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I cobot fanno bene alla pmi: così aumentano l’efficienza dei processi produttivi

I cobot, o robot collaborativi, possono aiutare le PMI nella ripartenza: come sono fatti, come funzionano, le differenze con i robot tradizionali, esempi e applicazioni

Pubblicato il 27 Mag 2021

Stefano Capezzone

Imprenditore e Vice Presidente Nazionale CNA Unione Comunicazione e Terziario Avanzato

Foto di Pete Linforth da Pixabay

I robot collaborativi, o Cobot, dalla crasi dei termini inglesi “collaborative robot”, sono l’ultima frontiera della robotica nell’industria manifatturiera.

Un percorso iniziato a partire dai primi anni Ottanta e per tutto il periodo che oggi è spesso identificato come Terza Rivoluzione Industriale: l’avvento dei microprocessori e microcontrollori, lo sviluppo della microelettronica e del software hanno consentito il raggiungimento di un grado di automazione molto elevato e, oltre alle macchine di lavorazione a controllo numerico (CNC), sono gradualmente stati adottati sistemi di controllo degli utensili a “braccio robotico”.

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I robot industriali “tradizionali” sono progettati per svolgere grandi carichi di lavoro ripetitivi con velocità e potenza. Sensori e apparati microelettronici sono prevalentemente impiegati per assicurare affidabilità e precisione di lavoro.

Con il progredire delle tecnologie elettroniche e informatiche, i robot industriali sono diventati sempre più versatili e sulle moderne catene di montaggio, totalmente automatizzate, è possibile fabbricare simultaneamente prodotti di tipo diverso.

Visione artificiale e sensoristica avanzata consentono infatti di adattare movimenti e procedure ai diversi semilavorati che passano sulla linea: quando parliamo di visione artificiale, informatizzazione spinta e sensori avanzati, siamo già nell’ambito della cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, meglio caratterizzata secondo il framework noto come Industry 4.0.

L’automazione per la grande industria continuerà a progredire in questa direzione e i robot saranno sempre più intelligenti e in grado di garantire flessibilità nei processi produttivi.

Lo sviluppo delle tecnologie che sono alla base della robotica, hanno consentito la realizzazione dei cobot, un nuovo tipo di macchine utensili, anche queste estremamente flessibili e sempre più intelligenti, ma destinate ad un ambito applicativo diverso per dimensioni e obiettivi.

Com’è fatto un cobot e in cosa si differenzia dal robot

Un moderno cobot ha normalmente la forma di un braccio robotico, con un basamento e un insieme di segmenti uniti da articolazioni motorizzate, chiamate “assi”. Sull’ultimo segmento è collocata una testa che consente il montaggio di diversi tipi di utensili (EOAT – End Of Arm Tooling).

Sebbene un cobot assomigli in scala ridotta ad un braccio robotico industriale, la sua meccanica e la sua elettronica sono molto diverse, perché i cobot sono progettati per svolgere il proprio lavoro accanto, e spesso in collaborazione, con gli esseri umani.

I grandi robot industriali lavorano in gabbie protettive chiuse, interdette agli esseri umani, e i sensori ne bloccano immediatamente il funzionamento in caso di superamento da parte di un operatore del perimetro di sicurezza.

Un cobot, al contrario, dispone di numerosi sensori ridondanti che individuano posizione e attività degli operatori umani che sono nell’immediata prossimità, e adatta velocità e forza di trazione sugli assi in modo da non costituire mai un pericolo.

Il sistema di controllo di un cobot è basato su microcontrollori e microprocessori, software sofisticati, sensori complessi e uso molto diffuso di tecnologie di machine learning.

Tuttavia, a scapito dell’elevato contenuto tecnologico, il costo di un cobot è estremamente basso se confrontato con i robot industriali.

L’investimento per l’acquisto di un cobot può infatti partire da poche decine di migliaia di euro, e raramente supera il costo di un comune centro di lavoro CNC, del tipo presente in tutte le piccole e medie imprese che effettuano lavorazioni meccaniche.

Il motivo di ciò è sicuramente da ricercare nell’abbassamento dei costi delle tecnologie hardware e software che si è verificato negli ultimi anni, ma anche nel particolare posizionamento di mercato di questo tipo di tecnologia.

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Perché i robot collaborativi sono adatti alle PMI

I cobot sono prevalentemente indirizzati alle piccole e medie imprese. Nell’ambito delle piccole imprese manifatturiere e artigiane i cicli di lavoro sono spesso molto articolati e variabili. La produzione su commessa o la produzione di prodotti con un elevato livello di personalizzazione richiedono un continuo riadattamento dei processi di lavorazione.

I bassi volumi di produzione non consentono di trarre vantaggio da un’automazione industriale di tipo classico. Qualunque sia il tipo di lavorazione da effettuare, oggi esiste sempre una macchina industriale in grado di automatizzare la maggior parte della produzione, ma l’investimento in termini di acquisto, configurazione e utilizzo dell’impianto è conveniente solo a partire da una determinata scala in poi, che solitamente è al di fuori degli obiettivi delle piccole imprese.

Ai costi d’investimento deve essere aggiunto l’addestramento e riqualificazione delle competenze necessarie a programmare ed operare le nuove macchine.

Il risultato è che molti processi, caratterizzati da un’elevata ripetitività del lavoro, vengono comunque svolti a mano. È in questo ambito che il cobot assume la sua importanza. Le sue caratteristiche risultano, infatti, ben posizionate in relazione alle esigenze di questo tipo di imprese.

Il primo elemento vincente è ovviamente il costo. Il prezzo chiavi in mano di un cobot configurato per un determinato insieme di compiti produttivi è in genere dello stesso ordine di grandezza degli altri macchinari impiegati nelle PMI, e non determina quindi impegni economici diversi da quelli di un normale rinnovamento degli impianti.

Il secondo elemento è costituito dall’interfaccia utente. I migliori cobot offerti sul mercato sono corredati da applicazioni software per la programmazione e controllo molto intuitive e user-friendly, destinate ad un pubblico non esperto di automazione industriale e programmazione CNC.

Giusto per fare un esempio, la programmazione di un determinato movimento che un braccio robotico dovrà svolgere può essere ottenuta semplicemente ponendo il cobot in uno stato che chiameremo “learn”.

In questo stato, i motori delle articolazioni, o assi, del braccio robotico mantengono la posizione ma non offrono resistenza: l’operatore può quindi muovere i vari segmenti e la testa utensile effettuando il percorso che il braccio sarà tenuto a compiere. Durante il movimento, i sensori “encoder” collocati sui motori e sulle articolazioni registrano gli spostamenti e inviano l’informazione al computer di controllo. Al termine, l’operatore chiuderà la modalità “learn” e il software avrà memorizzato il movimento.

Sequenze di movimento possono essere quindi registrate facilmente da un operatore dopo un training minimo e assemblate in programmi di lavoro memorizzati sul sistema di controllo.

A questo punto, sarà sufficiente fornire una sorta di comando “play” per avviare una determinata sequenza di movimenti mettendo al lavoro il cobot che adatterà autonomamente velocità e forza in base alle condizioni del contesto.

Abbinando a tutto ciò la possibilità di addestrare il cobot a riconoscere oggetti, forme, colori e anche comandi vocali, si comprende come questo tipo di tecnologia costituisca oggi una grande opportunità soprattutto per le imprese di piccole dimensioni, ma molto specializzate, e le imprese di tipo artigiano.

Esempi e applicazioni dei cobot nelle PMI

Un cobot consente di liberare operai e personale da lavori ripetitivi, il loro impiego è particolarmente efficace in ambiti quali operazioni di pick & place, inscatolamento e confezionamento di pallet, manipolazione di prodotti per controllo qualità, asservimento di macchine utensili dove possono costituire una vera e propria estensione CNC a strumenti tradizionali, saldatura, finitura superficiale, ecc.

La diffusione dei cobot nelle PMI è un fenomeno in decisa crescita e i casi di successo si contano numerosi.

Un mito da sfatare è il problema della perdita dei posti di lavoro conseguente all’introduzione della robotica collaborativa: ciò non è soltanto un problema inesistente, ma, in molti casi, la riorganizzazione dei processi produttivi permette la crescita delle aziende e la creazione di nuovi posti di lavoro che non sono connessi alla semplice necessità di operatori specializzati nella nuova tecnologia.

Soprattutto in questo periodo in cui inizia ad essere visibile un rimbalzo della domanda conseguente alla ripartenza del mercato, molte eccellenze produttive del nostro tessuto industriale e artigiano si trovano a far fronte ad un incremento degli ordini e quindi della produzione in una situazione in cui non dispongono di risorse finanziarie sufficienti ad investire in un ampliamento delle strutture aziendali.

Nelle aziende che erano sane prime della pandemia, le riserve sono state utilizzate per far fronte al periodo di crisi, con il risultato che oggi manca la liquidità da investire per finanziare l’incremento della produzione.

L’introduzione della robotica collaborativa, quando condotta nell’ambito di un serio programma di “business process reengineering” e con il supporto di consulenti competenti, permette di riorganizzare i cicli di fabbricazione, confezionamento e logistica in modo da parallelizzare le attività, svincolare da lavori a basso valore aggiunto personale specializzato che può essere impiegato per incrementare o velocizzare la produzione, riuscendo a soddisfare la domanda senza dover ampliare ambienti di lavoro e linee di fabbricazione.

In molti casi, il nuovo processo di lavoro che deriva dall’introduzione di uno o più cobot non presenta più le congestioni nelle varie fasi di attività e consente l’introduzione di nuovi operai sulle linee esistenti con conseguente aumento della produzione.

Da questo punto di vista il cobot è una tecnologia che consente l’efficientamento dei processi e la crescita dell’azienda con investimenti molto più limitati rispetto ad un mero ampliamento delle strutture.

I cobot sono inoltre una tecnologia estremamente flessibile, possono essere riprogrammati velocemente per eseguire nuovi compiti, e al pari di un operaio umano possono essere impiegati in più attività diverse tra loro nell’ambito della stessa giornata.

Una tecnologia abilitante che sempre più spesso viene abbinata alla robotica collaborativa è la stampa 3D finalizzata alla realizzazione di nuovi accessori EOAT.

La modellazione 3D e la fabbricazione additiva consentono infatti lo sviluppo on-demand di nuovi utensili per esigenze nuove o particolari, rendendo i cobot rapidamente impiegabili in nuovi contesti o sui nuovi cicli produttivi, incrementando in modo significativo la flessibilità operativa delle aziende e la reattività al mercato.

Ad esempio, presso il FabLab Ostiense, hub di trasferimento tecnologico attivo nell’area metropolitana di Roma, vengono sperimentate soluzioni di robotica collaborativa che sfruttano la possibilità di progettare e realizzare dispositivi End-Of-Arm di tipo intelligente, basati su soluzioni “Tiny Machine Learning” e struttura in tecnopolimeri stampati in 3D, che superano le limitazioni dei pur ricchi cataloghi dei principali vendor di cobot.

Questa possibilità di ampliare a dismisura le opzioni per il tipo di utensile da collocare sul braccio robotico è uno degli elementi da tenere in maggiore considerazione e che massimizza il valore dell’investimento in questa tecnologia.

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