l'analisi

Industria italiana scissa tra innovazione e vecchia cultura: due studi a confronto

Confrontiamo due studi recenti, della CDP e di MISE-MET. Il primo ci dice che le trasformazioni riconducibili a “Industria 4.0” faticano ancora a entrare nel dna delle imprese italiane. Il secondo indica però che gli incentivi hanno riscosso un certo successo. Ecco come si potrebbe aggiustare il tiro

Pubblicato il 16 Lug 2018

Gianni Potti

Presidente Fondazione Comunica e founder DIGITALmeet

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Appena insediato il nuovo governo abbiamo messo in evidenza a beneficio del Ministro Di Maio, luci e ombre del piano industria 4.0.

Ora proviamo ad analizzare meglio quanto si è fatto e quanto si fa avvalendoci di due studi, molto recenti. Un’indagine MISE-MET su come sta andando il ricorso agli incentivi per Industria 4.0 e un dettagliato studio realizzato da Cassa Depositi e Prestiti dal titolo “Il sistema produttivo italiano. Tra modernizzazione e Industria 4.0”, un interessante tentativo di fotografare il reale stato di innovazione e arretratezza dell’insieme del nostro sistema produttivo.

Tecnologie poco sfruttate nel processo produttivo

La ricerca ci dice che il passaggio alle nuove tecnologie, macchinari intelligenti, fabbriche virtuali, sistemi cyber-fisici, internet delle cose, tecnologie 3D e tutta l’ampia gamma di trasformazioni riconducibili a “Industria 4.0”, è una grande sfida per il sistema produttivo italiano e fattore strategico per accrescere la competitività delle imprese sui mercati. E aggiunge “che si tratta di tecnologie già disponibili, ancorché in continua trasformazione, ma il cui utilizzo, a meno di situazioni riferibili a poche imprese leader globali, trova un impiego ancora modesto o comunque riconducibile a singole fasi della produzione. Nella gran parte dei casi, quindi, viene a mancare una visione organica nella quale il nuovo paradigma tecnologico si traduce nell’interconnessione e integrazione dei nuovi sistemi lungo l’intero processo produttivo e persino a valle dello stesso: in rari casi le potenzialità di queste tecnologie vengono sfruttate a pieno.”

Ecco quindi che emerge il persistere di ostacoli di natura culturale da parte delle PMI, ma anche criticità specifiche che sono diffuse in vasti segmenti del nostro sistema produttivo. Affinché la modernizzazione del sistema produttivo possa trovare adeguata applicazione è necessario che gli interventi di policy considerino Industria 4.0 e lo sviluppo dei fattori abilitanti per il passaggio a nuovi modelli tecnologici una priorità per le prospettive di crescita dell’industria italiana, seppure non l’unica.

Le cause della scarsa propensione a R&S e Innovazione

Naturalmente fondamentale per il successo della diffusione delle nuove tecnologie è la tematica della Ricerca & Sviluppo e dall’Innovazione. La ricerca di Cassa Depositi e Prestiti, senza mezzi termini, ci dice che il sistema produttivo italiano ha tuttora una limitata propensione alla Ricerca e Sviluppo e all’Innovazione. Le cause? Tessuto industriale composto perlopiù da imprese di piccole e piccolissime dimensioni; persistenza di forti squilibri territoriali, specie nelle competenze di supporto ai processi innovativi; un sistema di Pubblica Amministrazione che fatica a relazionarsi con le imprese in materia di innovazione. Poi va anche detto come, per produrre effetti rilevanti, gli investimenti in innovazione abbiano bisogno di essere prolungati nel tempo, secondo una programmazione ben definita e un monitoraggio continuo, non potendo dunque essere effettuati una tantum, magari sull’onda di incentivi particolarmente accattivanti.

Come aggiustare il tiro su Industria 4.0

Venendo agli aspetti finanziari in Italia lo scarso sviluppo dei mercati dei capitali riduce notevolmente le alternative delle imprese al prestito bancario, il che spiega la forte correlazione tra l’attività di R&S e la probabilità di razionamento del credito e dunque la generale difficoltà per i progetti innovativi a trovare una fonte di finanziamento adeguata.

Passando alle competenze e conoscenze tecnologiche necessarie, è nota la carenza di risorse umane e manageriali adeguatamente formate all’interno dell’impresa, sia la difficoltà di trasferimento tecnologico e di know-how dal mondo delle Università e centri di ricerca a quello delle imprese.

Infine fattore abilitante per il cambiamento verso Industria 4.0 è riconducibile al coinvolgimento delle imprese in filiere e catene globali del valore, dove le tensioni competitive, la presenza di leader internazionali e le relazioni con soggetti a monte e a valle, favoriscono l’acquisizione di conoscenze e la diffusione dei nuovi paradigmi produttivi.

Ecco che da questa analisi ne esce una buona indicazione per il nuovo Governo su come aggiustare il tiro su Industria 4.0, eliminando le parti che non hanno funzionato e integrando il piano sull’esperienza acquisita.

L’indagine Mise-Met

A conclusione e conferma di quanto sin qui detto, ci conforta la indagine MISE-MET, svolta su un campione di 23.700 imprese, rappresentative “della popolazione dell’Industria in senso stretto e dei servizi alla produzione, di tutte le classi dimensionali (incluse quelle con meno di 10 addetti) e di tutte le regioni italiane”

Ebbene, ecco per titoli, cosa ne emerge:

  • lo sviluppo delle nuove tecnologie e il 4.0 è più forte dove le dimensioni aziendali sono più grandi. Nelle microimprese si fa fatica. La media nazionale è comunque bassa, perché solo l’8,4% delle imprese italiane ha avviato l’adozione di leve tecnologiche.
  • Le aziende che hanno già intrapreso un percorso di digitalizzazione in chiave 4.0 hanno ben compreso che il valore dell’investimento sta nella capacità di trarre valore dai dati: per questo motivo solo il 16% orienta i propri investimenti verso le sole tecnologie di produzione. In poche parole non solo software e macchinari, ma investire nel processo.
  • Sul punto decisivo della acquisizione di competenze, sono sempre le aziende “4.0” quelle che mostrano un maggiore dinamismo nel superamento di una delle criticità maggiori legate al cambio di paradigma. Che si tratti di iniziative di formazione del personale, del ricorso a collaborazioni esterne o di nuove assunzioni, la reazione è stata sicuramente più convinta di quella registrata tra le cosiddette 4.0 che tra le “imprese tradizionali”.
  • Emerge poi come il 4.0 produca sviluppo e occupazione. Infatti le aziende investono in primis per il miglioramento della qualità dei prodotti e per minimizzare gli errori (63,4%), poi per aumentare la produttività (46,3%). Poche, fortunatamente, le imprese che mettono in relazione gli investimenti in tecnologia alla riduzione della forza lavoro (6,3%).
  • Infine l’accesso agli incentivi governativi del piano Industria 4.0. L’indagine MISE-MET ci dice che il 56,9% delle imprese 4.0 dichiara di aver utilizzato almeno una misura di sostegno pubblico rispetto al 22,7% delle analoghe imprese non impegnate nelle tecnologie in esame. Le imprese hanno utilizzato in larga prevalenza il Super-ammortamento e l’Iper-ammortamento (36,8% nel caso delle imprese 4.0 e 12,8% tra le imprese tradizionali), il Credito d’imposta per le spese in R&S (17,0% vs 3,1%), la Nuova Sabatini (19,8% vs 4,7%) e i fondi di garanzia (11,3% vs 2,8%)”. Chi intende investire in tecnologie 4.0 non solo ha utilizzato gli incentivi negli ultimi tre anni, ma intenderebbe continuare a farlo, con preferenza per Iper e Super ammortamento, CIRS e Nuova Sabatini.

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