FPA

Un nuovo paradigma PA perché il 2018 non sia l’anno zero dell’innovazione

Pubblicato il 11 Dic 2017

Gianni Dominici

Direttore generale, FPA

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A settembre scade il mandato di Diego Piacentini (commissario all’Agenda Digitale nominato dal Governo Renzi). A marzo quello di Antonio Samaritani (Agenzia per l’Italia Digitale). Il 2018 rischia di essere anno zero dell’innovazione. Non ce lo possiamo permettere e anzi dobbiamo accelerare.

Non è stato un anno di paralisi, il 2017. La PA si è mossa, come visto nel nostro annuario. Ma si è mossa troppo lentamente. È davvero il tempo di fare innovazione radicale, non basta più quella incrementale.

La lentezza si sposa con almeno due problemi: la resistenza al cambiamento e uno sviluppo dell’innovazione frammentato geograficamente.

Nel nostro annuario abbiamo visto che la PA ha quattro approcci all’innovazione. Il primo è burocratico, quello che vede l’innovazione ancora come un adempimento.

Il secondo è funzionale, ne riconosce un ruolo per il miglioramento dei servizi. È un approccio che viene dal paradigma dell’egovernment. I nuovi, importanti strumenti lanciati di recente anche dal Team di Piacentini rispondono ancora a questo approccio: la PA migliora sé stessa introducendo tecnologia.

Il terzo approccio abbandona la logica bipolare, è un approccio collaborativo: l’innovazione serve a instaurare un nuovo rapporto tra cittadini e imprese. Ascolto dei cittadini per sviluppare servizi migliori. È l’approccio dell’open gov.

Il quarto approccio è una prospettiva: quello abilitante. Lo Stato partner. Un modo completamente diverso di intendere il rapporto tra territorio e istituzioni. Cittadini e imprese sono coinvolti nell’esame del bisogno e nella progettazione dei servizi, in una logica del co-design.
Tutti gli approcci sono al momento presenti in Italia. Questa è la PA che ci troviamo davanti adesso.

Abbiamo bisogno quindi di una PA che ha bisogno soprattutto di competenze, formazione. Abbiamo bisogno di strumenti perché si affermi l’approccio dello Stato partner. E lo strumento più importante è quello della cultura della rete, trasformando i dipendenti pubblici da rematori a timonieri, in grado di governare i processi.

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