Nel contesto della trasformazione digitale che caratterizza l’economia europea, l’intelligenza artificiale rappresenta uno dei vettori più potenti di cambiamento. Il suo impatto non è solo tecnologico, ma profondamente organizzativo e giuridico.
In particolare, la gestione delle risorse umane si trova oggi al centro di un equilibrio complesso: da un lato la spinta all’innovazione, alla predittività e all’efficienza; dall’altro la necessità di salvaguardare la dignità della persona, la correttezza dei processi decisionali e la protezione dei dati personali. È qui che l’intreccio tra AI e People Analytics incontra il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e le più recenti disposizioni normative – come la Legge n. 132/2025 e l’AI Act – che delineano un nuovo perimetro di responsabilità, spesso definito come il nascente scudo digitale europeo.
L’intelligenza artificiale applicata alle risorse umane agisce lungo l’intero ciclo di vita del dipendente: dalla selezione alla valutazione, fino alla formazione e allo sviluppo di carriera. Gli algoritmi di machine learning consentono di analizzare enormi quantità di dati per individuare modelli ricorrenti, correlazioni e previsioni comportamentali.
Tuttavia, l’efficacia di questi strumenti si misura non solo nella loro capacità di elaborazione, ma nella loro compatibilità con i principi del diritto europeo della protezione dei dati, in particolare quelli di liceità, correttezza, trasparenza e limitazione delle finalità (art. 5 GDPR).
Indice degli argomenti
Intelligenza artificiale nelle risorse umane e principio di accountability
Il principio cardine resta quello della responsabilità proattiva (accountability), che impone al datore di lavoro e ai professionisti HR di dimostrare, e non solo di dichiarare, la conformità dei trattamenti. L’intelligenza artificiale non esonera dalle responsabilità previste dal GDPR, ma ne amplifica la portata: ogni decisione automatizzata che incide sulla sfera professionale di un lavoratore deve poter essere spiegata, contestata e corretta.
L’art. 22 del GDPR vieta che un individuo sia sottoposto a decisioni basate unicamente su trattamenti automatizzati che producano effetti giuridici o impatti significativi sulla persona, salvo specifiche garanzie e la presenza di una supervisione umana effettiva. Questo obbligo, spesso trascurato nelle applicazioni pratiche, diviene essenziale nei sistemi di People Analytics, dove il rischio di ridurre la complessità umana a un output statistico è concreto.
Trasparenza algoritmica nei sistemi di People Analytics
La trasparenza algoritmica rappresenta la frontiera più delicata della governance digitale. Non si tratta solo di rendere noto che un processo decisionale impiega un algoritmo, ma di spiegare in modo comprensibile le logiche di funzionamento, i criteri di ponderazione e i fattori che conducono a un determinato risultato.
In un contesto HR, ciò significa che il lavoratore deve sapere quando e come il suo profilo viene valutato, quali dati vengono utilizzati, e se il sistema contribuisce a decisioni che incidono su opportunità di carriera, trasferimenti o valutazioni di performance. In assenza di questa consapevolezza, il diritto alla trasparenza si svuota di significato, trasformando l’AI in uno strumento opaco, contrario alla logica di equilibrio che il GDPR persegue.
Intelligenza artificiale nelle risorse umane e minimizzazione dei dati
Un ulteriore livello di complessità deriva dal principio di minimizzazione dei dati, che vieta la raccolta eccessiva o non pertinente. Gli algoritmi, per funzionare correttamente, necessitano di ampi dataset, spesso arricchiti con informazioni comportamentali, biometriche o psicometriche.
Tuttavia, il datore di lavoro deve sempre garantire che la quantità e la tipologia dei dati trattati siano proporzionate alla finalità perseguita. Questo implica la necessità di svolgere Valutazioni d’Impatto sulla Protezione dei Dati (DPIA) ex art. 35 GDPR, obbligatorie ogni volta che l’uso dell’intelligenza artificiale presenta un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone.
La DPIA non è un mero adempimento burocratico, ma un processo di riflessione critica che obbliga l’organizzazione a valutare preventivamente la legittimità, la sicurezza e la sostenibilità etica del trattamento.
Intelligenza artificiale risorse umane e sistemi ad alto rischio tra AI Act e Legge 132/2025
Il nuovo AI Act rafforza ulteriormente questo approccio. I sistemi utilizzati in ambito lavorativo – come quelli per il reclutamento, la gestione delle performance o il monitoraggio dei dipendenti – sono classificati come “ad alto rischio”, e pertanto soggetti a obblighi rigorosi di documentazione, di audit e di supervisione umana.
Le organizzazioni dovranno implementare meccanismi di controllo che garantiscano la verificabilità del modello e la possibilità di intervenire sui risultati. L’articolo 11 della Legge n. 132/2025, coerente con questa impostazione, impone che l’adozione dell’AI nei luoghi di lavoro avvenga entro un perimetro etico e tecnico definito, volto a evitare discriminazioni e a garantire la tracciabilità delle decisioni.
La legge introduce anche un principio di partecipazione: le rappresentanze sindacali devono essere informate e coinvolte nell’introduzione di sistemi di intelligenza artificiale ad alto rischio, riconoscendo che l’innovazione tecnologica incide sull’organizzazione del lavoro e richiede un dialogo preventivo.
Tracciabilità decisionale e nuovo scudo digitale interno
La tracciabilità delle decisioni, principio richiamato dalla Legge 132/2025 e perfettamente coerente con la data protection by design del GDPR, costituisce lo strumento attraverso cui l’azienda dimostra il controllo sul processo algoritmico.
Significa mantenere registri tecnici e funzionali che documentino quali dati sono stati utilizzati, quali parametri sono stati applicati e in che modo l’intervento umano ha inciso sul risultato finale. Questo non solo a fini di accountability interna, ma anche per garantire al lavoratore la possibilità di contestare o richiedere una revisione della decisione, rafforzando così il diritto alla spiegazione (right to explanation) e il diritto di difesa.
Il modello europeo tra GDPR, Carta dei diritti e funzione HR
Nel quadro più ampio della governance aziendale, il rispetto di queste norme comporta una ridefinizione dei ruoli. Il Data Protection Officer (DPO) assume una funzione strategica, affiancando il Chief Information Security Officer (CISO) e i responsabili HR nel controllo della conformità dei sistemi di AI, assicurando che i principi di protezione dei dati siano integrati sin dalla fase di progettazione.
La cooperazione tra queste figure rappresenta il nucleo del nuovo scudo digitale interno, volto a proteggere l’organizzazione da violazioni, sanzioni e danni reputazionali.
L’Osservatorio nazionale su IA e lavoro, istituito dall’art. 12 della Legge 132/2025, completa il quadro istituzionale, fungendo da centro di competenza pubblico in grado di monitorare le ricadute dell’intelligenza artificiale sull’occupazione, sulle competenze e sui modelli organizzativi.
Tale organismo promuoverà linee guida operative e programmi formativi volti a diffondere la cultura della cyber accountability, in linea con la strategia europea per la sovranità digitale.
Intelligenza artificiale nelle risorse umane come modello europeo AI–GDPR
In questo scenario, il GDPR si conferma il fondamento del nuovo scudo digitale europeo: un sistema normativo capace di adattarsi alle sfide tecnologiche, mantenendo come punto di riferimento la centralità dell’individuo.
Non è un caso che la Commissione Europea, nel presentare l’AI Act, abbia sottolineato che la regolazione dell’intelligenza artificiale non può prescindere dal rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla protezione dei dati personali.
Il binomio tra AI e GDPR costituisce oggi il modello di equilibrio tra innovazione e diritti che l’Europa intende esportare a livello globale.
La funzione HR come laboratorio dell’accountability digitale
La funzione HR diventa quindi il luogo in cui questo equilibrio prende forma concreta. Gli algoritmi possono migliorare la capacità di analisi e la qualità delle decisioni, ma solo se accompagnati da una cultura della trasparenza, della sicurezza e dell’etica dei dati.
Ciò significa adottare policy interne che definiscano chiaramente le finalità e i limiti dell’uso dell’AI, formare i dipendenti sull’impatto della tecnologia e promuovere una consapevolezza diffusa sul valore del dato come bene comune da proteggere.
Intelligenza artificiale nelle risorse umane lungo il ciclo di vita del dipendente
In ultima analisi, la gestione delle risorse umane nell’era dell’intelligenza artificiale rappresenta il laboratorio più avanzato di attuazione del principio di accountability del GDPR. Ogni decisione basata su dati deve essere tracciabile, spiegabile e contestabile; ogni algoritmo deve essere progettato secondo i principi di privacy by design e by default; ogni organizzazione deve dimostrare di avere un modello di governance in grado di bilanciare produttività e tutela.
Nel moderno ecosistema HR, l’intelligenza artificiale non sostituisce il professionista delle risorse umane, ma agisce come un layer tecnologico di supporto decisionale e operativo lungo tutto il ciclo di vita del dipendente — dalla selezione e onboarding, fino alla cessazione e all’analisi post-exit.
L’obiettivo è creare un sistema integrato di People Analytics capace di ottimizzare i processi, mantenendo al contempo trasparenza, tracciabilità e conformità normativa. Di seguito sono illustrati i passaggi essenziali per allineare le attività di supporto dei dipartimenti HR alla normativa vigente e alle migliori pratiche operative:
Onboarding del dipendente e automazione sicura dei processi
Durante la fase di onboarding, i sistemi di AI vengono impiegati per automatizzare l’inserimento del neoassunto nei processi aziendali. Attraverso piattaforme intelligenti, l’HR può: generare automaticamente piani formativi personalizzati in base al ruolo, al livello di competenza e al background del lavoratore, semplificare la gestione documentale, con modelli che riconoscono e classificano contratti, policy, attestazioni di sicurezza e informative privacy e supportare l’assegnazione sicura di credenziali e permessi di accesso ai sistemi, in coerenza con i principi di autenticazione forte e segregazione dei ruoli richiesti dalla Direttiva NIS2 (art. 24, lett. c).
In questa fase, il trattamento dei dati deve rispettare il principio di minimizzazione (art. 5, GDPR): solo le informazioni strettamente necessarie all’inserimento devono essere raccolte e conservate. È opportuno predisporre informative dedicate, che illustrino in modo chiaro l’uso di strumenti automatizzati nella gestione delle procedure di assunzione e onboarding.
Performance, sviluppo professionale e supervisione umana
Nel corso del rapporto di lavoro, le tecnologie di AI affiancano la funzione HR nel monitoraggio continuo delle performance e nella gestione del benessere organizzativo. Gli algoritmi possono analizzare: indicatori di produttività e collaborazione (KPI, risultati, feedback 360°), dati provenienti da survey aziendali, strumenti di comunicazione interna o piattaforme di e-learning; monitoraggio dei sistemi di cybersecurity nel rispetto dei limiti posti dall’art. 88 del GDPR e dallo Statuto dei Lavoratori (art. 4 L. 300/1970).
L’uso di tali sistemi richiede una supervisione umana costante, poiché le decisioni algoritmiche non possono produrre effetti giuridici o significativi senza un intervento umano, come stabilito dall’art. 22 del GDPR e dall’AI Act per i sistemi “ad alto rischio”.
Parallelamente, le piattaforme predittive possono suggerire percorsi formativi personalizzati incrociando i fabbisogni di competenze aziendali con le aspirazioni individuali. Questi processi rientrano nella data governance interna, che deve prevedere controlli di accesso, log di tracciabilità e misure di sicurezza dei dati conformi alla NIS2.
Retention, benessere e gestione del turnover
Le applicazioni consentono di anticipare situazioni di rischio di abbandono o calo di engagement. Attraverso modelli statistici, l’AI elabora segnali indiretti (assenteismo, riduzione dell’interazione, risultati in calo) e li incrocia con variabili organizzative (carico di lavoro, clima, relazioni).
Questi strumenti permettono di progettare strategie di retention mirate, migliorando la soddisfazione dei dipendenti e riducendo i costi di turnover. Tali sistemi devono essere configurati secondo il principio di proporzionalità e correttezza del trattamento (art. 5 GDPR) e documentati mediante una DPIA, che valuti i rischi di discriminazione algoritmica o di profilazione indebita.
È necessario che i dati siano anonimizzati o pseudonimizzati quando non servono a identificare il singolo lavoratore, in linea con l’art. 32 del GDPR.
Cessazione del rapporto, offboarding e sicurezza by design
Nella fase di cessazione del rapporto, l’AI supporta l’HR nella gestione ordinata della chiusura dei processi digitali. Le piattaforme intelligenti consentono di: disattivare automaticamente account, credenziali e autorizzazioni di accesso, riducendo il rischio di accessi residui non autorizzati (misura prevista dall’art. 24, lett. h del D.Lgs. 138/2024), archiviare e conservare la documentazione nel rispetto dei tempi di conservazione legali e delle policy aziendali e analizzare in forma anonima le motivazioni delle dimissioni o dei licenziamenti, generando report utili alla pianificazione organizzativa.
La fase di offboarding deve includere un controllo di revoca degli accessi e un aggiornamento degli inventari degli asset digitali, per assicurare la piena conformità ai principi di security-by-design.
Post-exit, analisi predittiva e anonimizzazione dei dati
Dopo la cessazione, l’intelligenza artificiale può essere impiegata per elaborare analisi statistiche aggregate sui flussi di carriera, sulle competenze emergenti e sull’efficacia delle politiche di retention.
Questi trattamenti devono avvenire su dati anonimizzati o aggregati, senza possibilità di risalire ai soggetti interessati, mantenendo così la conformità al GDPR e alle linee guida del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB).
Una sfida culturale: tecnologia al servizio della persona
L’Europa, con il suo approccio regolatorio basato su diritti, trasparenza e responsabilità, sta costruendo il proprio scudo digitale: un insieme coerente di norme e pratiche che mira non a frenare l’innovazione, ma a civilizzarla, rendendola compatibile con la dignità umana.
Nel mondo del lavoro, questo significa riportare al centro l’uomo come interprete e garante delle decisioni, e non come semplice oggetto di analisi algoritmica. La vera sfida non è dunque tecnologica, ma culturale: costruire una società in cui la tecnologia sia al servizio della persona, e non il contrario.












