contratto nazionale, di quote percentuali per tale modalità.
  • La possibilità di valutare il lavoro per (raggiungimento di) obiettivi;
  • Una flessibilità organizzativa
  • Un cambio significativo di mentalità a livello aziendale, allineandosi agli altri Paesi.

Tra le criticità, essenzialmente vi è il rischio che, con il filtro collettivo posto a priori, venga meno quella possibilità — attualmente contemplata — di rendere reversibile l’accordo individuale con l’evidente pericolo di “ingessare” lo strumento dello smart working determinando l’effetto opposto quello cioè volto a disincentivarlo. Nello spirito del legislatore nazionale vi era l’intenzione di creare «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali ed un’organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi» stabilita grazie al raggiungimento di un Accordo tra le parti (datoriale e lavoratore) ben potendosi sciogliere in qualunque momento e così ritornare alla modalità ordinaria basata sulla presenza in azienda. Al momento siamo ancora in una fase di transizione nella quale si cristallizza sempre di più la regola secondo cui il lavoro, nella sede fisica dell’organizzazione, pare essere l’eccezione.

Come funziona lo smart working

Molte realtà private, nella fase di riapertura post ferie, si sono radicate ulteriormente nella modalità di smart working. Alcune 5 giorni su 5, specie quelle per la cui mansione non è richiesta la presenza fisica in azienda. Altre, secondo regimi “a rotazione”. Poche sono quelle invece che hanno riaperto chiedendo la totale presenza. Per quanto riguarda la PA, sulla base dei dati forniti dal Governo, il 73,8% delle amministrazioni abbia attivato procedure di lavoro agile includendovi, tuttavia, anche le unità di personale in telelavoro. Secondo fonti ministeriali, l’intenzione sarebbe quella di «…mantenere alte percentuali di dipendenti pubblici in lavoro agile (tra il 30 e il 40%) anche nel post emergenza, affinché l’amministrazione possa essere più flessibile, dinamica e digitalizzata» purché nel rispetto dell’efficienza dei servizi.

Smart working, come fare perché funzioni

A questo punto, trattiamo di strategie. Per tali fini, occorre:

  • una possente e solida cultura manageriale. Evidentemente, il lavoro agile non può essere concepito come una sorta di “vacanza” dei dipendenti;
  • aver ben chiari dovranno essere gli obiettivi da raggiungere fissando le priorità. Dovrà essere pensato come uno strumento che da un lato, favorisce la conciliazione di tempi di vita/lavoro e dall’altro incrementa la produttiva aziendale;
  • navigare a vista, sulle formalità e procedure da attivare da metà ottobre, salvo ulteriori proroghe emergenziali: o torna l’accordo individuale o si attiverà altro;
  • promuovere l’alternanza tra la presenza in azienda ed il lavoro da remoto da intendersi non più solo casalingo;
  • poter essere “agili, ma non isolati” per non perdere quella forma vitale di interazione umana;
  • fissare paletti e ritmi di giornata lavorativa, onde evitare gli eccessi ora in un lato (eccessivamente zelante), ora nell’altro (troppe distrazioni e momenti di non lavoro);
  • potenziare gli obiettivi da raggiungere verificandoli step by step alla luce dei risultati portati;
  • conoscere le nuove tecnologie da adoperare consapevolmente nella sicurezza tanto delle informazioni quanto della protezione dei dati (privacy) rispettando le policy aziendali;
  • non discriminare i lavoratori in termini di trattamento giuridico economico nel senso che non dovranno percepire retribuzioni inferiori rispetto a coloro che svolgono mansioni analoghe in presenza;
  • monitorare a distanza, ma senza eccessi, e nel rispetto dei divieti juslavoristici.

Vantaggi e svantaggi

In sintesi, ecco vantaggi e svantaggi dello smart working.

VANTAGGISVANTAGGI
  • Considerevole risparmio di costi legati agli spostamenti (work-life balance) e quelli relativi all’impatto ambientale (smart city).
  • La promozione dell’uso di tecnologie digitali innovative, ha inciso profondamente specie nel settore pubblico, sulla gestione e sulla conservazione documentale, già iniziata a partire dall’introduzione del Codice per l’Amministrazione Digitale (CAD) e del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) nell’ottica di garantire maggiore certezza giuridica alla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici firmati digitalmente o con particolari firme elettroniche.
  • L’introduzione del lavoro agile incide poi sul benessere e sulla qualità della vita dei propri dipendenti potendo considerare tale modalità lavorativa finanche come misura di welfare aziendale.
  • L’attenzione sul luogo di lavoro, nettamente superiore a quella casalinga
  • L’effetto grotta o caverna tecnologica con il rischio di isolarsi, fattori sociali alla lunga incidenti su quelli produttivi, specie per chi è abituato alla socialità aziendale.
  • Una tendenziale e maggiore messa a rischio della sicurezza aziendale, in termini di informazioni e dati, se gli strumenti adoperati non sono sufficientemente ed in maniera adeguata protetti ovvero utilizzati, in modo promiscuo (come ad esempio, unico pc per uso aziendale e personale, senza hard disk ripartito ed un account solo, ecc.).
  • La necessità di avere strumenti sempre più performanti e di disporre di un minimo spazio di lavoro più intimo e riservato di una cucina od un tinello.
  • La socialità come crescita ed aiuto.

Conclusioni

In conclusione, occorrerà un generale cambiamento culturale che permetta di considerare — come standard, a tendere — lo smart working per tutti quei lavoratori dipendenti che ricoprono ruoli compatibili con il lavoro digitale.

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