Aumenta nelle imprese italiane l’adozione di tecnologie 4.0 e cresce la consapevolezza rispetto alla rilevanza di tali tecnologie per la ripresa post covid. Ma non abbastanza in fretta, purtroppo, quanto avremmo sperato e un po’ anche atteso alla luce di quanto successo nell’ultimo anno.
Alla luce dei dati della ricerca “Impresa Smart 4.0. La trasformazione digitale del manifatturiero a prova di pandemia” si può tuttavia essere fiduciosi nel futuro, soprattutto se si pensa alla spinta che la digitalizzazione delle imprese riceverà dal PNRR.
La ricerca
La ricerca si basa su 165 compilazioni valide ricevute, con buona stratificazione dimensionale (52% grandi, 28% medie, 20% piccole e micro) ed una significativa polarizzazione in termini di localizzazione geografica (oltre l’80% dei rispondenti è situato nel Nord Italia). Quest’anno, ovviamente, un tema di particolare interesse è da ricondursi agli effetti della pandemia da Covid-19.
Le indicazioni delle imprese fotografano impatti per lo più significativi sia sull’esercizio 2020 sia, in previsione, sul 2021. In effetti, la maggior parte delle aziende è riuscita a rispondere solo parzialmente alle sfide poste: da un lato, infatti, quasi tutte le imprese hanno riconvertito con facilità in remoto sia le riunioni di lavoro sia il lavoro dei “white collar”, dall’altro, solo una ristretta minoranza di esse è riuscita a remotizzare efficacemente anche le attività produttive, o quanto meno il controllo della produzione.
Tra i messaggi più significativi, si denota un atteggiamento fortemente positivo nei confronti delle potenzialità del paradigma di Impresa 4.0: più di tre imprese su quattro lo considerano una leva molto importante per rivitalizzare il settore manifatturiero del nostro paese, anche se permane ancora un 10% di aziende che lo ritiene vantaggioso unicamente per la sostituzione ed il rinnovamento del parco macchinari.
Come spesso capita, dall’autovalutazione delle imprese italiane rispetto ai concorrenti di altri paesi, emerge un giudizio di ritardo e arretratezza: solo il 20% dei rispondenti ritiene che il sistema paese sia al pari livello di altre nazioni in termini di adozione delle tecnologie digitali e di misure a supporto della trasformazione digitale.
L’aumentata propensione delle imprese a considerare e valutare il paradigma 4.0 per recuperare competitività, si riflette positivamente anche sul numero di tecnologie digitali impiegate dalle aziende che hanno intrapreso questo percorso: in media sono utilizzate 3 tecnologie in parallelo, con un +30% rispetto alla rilevazione precedente (2019). In testa alla graduatoria le tecnologie impiegate per l’acquisizione, la trasmissione e l’elaborazione dei dati, ovvero Big data Analytics e Industrial Internet of Things.
La fotografia scattata, se confrontata con quella delle precedenti ricerche, illustra sì un progresso, ma purtroppo più lento di quanto avremmo desiderato: aumenta il numero di tecnologie 4.0 adottate mediamente dalle imprese e cresce, seppure moderatamente, la consapevolezza delle imprese rispetto alla rilevanza di tali tecnologie. Aumenta però anche la percentuale di aziende che, pur avendo acquisito una consapevolezza di base sul fenomeno 4.0, sono rimaste ancora “Al palo” dal punto di vista dell’implementazione: queste aziende non si sono attivate e non attribuiscono alla transizione digitale la corretta rilevanza, e pertanto non danno a vedere di volersi attivare a breve.
Questi “ritardatari” restano comunque più di un terzo delle imprese censite (38%)! Per fortuna aumentano le imprese annoverate tra i “Campioni” digitali, le quali avendo lavorato sia sul fronte delle tecnologie digitali implementate sia sulle competenze necessarie, sono riuscite ad integrare ed interconnettere queste soluzioni con l’architettura informativa pre-esistente, definendo un sistema tecnologico uniforme e strutturato. Tali aziende sono circa 1/5 del campione che, sommate con il cluster di imprese (“Digitali”) che hanno iniziato a muoversi in modo spedito ma non sono ancora riuscite a disporre di tutte le competenze richieste, definiscono circa il 45% del campione. Circa la metà delle imprese sta percorrendo in modo spedito il percorso di trasformazione digitale ed intravede il risultato finale, mentre la restante metà è ancora sostanzialmente ferma ai blocchi di partenza. È necessario strutturare misure e sostegni per riuscire a smuovere questa metà del campione e per guidarla verso nuovi obiettivi di innovazione tecnologica.
Sono oramai diverse le evidenze che mettono in relazione la maturità digitale delle imprese con la loro capacità di rispondere in modo efficace ed efficiente al contesto pandemico attuale. Le valutazioni sul campione della nostra ricerca confermano questa relazione positiva tra la vicinanza dell’impresa al paradigma 4.0 e la sua fiducia per il pieno recupero nel 2021 di quanto è stato perso nel corso del 2020. È infatti evidente come, spostandosi nei cluster digitalmente più evoluti, aumenti la quota di aziende che ritengono di ottenere una crescita del proprio fatturato nel 2021 rispetto ai cluster meno evoluti. Questo soprattutto per via delle possibilità abilitate dalle tecnologie digitali 4.0: da un lato permettono una più facile remotizzazione di specifici processi e attività, dall’altra assicurano una più rapida riconversione di impianti ed attrezzature nel caso di fattori imprevisti, talvolta creando anche veri e propri modelli di business alternativi e complementari in grado di sostenere la redditività delle imprese in momenti di crisi dei modelli più tradizionali.
Cosa serve dunque alle imprese per poter concretizzare la piena adozione di queste tecnologie digitali? Al primo posto tra i fattori abilitanti viene indicata la disponibilità di personale motivato e preparato a questa trasformazione (80%), in grado di comprendere i benefici del paradigma 4.0 e di saperlo governare e coordinare, trasversalmente a tutte le funzioni ed a tutti i livelli. A questo si affianca la necessità di una revisione del sistema scolastico e di formazione italiano, richiesta da oltre la metà del campione. Non da sottovalutare anche la prosecuzione degli incentivi e delle misure a sostegno degli investimenti in tecnologie, necessari ancora per circa il 40% del campione.
La Direzione resta la funzione aziendale tipicamente alla guida della trasformazione, anche se cresce il ruolo dei CIO e di altri manager della C-suite, segnatamente Operations e R&D, le cui funzioni restano anche al centro degli interventi. Colpisce invece il ruolo marginale della direzione HR, sia come ente che lancia e controlla iniziative 4.0, sia come destinatario di progetti in quest’ambito. La mancanza di risorse preparate e competenti è vista come freno all’implementazione della trasformazione digitale e, in effetti, la loro presenza è l’ingrediente della ricetta di cui si avverte la maggiore carenza. Anzi, all’atto pratico, il segnale meno positivo che pare emergere da questa nuova edizione della ricerca è proprio il progressivo allargarsi del divario tra le aziende effettivamente capaci di sviluppare internamente, oppure di attrarre dall’esterno queste competenze, e quindi di alimentare in maniera più organica e sostenibile il processo di trasformazione digitale, e quelle che, magari anche animate dalle migliori intenzioni di investimento, vedono i propri sforzi produrre risultati meno incoraggianti proprio a causa della mancanza di risorse umane con le skills necessarie.
Transizione digitale delle imprese, fenomeno in crescita
Difficilmente, quando il Laboratorio RISE nel 2013 cominciò il proprio percorso di ricerca nella digital transformation, avremmo immaginato quanto questo fenomeno avrebbe potuto crescere e come si sarebbe sviluppato in così pochi anni. In Italia, nessuno ancora parlava di “4.0”, ma era ormai chiaro che le trasformazioni digitali già in corso nella vita di ciascuno di noi si stavano affacciando anche nel mondo industriale. Nel tempo si è affermata la denominazione di “Industry 4.0”, e successivamente il fenomeno si estese oltre l’industria, e al di là della produzione, abbracciando quindi tutti i processi aziendali (“Enterprise 4.0”) ed oltrepassando i confini delle singole imprese (“Supply chain 4.0”).
Ecco perché adesso si preferisce parlare di “transizione digitale”, e la pensiamo come un nuovo paradigma e non più come l’applicazione di singole tecnologie digitali, più o meno innovative, ai processi manifatturieri. Un paradigma, tra l’altro, che si salda e si interseca con altri paradigmi che si stanno affermando altrettanto vigorosamente ed altrettanto fondamentali nel panorama attuale, quali ad esempio la cosiddetta “servitizzazione”, e, forse ancor di più, l’economia circolare.
Conclusioni
Ma anche di fronte a queste evidenze in chiaroscuro, lanciando uno sguardo al futuro, possiamo essere fiduciosi. In primo luogo, l’impatto del COVID non potrà che imprimere un’accelerazione alla consapevolezza delle aziende ed alla loro motivazione ad investire. In secondo luogo, grande è la consapevolezza ormai raggiunta dal mondo accademico sull’esigenza di attivare processi formativi finalizzati alla creazione di profili (più) vicini alle esigenze delle imprese (infatti in molti Atenei si stanno varando corsi di studio di vario tipo, dalle Lauree professionalizzanti ai Master, specificamente in questa direzione).
Infine, come tutti sappiamo, l’Italia è stato il Paese europeo che ha ricevuto la parte più corposa del “Recovery Fund”, il programma di stimolo finanziario più grande mai varato dall’Unione: più di 200 miliardi di euro che -non abbiamo dubbi- il governo sapientemente guidato da Mario Draghi, utilizzerà anche per potenziare gli stimoli alla digitalizzazione delle imprese.